venerdì 31 luglio 2020

Questa mattina, zia Soccorsa


Questa mattina, zia Soccorsa


Il pensiero.
Dolore antico d’inflitto dispiacere.
Una zia.
Sorella minore di mio padre, zia Soccorsa.
Povera, povera, povera …
Il termine ripetuto all’infinito e non renderebbe la condizione.
Abitava un basso nel quale oggi non metteremmo un cane.
Il marito tisico e di sanatorio in sanatorio.
Di mestiere fornaio e malato sempre.
Zio Ciro Luca, e lo associo al fazzoletto sulla bocca che raccoglieva sangue.
Donna umile.
Quanto umile, la mia povera zia.
Miope, miope come una talpa e portava occhiali che erano fondi di bottiglia.
Cerchiati.
Gli occhi dietro piccoli.
Ma tanto piccoli che mi danno ancora le lacrime.
Tutti i fratelli la usavano disprezzandola e lei si sottometteva con una docilità che non comprendevo e ancora.
Era “sciuerta”, il più delle volte con l’accrescitivo, “sciuertona”.
Cioè trasandata, sporca, non curata.
Dava cattivo odore.
È vero, ma penso che lei non vedesse a un palmo dal naso.
Quasi cieca direi.
Provavo dolore per lei e non capivo la sua umiltà nel sottomettersi.
“Aspetta Soccorsa, ti do la sedia!”
Aspettava.
Si recava a fare visita nonostante.
Lo capiva che non era accettata, ma per affetto subiva il martirio.
Quando andava via lei si lavava tutto quello che aveva sfiorato.
Direi si sterilizzava.
Mio padre e non ricordo il motivo, ma quello che mi disse sì.
“Papà, per qualche giorno starai da zia Soccorsa, fai il bravo, mi raccomando.”
Ero piccolo, forse alla prima o seconda elementare e sono stato anticipatario, avrei gridato il mio no.
Ma a mio padre non si replicava e la condanna.
Avevo in schifo la mia povera zia e anche un suo bacio era repellente.
Stetti da lei meno di due giorni e papà corse a riprendermi.
Non mangiai e non bevvi, non dormii.
Seppi dopo dal commento di mio padre con la sorella Vincenza, la sua preferita, che la zia Soccorsa allarmata lo raggiunse a piedi in campagna, undici chilometri, e:
“Se non ti vieni a prendere il bambino, quello muore”.
“ Non mangia e non beve”.
“Non si è nemmeno coricato nel letto”.
Ridevano, e non so se della mia sensibilità bambina spregiudicata, o dell’azione in sé, io, però, questa mattina lacrimo la colpa.
Ho casualmente ripetuto un suo modo di dire e la stretta al cuore e le lacrime.
Con Tonia a dire.
Come lei potesse essere tanto umile nell’accettare il discrimine e sottomettersi.
Non lo capisco.
Una lavoratrice instancabile e ha allevato da sola sei figli.
Altri morti.
Di una bontà sconfinata.
Non era bella e se sì, non lo sembrava.
Ma che Donna!
La ricordo a portare mattoni quando si costruiva la casa insieme al figlio Donato, mancato muratore e non, sebbene molto giovane, per età.
Però da sola e senza l’aiuto di nessuno uscì da quella condizione di miseria assoluta.
È ancora in piedi la sua fatica ed è abitata dall’ultima delle figlie.
Conservo solo una foto di lei.
Non la metto per rispetto.
Mi sembra un delitto.
Sta lei afflitta e in lacrime con i figli e il marito a piangere il bimbo di pochi mesi morto.

