lunedì 6 luglio 2020

La ragione per la quale uno scrittore scrive?

 La ragione per la quale uno scrittore scrive?

Parliamo di scrittori.
Chiaro, quelli veri.
Non di coloro che, come bambini delle Materne, sporcano i fogli e credono di aver creato l’opera d’arte.
Qual è la ragione per la quale uno scrittore scrive!?
Per fare soldi?
Essere ammirato e gratificato da una moltitudine di fans, ancor meglio se giovani e belli?
Essere ricordato a futura memoria, magari per il tramite della propria effigie?
Oppure, ancora, per assaporare la vertigine postuma di qualche strada a proprio nome?
Tante altre ipotesi simili potrebbero essere formulate, e tutte conterrebbero una briciola di verità.
Ma la ragione più autentica, vera qual è!?
Perché uno scrittore si sottopone alla fatica di scrivere?
Azzardiamo qualche congettura: forse per comunicare il proprio pensiero!?
Chissà, per parlare ai posteri anche quando egli non farà parte più della comunità dei viventi!?
Per lasciare una testimonianza dell’epoca, del periodo, di un accadimento?
Forse perché pensa così di onorare il Logos, la Parola che è l’unica cosa che fa la differenza con gli altri animali!?
Queste supposizioni se non contengono tutta la verità una parte consistente certamente sì.
Fermiamoci.
Quest’estate, ultima settimana d’agosto, son venute a trovarmi a San Severo due amiche francesi, Mireille e Maryse, conosciute in internet.
Entrambe queste signore, di età attempata 67e 62 anni, amano la lingua e la letteratura italiana.
Per integrare il ritratto, o marcare la differenza con la nostra mentalità che erige mille impedimenti alle nostre ragazze, diciamo che 50 anni fa, queste allora signorine son venute in Italia, soggiornandovi un anno, - una presso l’Università di Siena, l’altra presso quella di Napoli – per sostenere l’esame di lingua italiana.
Ora una è in pensione, Mireille e l’altra, Maryse insegna in Germania, ad Amburgo teatro francese.
Con delle persone che amano l’arte, la letteratura di che cosa vuoi parlare se non di arte e letteratura?
Stava Maryse leggendo le Novelle del Verga e quasi tutti i giorni me ne scriveva stupita ed estasiata.
Suggerii lei il capolavoro dello stesso i Malavoglia e partendo da questi le descrissi un po’ il nostro Mezzogiorno e, a mia volta innamorato, la nostra civiltà contadina.
Le parlai delle antiche produzioni, del nostro territorio.
Degli usi e costumi da tempo dismessi e ora più che mai.
Della laboriosità di coloro che avevano trasformato una terra assetata in giardino.
Dei vigneti a filari, degli olivi, i cotogni, i mandorleti che si stendevano a perdita d’occhio.
Dei cafoni afoni per cultura scolastica ma che la sera, dopo una giornata di duro lavoro, tornando a casa a piedi o i più fortunati in bicicletta, omaggiavano le loro signore con un garofano rosso. Fiore immancabile in ogni pezzettino di terra.
Il pezzo di terra come salvadanaio per maritare le figlie.
Il duro, duro lavoro e la grande serenità, l’intelligenza di un popolo che il grande meridionalista Tommaso Fiori aveva definito “un popolo di formiche”.
Parlando di tutto ciò potevo non accennare del più grande sanseverese che di questa dura civiltà ne ha scritto commosso pagine indimenticabili?
Il nostro Verga: Nino Casiglio con i suoi “Acqua e sale”, “Il Conservatore”, “La Strada Francesca”, “La Dama forestiera”…
Accesi tanto la loro curiosità che nel programmare le loro ferie inclusero una settimana per visitare San Severo, Monte Sant’Angelo, Vieste.
Evidente e grande fu la loro delusione nell’osservare il contrasto tra la bellezza del paesaggio e il degrado della nostra campagna.
Dappertutto terra bruciata. Arsa dal sole ma ancor più dalla mano dei nostri fieri “imprenditori” agricoli (non contadini, questi sono altra cosa).
Altrettanto sbalordimento nella forte contrapposizione tra la bellezza del nostro centro storico e l’abbandono, la sporcizia, la stravaccata sguaiataggine dei novelli abitanti dello stesso.
Mi sentii ladro delle loro aspettative.
Li condussi da Notarangelo con l’intento di sdebitarmi donando loro qualche libro del nostro Verga: Nino Casiglio.
Nessuna disponibilità.
Nino Casiglio è afono.
La sua voce, il suo pensiero sono morti. Con lui.

Michele Cologna
4 dicembre 2008

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