mercoledì 18 novembre 2020

Elzeviro …

Elzeviro …
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Come davanti al dio delle verità mancate, la confessione.
Non comprendo la lettura come distrazione.
A me non è mai capitato.
La leggerezza non mi tiene, m’è insopportabile presenza.
Un incentivo alla pigrizia.
Quella nella quale affonda la propria libertà lo schiavo.
Le mie letture e senza distinzioni, sono fatica.
Tante volte riequilibrarmi, per sentire la vita che fugge al senso, o il ritorno ad essa dopo una pratica vicinanza all’uomo.
Il disagio del saggio, l’entusiasmo del neofita.
E non riesco a leggere seduto comodamente né a letto, o in qualsiasi altro posto che non sia il mio posto di lavoro.
La matita in mano come a mantenerne l’obbligo.
Anche gli scritti ritenuti leggeri, non impegnativi. Ho necessità di leggerli, studiarli, appuntarli seduto con tutto l’impegno e l’attenzione necessari.
Quanto si parla di scorsa o di lettura veloce, divertimento, io perplesso zittisco.
A me non capita.
Quando mi corico è solo per dormire e l’attesa del sonno è pensiero che completa la fatica.
Non scorro i periodi per accumulare pagine e diffido dell’ascolto, mortificandomi per incapacità.
Ci sono libri che sto leggendo da una vita, e ancora non li completo conservandoli mia vergogna.
Come un difetto congenito, vado al periodo successivo quando della scrittura tutto mi è chiaro.
Anche l’inconfessato di chi ha scritto.
La lettura mi dà chiara l’immagine dello scrittore e l’affaccio con la cosa, essa e i particolari.
Alla fine reputo di conoscere lo scrivano nella verità a lui sconosciuta.
Potrebbe essere anche non vera la mia impressione, ma da quello scritto ho estratto l’anima.
Anche un commento qui su FB che il più delle volte viene lasciato “così tanto per …”, m’impegna e non leggo mai nessuno con sufficienza.
Ci stanno alcuni che affermano di leggere i miei scritti due volte a segnalarne la difficoltà o la mia poca chiarezza, non so!
Penso, beati loro.
Io i miei, anche subito dopo averli partoriti, ho necessità di leggerli e rileggerli … e ancora.
Tante volte fino a quando non afferro i vari sensi nascosti o a me non chiari.
E un commento particolare mi riporta ancora sul luogo a comprendere.
Anche i compiti a casa, studente non li completavo mai.
Lasciavo per stanchezza, rinuncia, abbandono e mai una volta con la consapevolezza d’avere ben compreso.
Mai sicuro e il terrore dell’impreparato sempre.
Ho maturato la convinzione che gli uomini siano dei provvisori impreparati per natura.
Al vivere, al comprendere, al sentire e si integrano affidandosi.
La fede in altro e altri li completa.
Così a tredici, quasi quattordici anni, ragazzo di terza media, metto insieme le spiegazioni del professore di scienze sull’evoluzione, quelle del professore di religione sulla creazione, le traduzioni dal latino de “La voce di Roma” e le spiegazioni di don Pinto, l’ascolto della lettura di alcuni canti della Divina Commedia e pongo la domanda al mio professore d’Italiano don Gerace Draisci.
Gli servivo messa ogni mattina.
Grande intellettuale e “prete di Dio”, in lacrime durante la consacrazione e mi guarda stupito.
Sono passati quasi sessant’anni e ho davanti agli occhi la sua espressione in cattedra e gli occhi pensierosi e lucidi.
“Cologna, nessuno può risponderti!”
“Ogni giorno a Dio chiedo e la risposta sono le mie lacrime.”
Cosa avevo chiesto di grande e di terribile?
Ancora non trovo la risposta e le sue lacrime durante la celebrazione sono ancora le mie.
Più volte, dopo i salesiani, mi sono recato a trovarlo.
Mi vergognavo da solo e cercavo sempre qualcuno che mi accompagnasse, Enzo Buoncristiano ingegnere e insegnate ora in pensione, per distogliere il suo sguardo indagatore e pulito dal mio che si abbassava.
Nella sua poltrona con lo scialle nero smunto sulle spalle e malato, al freddo in quella casa vecchia e umida, conservava gli occhi lucidi e vivi delle lacrime.
Mi poneva la mano sulla testa al distacco.
Poi …
Le cose belle finiscono.
Sono a termine come le brutte.
Le lacrime lo spartiacque.
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Michele Cologna
San Severo, giovedì 17 novembre 2016 - 8:10:37 –
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