Michele Cologna
San Severo, venerdì 31 luglio 2020
09:15:35




giovedì 30 luglio 2020

… desideri

… desideri
“pensiero abbandonato a un caldo mattino di una tardiva estate”
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I desideri sono gioia e piacere.
Ricerca e speranza.
Non sono quasi mai un buon percorso e in alcun caso un buon investimento.
L’uomo l’ha dimenticato e cammina confuso.
Andrà a sbattere.
Essi ci avvicinano più alla trasgressione che è sì sale e a volte peccaminoso della vita.
Ma la trasgressione è dell’attimo e della intimità, non della socialità e l’appartenenza.
Del dovere che del vivere è l’obbligo.
Un’inversione sull’autostrada della vita non consentita.
La piccola pausa, il tocco sfuggevole, il lambirne i limiti …
Ma non c’è cammino non faticoso e la vita è il viaggio d’esso.
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Michele Cologna
San Severo, lunedì 30 luglio 2018
07:58:06
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mercoledì 29 luglio 2020

… filo che non lega

… filo che non lega
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Incontro scritti e persone.
Leggo e ascolto.
Uomini un dì di forte socialità e civiltà, cultura e umanità.
Ragionamenti e affermazioni sofferti e compiaciuti.
Tanta rabbia e molta insoddisfazione.
Frustrazione.
Comune denominatore, forte disagio dell’Io nel bene e nel male.
Il Noi non esiste e non per scelta, un excludendum “a priori”.
Se la sintesi è vera, l’attenzione ha colto il vero, cosa divora l’Uomo?
Un male e lo definirei antropologico: l’Essenza perduta.
Non sa più chi Egli sia.
Tutto è cambiato e il cambiamento non ha mutato un’acca dell’inamovibile di sempre, aggravando le impossibilità soggettive, oggettive, culturali, civili, sociali.
Un uomo depotenziato in Atto, ma ancora di più e peggio, della cui Potenza in fieri non ne è più il titolare.
Come aquila atta a volare e dal DNA ricombinato, che salta gallina credendo di volare.
Un uomo fuori antropologicamente dall’Uomo.
Ente senza Entità e cerca tra i rifiuti di quello che fu nel bene e nel male.
Un mostro, un ircocervo alla ricerca di sé fuori di sé e con lo sguardo fisso su l’ombra, il simulacro che vede Uomo.
Questo il dato!
Fermare l’analisi all’esposto e far tacere il pensiero che per intero ha assolto il compito?
No, e voglio addentrarmi nel folto del bosco e trovare la strada.
Straordinaria visione e noti che l’insieme altro non è che la somma di tanti alberi e diversi che fanno corpo.
Ruoli e specificità che la Natura, dea creatrice, ha reso collaborativi fino a rendere la pluralità unità.
Illuminante.
E mi piace sorprendermi nuovo davanti al Creato.
Dio, come la Natura, ha dotato l’Ente uomo di quella Entità atta a rendere ogni singolo individuo partecipe dell’Umanità che è l’Io e il Noi, la Potenza e l’Atto, la Materia e la Forma.
Il singolo ha valore in sé in quanto collaborativo, da solo è fragile e misero, esposto a ogni intemperie.
La collaborazione centuplica le proprie potenzialità e la fragilità diventa marginale.
L’Uomo e l’Umanità.
La forza, l’equilibrio, la potenza, l’atto pur restando individuali nell’Umanità ingigantiscono e diventano Dio.
Direi aseità e una sola differenza.
Dio è aseità in sé e per sé.
L’uomo ne acquisisce le potenzialità nell’umanità che nell’in sé esplica Dio.
Penso superfluo precisare che Dio per coloro che lo citano e non lo temono, per i non credenti e gli atei, gli agnostici è sostituibile con la Ragione.
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San Severo,domenica 29 luglio 2018
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. . . come un gioco


. . . come un gioco
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come un gioco noi a cercare
ristoro
inappagato e non pe’ scorso
ancor vivo
forze a non reggere compito
d’età negletto

febbricola

e accompagna momenti e ore
giorni e
no piega lui che d’immanente
copre l’arco
piacere che non vuole a l’oblio
porgere fianco

il gioco

questi a sfinire de i sensi i labbri
passione che no cede
e l’orli mobile lei a lenire bocche
al bacio
e dita a sfiorare nature vagando
essenze
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michele cologna
san severo mercoledì 29 luglio 2020
09:45:50
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sabato 25 luglio 2020

