giovedì 26 marzo 2020

L’offeso e l’offesa …


L’offeso e l’offesa …

Giornataccia, quella di ieri.
Nera, buia nei pensieri.
Scuro il pensiero e non trovavano luce le parole.
Perché?
Sto facendo la vita che ho scelto da quasi vent’anni.
Sì!
Io non ho avuto bisogno nel coronavirus per mettermi in quarantena.
Ci sto serenamente e se fossi superficiale di cervello direi felicemente da tanti anni.
Allora?
Ho pensato, pensato e ho trovato la ragione.
Sono offeso e l’offesa è all’uomo.
All’uomo e poi anch’io sono uomo.
La paura?
Ragionevole come penso tutti e ho sempre saputo che si muore.
Ho scritto sulla stupidità d’avere bandito dalla vita la morte.
Non è paura sebbene il tarlo.
Perché sono vecchio e non posso più lavorare, non ce la faccio proprio, e sono costretto per mangiare a recarmi a fare la spesa.
Naturale, ha risposto mia moglie!
Voi lo stesso, penso.
Ho rimproverato a mia moglie di non avere memoria, anche a voi.
Sbalordiva la mia edicolante, Anna Chiaromonte, precocemente scomparsa, per la mia.
Non dimentico nulla, e le cose insignificanti mi tormentano.
Le ho ricordato che una volta e io fanciullo, non si faceva la spesa.
Questa era evento per accadimenti e non per il quotidiano.
Subito mia moglie, “per voi che stavate nella ricchezza!”.
Il suo papà, sfortunato e morto giovane, era bracciante agricolo e sulla miseria del salario doveva campare sei figlie femmine e la moglie.
Come reduce di guerra gli era stata assegnata mezza versura di terreno che aveva trasformato a vigneto.
Quel salvadanaio era per maritare le figlie.
La farina gliela dava l’altra mezza versura coltivata a grano che con smisurati sacrifici era riuscito ad acquistare.
Aveva il pane e la pasta.
Sua moglie e le sue figlie contro ogni carestia avevano di che sfamarsi.
Abitava in città perché la locomozione era a piedi o la bicicletta e doveva recarsi a casa del proprio datore di lavoro ogni mattina, ma la sua dimora del giorno era la campagna.
Smetteva la lunga giornata da salariato e si recava nella sua a lavorare da padrone.
A bocca aperta e senza risposta mia moglie, se non, “erano altri tempi”
Ebbene questo è un altro tempo.
Per completare, non ancora in età scolastica e mio padre alcune volte mi portava con sé.
Dopo il ’53 con la macchina, ma prima con lo “sciarabà”, calesse leggero balestrato trainato da cavallo trottatore, e in questo tragitto una festa.
La campagna abitata e donne e bambini e li conosceva tutti mio padre che per nome reclutava la mano d’opera necessaria per la sua campagna.
Non faceva la spesa quotidiana solo il benestante, ma nessuno se non gli “stipendiati”, tipo gli insegnati e i dipendenti pubblici che subivano l’umiliazione della “carta gialla” sulla quale l’esercente appuntava il comprato.
Si pagava alla riscossione della mensilità.
Il ricordo del bambino che arriva di corsa nel genere alimentari e per non dimenticare grida, “Armandino, mammina mi ha detto …”.
La protesta, “Ma il ragazzo è arrivato appena adesso, io sto prima!”.
“Signora, il ragazzo porta i soldi!”
E oggi l’esercente deve dire, “no, signora, di questo prodotto può prendere solo tre confezioni!” e io a mia moglie, “ma l’hai mandato a quel paese?”.
Ho chiarito l’offesa?
Ma c’è di più!
Lo stiamo vedendo e quello che fino a oggi ci sembrava una iattura, stiamo comprendendo l’importanza.
Il lavoro e la tecnologia.
Si poteva fare a meno del lavoro e tanti prodotti, lì dove si produceva a meno.
Delocalizzare l’imperativo.
Ora?
I lavoratori un residuo del passato.
Ora?
Sì, li chiamiamo eroi.
Noi a temere di mettere il naso fuori e costoro a lavorare per farci mangiare e per curarci.
Tutti, tutti, tutti a giocare a chi più poteva tagliare sulla sanità.
Miserabili!
La tecnologia e oltre al bene supremo dell’informazione immediata, il lavoro in remoto.
Si dice così?
Diavolo, si scopre che in remoto si può fare di tutto.
E allora le città?
Questi agglomerati spaventosi e incontrollabili a cosa servono?
A concentrare epidemie?
Cosa?
Se posso fare quasi tutto da casa vado a collocare la mia casa dove mi piace, sto bene e guarda, guarda, posso non recarmi a fare la spesa ogni giorno.
E i disoccupati a fare gli artigiani.
A produrre ciò che non era remunerativo per vivere a Milano, Roma e altre città mostro.
Ecco, mi sento meno offeso se non dalla vecchiaia che non mi può portare ad applicare il pensiero.

Michele Cologna
San Severo, giovedì 26 marzo 2020
09:26:11





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