lunedì 16 marzo 2020

“La vita è un viaggio sperimentale, fatto involontariamente”

“La vita è un viaggio sperimentale, fatto involontariamente”.
Durante questo viaggio immagazziniamo immagini, sensazioni, emozioni, fatti, avvenimenti, accadimenti…
Se siamo attenti. Accorti. Sensibili...
Se introiettiamo la vita.
Se, cioè, l’assimiliamo e non ci scivoliamo sopra, come acqua su vetro, tutto ciò entra nella nostra esistenza.
Diventa parte di noi.
Direi, diviene la nostra ontogenesi.
Le gioie, i dolori, le speranze, le rinunce, i lutti, le malattie, le tragedie…
Le sensazioni e le percezioni; gli amori vissuti e quelli mancati…
Le vite di coloro che ci hanno amato e quelle di coloro che ci hanno soltanto sfiorato…
Gli odi vissuti e quelli subiti…
I pensieri consumati e le aspettative irrealizzate…
I progetti che hanno avuto vita lunga e quelli che non sono sopravvissuti alla loro formulazione e pure ci dolgono come lutto irrimediabile…
Tant’altro ancora, quante sono le cose della vita: diventano la nostra carne, il nostro sangue.
I nostri cromosomi.
Sono, è la nostra vita.
La vita di ognuno: è la propria memoria.
Siamo ciò che siamo stati.
Niente di più!
Se la nostra vita è la memoria che di essa abbiamo: allora, dobbiamo sì conservarla. Sì lasciarci guidare. Sì farci da essa commuovere. Sì osservarla con gli occhi della melanconia.
Ma dobbiamo anche viverla in fieri per arricchirla, completarla, riempirla di nuovo.
Di futuro.
Futuro che si insedierà ed evolverà ancora in sentimento, emozioni e quant’altro, entrando nel ciclo appena enunciato.
Sì, ci sono momenti in cui le difficoltà o le contingenze, le ingiustizie o le ingiurie, gli errori o gli eventi che non controlliamo ci portano a rifugiarci nella memoria e ci fanno apparire il nuovo non degno, inficiante della vita che siamo stati.
I progetti formulati strappati, le attese agognate svanite, il percorso per raggiungere le nostre mete e quelle dei nostri cari impossibile, e la stanchezza, la sfiducia, il panico s’impadroniscono di noi che inorriditi volgiamo la testa e lo sguardo al passato e lo rivalutiamo e lo reinterpretiamo alla luce delle cose imperiture che esso ci ha consegnato.
E la vita ora, all’ombra della riformulazione, ci appare differente.
Prendono, acquisiscono valore le cose della quotidianità che niente potrà modificare, mai nessuno potrà toglierci.
Tale processo, quando avviene e ci arricchisce del “particulare”, è il benvenuto perché amplifica le nostre sensibilità.
Ci fa osservare ora la vita in maniera più stringente e ci completa di quell’umanità che altrimenti ci sarebbe forse per sempre rimasta estranea.
Questo modo nuovo di sentire, però, se non è coniugato con la vita della cose, delle relazioni, della realtà, del divenire individuale e sociale, ci fa avvitare su noi stessi e immiserire.
Spegnerci.
Con gran danno, nocumento nostro e di coloro che ci stanno intorno e verso i quali abbiamo l’onere, l’obbligo della responsabilità.
Non erma dallo sguardo fisso, quindi, non maschera bifronte paralizzata dallo sguardo dissociato, ma uomo nell’accezione più completa, autentica.
Ciò che siamo stati che dà memoria a ciò che saremo.
Il futuro pregno di vita nuova che contempla la proiezione della vita che siamo stati.

©Michele Cologna

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