Infinito Nulla

Infinito Nulla
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Ha salutato
e non s’è preso risposta,
il poverino.
Anch’io questa,
come tutte le mattine,
me meschino.
Prego
e nel segno aspetto.
Niente.
Continuo.
Lui s’avvicina e gli arriva
sempre.
Mai a me voce o carezza.
Diverso il nostro,
il suo vero e concreto, io!
Quello mio?
Assente e muto!
Un Pieno, Infinito Nulla.
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Michele Cologna
San Severo, sabato 25 luglio 2015
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I pronomi e la verità, o de la morte


I pronomi e la verità, o de la morte
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Come unica azione.
Gesto.
Espressione dell’inconsistente.
Tu e io.
Noi, e siamo parvenze.
Ombre indistinte d’un solo passo.
Storia che si azzera pe’ modo.
Uno.
Consuetudine che nega.
Identità che non è fonte,
l’uno è tutti.
Film senza regista.
Una sola scena.
Palcoscenico affollato e sgombro
d’entità e ente.
Plurale d’ogni singolo di sé nullo.
Un sé non a consumare il vero.
E i pronomi:
Verità postulata d’un sistema,
qualità di un solo calco.
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Michele Cologna
San Severo, giovedì 23 luglio 2020
07:15:06
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riservati
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MT 13,44-52


MT 13,44-52

San Tommaso d’Aquino: “Noi uomini siamo come una freccia già in piena corsa. Un altro ha preso la mira e ha tirato. Non spetta più a noi cercare un obiettivo: è già stabilito.

Così il Santo a commento del passo di MT 13,44-52 che riporto.

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Per coloro che hanno fede, essere freccia scagliata da un altro, forse è l’apice della felicità.
Ma per chi non ha fede?
Un insulto che gli toglie autonomia, identità e volontà.
Un burattino nelle mani d’altri.
E l’altri è il Potere.
Il Governo dell’Uomo su l’uomo che si fa Trascendenza.
Non voglio parlare, quindi, delle conseguenze di una simile concezione dell’uomo.
L’abbiamo già riscontrato nella storia che è percorso di crimini e assassini, inganni e tragedie, ogni nefandezza.
Una Verità così espressa dal Santo d’Aquino, come si concilia con la realtà dell’uomo?
Il Libero Arbitrio, si risponde.
La formula dell’inganno per salvare il potere e l’uomo.
Il potere che erra perché retto da uomini, la Santa Inquisizione.
L’uomo, dalla Shoah.
Dio ne è fuori e l’uomo “freccia” anche.
Un capolavoro e non lo definisco perché i termini peggiori non lo completerebbero nell’orrore.
Come possa definirsi “Verità” un simile e mostruoso pensiero, sentire, professare è cosa che non comprenderò mai.
Come possa conciliarsi una simile “Verità” con l’aspirazione dell’Uomo da Bene, con l’Umanità, con l’Amore è altrettanto incomprensibile.
L’aspirazione dell’uomo all’Ordine è legittima e sacrosanta.
Anche alla Libertà.
Perché allora arbitrio che è abuso, prepotenza, capriccio …?
Chi non è nell’Ordine sta nell’Arbitrio, e la Libertà?
Libertà è Amore e Amore è Libertà.
Stessa realtà di un solo Pensiero.
Perché la coercizione?
Non va questa applicata alla sola positività?
Solo il mio pensiero.

Michele Cologna
San Severo, sabato 25 luglio 2020
10:32:06




venerdì 24 luglio 2020

Volere che muore

Volere che muore
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A volte vogliamo e il volere fragile pianta battuta da rovente scirocco, asciuga afflosciando.
Ci muore tra le braccia e la voce non ha pianto.
La parola conforto.
Il silenzio è necessità e ripara.
Medicamento che solleva.
Altre, la parola c’insegue e libera.
Coglie e non è meglio.
Allora lo sguardo si vela di senso, e nel suo andare si sparge sfumando.
Solitario destino di un viaggiatore senza meta.
Involontario andare e l’imbrunire quieta.
Come un’attesa sospesa che si attende.
Un ricordo vivo che d’incerto si muove.
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Michele Cologna

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“Disambiguazione”

