domenica 18 ottobre 2020

Nel cinquantaquattresimo in morte di mio padre

Nel cinquantaquattresimo in morte di mio padre

Sono le cinque ed è già da un’ora che sono in piedi.
Sorseggio il caffè, anzi il latte e caffè e ti vedo al recapito ad attendermi.
Sto arrivando e penso come sarebbe stata la nostra vita insieme.
T’obbedivo cogliendo il volere tuo e non l’indicazione.
Eri forte nel comando e nel volere, ma non ti ero da meno nella mia autonomia d’azione.
Fanciullo e tutti gli errori dell’età, ma l’uomo andava formandosi.
Con la tua morte il processo s’è fermato e la libertà ha ubriacato la volontà.
Ero peccaminosamente libero.
Così mi sembra oggi a distanza di tanti anni, papà.
Fai il conto, sorrido.
Ti sei fermato a cinquantasei e io ora ne ho sessantotto.
Quanto sono più vecchio di te, e se è vero che l’età dà esperienza, quanto di te più esperto.
Ti avrei usato come gioiello e trattato come anello al dito.
Perché pur non essendoci, sei stato al mio dito sempre e ancora.
Mio figlio che porta il tuo nome, lo sento distante.
A volta sembra di non amarmi.
Mi fa soffrire e penso a quanto amore si perde nel dono.
Donare amore è più bello che essere amato.
E io te ne ho donato tanto, che credo nessun figlio possa.
Critico sempre e tu lo sai, ma innamorato.
Anche il tuo profumo e non ne usavi, ho ancora nelle narici.
Eri essenza di bella carne, padre mio.
Sì, oggi è diciotto ottobre e mancano dieci giorni al tuo anniversario in morte.
Perdo il filo a contare gli anni, cinquantaquattro.
Mi sono aiutato con la calcolatrice.
Vorrei trasmettere a mio figlio un po’ di questo amore e fargli sentire il dolce.
Il dolce struggimento del nome … Papà.
Avrei voluto i tuoi anni vicino.
I miei al tuo omonimo, mio figlio, vicini.
Due negazioni.
Ma forse tutto ciò che si afferma è solo per negazione e non per adesione.
Credo che tu sorrida di quest’uomo vecchio e ancora figlio alla ricerca del padre.
La vita segna e la tua dipartita ha prodotto ferita mai sanata.
Un’attesa che ha colmato una vita e forse cesserà solo con la perdita della mia, padre.
Vorrei che queste parole carezzando la tua canizie, confortassero la mia.
Avrei voluto la tua mano d’anni sulla mia, vorrei la mia d’anni più pesante su quella di tuo nipote mio figlio.
Per dire che la vita è Amore e se non le diamo amore, la condanniamo all’asfissia.
Quella che io provo con figli e nipoti lontani.
Mi resta pochissimo in presenze, padre mio, di quella nostra così breve insieme.
Carolina è già lì con te e con la mamma.
Io qui con Giovanni che tu hai potuto amare solo per sei mesi.
Il vostro frutto il mio tormento che ogni giorno mi tiene legato a voi.
E così tutto scorre come un destino scritto.
Vale padre mio.
Chissà se il tempo mi concederà ancora altri pensieri alla ricorrenza …
Ma non è importante e nulla aggiungerebbe o sottrarrebbe al nostro.
A Te e Mamma, Carolina.

Michele
San severo, martedì 18 ottobre 2016 - 6:00:22 –
©MC

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