mercoledì 28 ottobre 2020

Come una chiacchierata per impegnare il tempo

Come una chiacchierata per impegnare il tempo questo nostro, padre mio.
Vedi com’esso ci muta?
Fino a qualche anno fa era un rito triste dovuto al giorno luttuoso, ora l’approccio è il sorriso.
Non ti fa sorridere che io tuo figlio, sia tanto più vecchio di te?
Tu non hai provato gli acciacchi degli anni pesanti e sei andato via a passi leggeri, spediti.
Io muovo i dolori del tempo e li porto, mio fratello ora minore.
Mi hai lasciato quella domenica del 28 ottobre 1962 senza spiegazioni e suggerimenti.
Le une e gli altri me li ha forniti il tempo che consuma la vita e nel tempo tu stavi.
Il sorriso piega in smorfia e le lacrime affacciano la memoria e l’assenza.
Quanto t’ho cercato!
In ogni parola e pensiero, nelle azioni tu.
Eppure così presente e così lontano nell’errore dal quale evitandolo incappavo.
Quante volte mi sono chiesto e mi chiedo ancora senza mai alcuna risposta, cosa sarebbe stata la mia vita con te vicino e vivo!
Una tua carezza forse avrebbe cambiato il corso e me.
Non credi?
Uso sempre con i figli miei il tuo “a papà”, rinnova la tua voce e il piacere d’essa come quella carezza mai data.
Ricevuta mai.
Stai sorridendo, padre mio!
Ma sai brucia più quella carezza mancata, che il ricordo ora dolce delle scudisciate.
Si cambia pensiero perché la vita tanto chiede, ma che era ingiusto il tuo nei miei confronti neanche la vita ha potuto e può.
Volevo solo essere amato per come ero, papà!
Un fanciullo del papà innamorato.
E invece, non sono stato amato nemmeno modificando le mie alle tue volontà e desideri.
Non credo che non ti sia mai accorto che mi facevo violenza per piacerti!
Sarebbe bastato non un bravo, ma l’assenza di delusione per ogni mia, papà.
Nota, tornano sempre gli stessi argomenti tra noi!
È vero il detto che “la lingua batte dove il dente duole”, e quanto fa male ancora, padre mio.
Domani è il cinquantunesimo del tuo tempo infinito, e la tua solitudine è stata interrotta prima dall’arrivo della mamma e poi da quello di Carolina.
Ti fanno compagnia loro e non ti nego che un po’ sopravvissuto mi sento.
Ma so anche che il tempo è galantuomo e sana ogni vulnus.
Non ho fretta, ma è breve lo spazio della nostra, papà.
A te, la mamma e Carolina, a voi che siete l’eternità, il mio cuore e l’amore senza limiti di spazio e tempo.
Vale a voi.


Michele
San severo, 28 ottobre 2013

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