martedì 4 febbraio 2020

Fatica … è felicità?

Fatica … è felicità?
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Dicono che lavoro non ce ne sia.
La mia esperienza trova l’affermazione bugiarda.
Non riesco a trovare lavoranti e quel qualcuno non disponibile, ma propenso ad assecondarti per mera cortesia, ti chiede compenso non proporzionato.
Leggi e parole vuote, scriteriate.
Comportamenti e volontà di coloro che vogliono perdersi.
Ma non è di questo che voglio parlare.
Solo per dire che a settant’anni sono costretto a lavorare senza risparmio.
Altrimenti l’abbandono.
Come l’atleta che sta per raggiungere il traguardo, nel mio caso il fine corsa alla stazione della vita, e si abbandona.
Inconcepibile!
Tornavo in macchina da solo, nel pomeriggio tardo di qualche giorno fa.
Ho sentito la Mano del Creato.
Ero lì, ne ero parte.
I monti, il cielo, le vigne già senza frutto, gli olivi inanellati come un Rosario a Lei.
Inebriato la vita, la mia.
Ero felice o così mi è sembrato.
Avevo combattuto, tribolato, sofferto e ancora, ma ero nella vita che avevo scelto fin da giovanissimo.
Mio Padre era deceduto e “non aveva scelto lui il momento”, il poverino.
Un diritto di famiglia, poi riformato, e mio padre aveva tutto intestato a sé.
Da agiati, diventammo poveri.
Direi ricchi poveri.
Anche per mangiare un giudice tutelare e mia madre non poteva lei essere tutrice dei propri figli.
Era una donna e per giunta analfabeta.
Amavo mia Madre e sentivo tutto il dolore della condizione e l’impotenza.
Le suggerii di andare insieme dal giudice tutelare e proporgli di non vendere i terreni, ma i fabbricati in città per pagare i diritti di successione e noi di trasferirci in campagna.
Ero sì ragazzino, ma avrei condotto il tutto con diligenza e il lavoro.
Il giudice tutelare ci rise in faccia, egli “aveva il compito davanti a Dio di tutelare i minori”.
Si dovevano vendere i terreni, pagare i diritti di successione e le restanti somme in banca su libretti intestati ai minori.
Quando raggiunsi la maggiore età a ventuno anni, quel deposito non modificò la mia posizione.
Quell’oro in banca era diventato ferro vecchio.
Sognavo la campagna e il lavoro.
Mia madre ad accudire i figli e il mio lavoro a sfamarli.
Rendere felice tutti.
Non fu possibile e la vita prese strade sue.
Non so quanto conscio, da vecchio ho realizzato quel sogno.
La campagna e io a viverci con mia moglie e il lavoro.
Ero felice in macchina e ritornavo a “casa”.
La vita non mi aveva e ha risparmiato nulla, ma mi ha reso nel lavoro l’uomo che volevo essere.
Dicevano il lavoro nobilita e ti faceva sorridere l’affermazione.
Il lavoro è fatica e stanca e un vecchio adagio affermava, “se il lavoro fosse buono, lavorerebbero i cani”.
Cammino su due piedi e non abbaio, ma il lavoro mi dà pienezza.
Mi sento parte del mondo, della vita e mi sento vicino a Dio.
A mio Padre e mia Madre, alla Bellezza del Fare.
Dio cacciò Adamo dal Paradiso e gli ammonì che avrebbe vissuto nella fatica e nel dolore.
Quel dolore e quella fatica sono la Vita e il Senso.
È forte se dico la Felicità?
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©
Michele Cologna
San Severo, domenica 24 settembre 2017
08:27:55
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Post scriptum
« Salmo. Di Davide.
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni. »
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