“Disambiguazione”
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Da qualche giorno la parola mi stuzzica.
Bussa.
Vuole attenzione.
Ascolto.
E questa mattina, prima del risveglio, sempre più insistente, “la disambiguazione”.
Erano le 04.50 e giù dal letto.
Cosa vuole?
Perché questa insistenza?
Intervento su chi?
A togliere ambiguità a chi, a cosa?
Parola, frase, vita?
Sapere?
Ecco, è a costui che va applicata la disambiguazione.
Come penso lui, la quiete.
La parola trova riposo.
Io il tormento.
È vero, non essendoci verità, non c’è sapere.
Tutto il sapere non può stare che nella sua disambiguazione.
Sapere di non sapere.
Ma lo pratico e da anni, non capisco questa insistenza!
Come a scendere la scalinata che porta in cantina e fai l’occhio.
Non parto dai fondamenti.
Da una grammatica data, una sintassi e consecutio.
Fonemi e parole, categorie e concetti, sinapsi.
Non sono la tabula rasa e quindi la mia disambiguazione parte viziata.
Allora?
Scordare nell’accezione di togliere l’accordo e non solo dimenticare.
Partire nuovo e annullare, obliterare tutto.
Nudo, senza veste alcuna e confezionata, a significare il vivere nello scibile.
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Michele Cologna
San Severo, venerdì 24 luglio 2020
07:05:06

***
Ieri ho scritto una poesia dal titolo “I pronomi e la verità, o de la morte”.
Non volevo pubblicarla per tanti motivi, uno preminente, “nega”.
Nega e la affido alla vostra lettura e l’intelligenza in separata nota.

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giovedì 23 luglio 2020

la bonanima

la bonanima


Non riuscivo a comprendere questo appellativo da bambino.
Mi faceva un po’ senso e quasi soggezione e immaginavo chissà che uomo e grandi meriti.
Capii quando fanciullo morì un mio familiare dei quali tutti dicevano peste e corna e tutto il male possibile.
A ragione, una carogna d’uomo.
Dopo la dipartita era diventato buonanima.
Sentivo le mie zie e cugini molto grandi, dell’età di mia madre e anche più, “la bonanima”.
Che brutta sensazione!
Ancora oggi provo una sensazione sgradevole se non raccapricciante.
Quando morì mio padre e i miei familiari, la parte del mio papà, usarono questo appellativo per lui, mi opposi con tutte le mie ragioni e forze.
Mio padre era mio padre e di nome Leonardo e non “la bonanima”.
Ci disputai e litigai.
Alla mia presenza l’appellativo per definire mio padre non fu più usato.
Trovai mia madre e mia sorella Carolina solidali.
Perché questo accenno oggi?
I mass media tutti e ancora non muore, stanno tessendo elogi sperticati e ipocriti a lui che sta molto male.
Parlo di Sergio Marchionne.
Un santo e manca poco per portarlo agli altari.
Qui su FB un network di deficienti e “Dio mio”.
Se si avanza qualche perplessità si viene aggrediti e fagocitati.
La malattia e la morte di tutti gli uomini va rispettata sempre.
Ma Totò Riina morto, era lo stesso che vivo.
Un delinquente e stragista mafioso da vivo, tale da morto.
Marchionne un uomo che non ha fatto del bene all’Italia, agli italiani, agli operai e all’industria italiana.
Non ha rispettato le leggi italiane e neanche le sentenze giudiziarie.
Ha preso tutto e ha lasciato i debiti all’Italia delocalizzando.
Licenziato senza pietà e il suo salario tra premi, bonus e retribuzione quattromila volte quello di un operaio specializzato.
Uno bravo per la Fiat e per se stesso senza alcun dubbio.
Embè?
Tutta questa celebrazione e lutto prima di morire?
Lo proponiamo santo?
Gli italiani sono popolo mancato e non hanno memoria.
I politici alla Renzi la coda di paglia.
I mezzi di comunicazione creare il caso.
Dispiace per l’uomo e lo ripeto, ma è stato socialmente e civilmente una brutta persona.
È appartenuto alla “razza padrona” si sarebbe detto un tempo e da non avvicinare per alcun motivo a uomini come Falk, Pirelli e gli stessi Agnelli.
La misura e la malattia e la morte non cancellano il vissuto.
Solo la vita.


Michele Cologna
San Severo, domenica 22 luglio 2018
19:04:22

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