martedì 19 gennaio 2010

A Giorgio Napolitano

A Giorgio Napolitano,
Presidente della Repubblica Italiana.

Uno Stato di Diritto racchiude in sé lo Spirito Oggettivo dei suoi cittadini.
Nello stato di diritto si trasferisce il diritto soggettivo di ogni suo cittadino e questi, essendo l’espressione delle singole eticità, ne incarna l’etica oggettiva, e in un processo dialettico restituisce ai cittadini l’etica individuale.
La sintesi estrema non inficia il concetto: nello Stato è racchiusa l’etica di un Paese che tutti i cittadini son tenuti a osservare attraverso l’osservanza delle leggi.
Certo parliamo dei diritti e dei doveri e non delle disponibilità.
Le disponibilità sono inalienabili, altrimenti avremmo uno stato etico.
Solo il diritto positivo giace nello stato e le sue leggi.
Questa epitome molto arrischiata per affermare che tutti i cittadini son dovuti al rispetto delle leggi e in maniera particolare gli eletti che ne diventano i custodi e anche i facitori attraverso gli strumenti che quello stato si è dato.
Lei, signor Presidente della Repubblica, con la lettera alla signora Craxi, legittima da un punto di vista personale, ha riconosciuto che l’illegalità, il non rispetto delle leggi, l’eticità dello stato sono non una conditio sine qua non, ma una variabile.
E questo affermato dalla massima carica dello Stato mette a repentaglio ogni parvenza di legalità.
Lei dovrebbe avere il coraggio di prendere atto del suo errore e emendarsi. Se questo non le riesce dovrebbe dare le dimissioni.
Craxi è stato uomo che ha gestito la cosa pubblica al di là dell’etica dello stato (che è l’etica dei suoi cittadini) e al di là delle leggi (che sono le condizioni a cui tutti sono sottoposti).
Cioè, è stato una persona fuori dalla legge e dalla morale pubblica.
Ma lei, Giorgio Napolitano, non è nuovo a queste sue posizioni.
È stato a capo della corrente “riformista” del vecchio PCI e già allora un poco di confusione la faceva.
Tanto è vero che la cultura politica non gli riconosceva il titolo di riformista, ma quello di “migliorista” che è altro.
Riformista è colui che ha in mente una politica, una forma di stato e dialoga con la parte avversa per trovare tutte le probabili intese che possano, attraverso piccoli passi, approdare a quelle.
Appunto riforme.
Migliorista è colui che osserva la realtà (per darle lustro potremmo usare la formula aristotelica: aequatio intellectus et rei) e cerca attraverso il dialogo, l’intesa o il sotterfugio, cioè il male minore, di migliorare la situazione.
Appunto migliorare, ma se esiste una situazione d’illegalità, si migliora l’illegalità!?
Lei entrò in contrasto molte volte con Berlinguer accusandolo di moralismo.
Voglio sperare che non l’abbia capito allora e continui a non farlo.
Le due figure etiche della politica del dopoguerra italiana sono Aldo Moro e Enrico Berlinguer.
Sono la tesi e l’antitesi di quel processo dialettico dello spirito oggettivo della stato del quale ho premesso.
Io che non sono stato comunista nell’accezione ideologica, ho aderito a quel partito perché, per paradosso, era l’unico vero difensore dello stato di diritto in Italia.
Interpretava lo spirito socratico, le leggi vanno cambiate, ma fin quando non cambiano si osservano.
Ecco la degenerazione morale di cui parlava Berlinguer e che Craxi incarnava.
Dall’altra parte stava la figura straordinaria, oserei dire eroica di Aldo Moro.
Il suo compito era ancora più difficile di quello di Berlinguer. Egli aveva la zavorra di un partito che governava assecondando ogni mal di pancia e costume della società italiana.
Vi era di tutto in quel partito dai sinceri democratici ai reazionari e altro e altro ancora.
Moro, consapevole di ciò, cercava di portare avanti il tutto nella sincera convinzione d’arrivare a una democrazia compiuta con il dialogo e in maniera particolare, il commensale escluso.
Appunto la conventio ad escludendum di cui parlava Berlinguer.
La tesi senza l’antitesi non chiudeva il cerchio della democrazia compiuta.
Non si realizzava quello spirito oggettivo che rendeva tutti gli italiani cittadini uguali.
Due figure altamente etiche e politiche che erano il cardine della vita pubblica italiana.
Berlinguer del Compromesso Storico, Moro delle Convergenze Parallele.
In questo scenario s’inserisce Craxi sconvolgendo non la politica con la politica, ma sconvolgendo la politica con il ricatto.
Ghino di Tacco che esigeva il pedaggio.
La storia la conosciamo e Craxi, pur d’avere appoggio, mette insieme il peggio che la realtà offriva.
Andreotti, Forlani e i poteri oscuri.
Usa i soldi pubblici a fini privati e saccheggia quel poco di legalità che ancora persisteva.
Egli al di sopra della legge.
Ma mentre i figuri della Dc che Moro combatteva, davano parvenza di legalità al loro malaffare, Craxi erige la sua illegalità a sistema.
Egli veste i panni del corruttore della vita politica, governativa, amministrativa di questo Paese.
Occupa tutto, non c’è spazio dove la politica corrotta non entri con prepotenza a occuparlo.
Per sommi capi questo è stato Craxi.
Uno statista?
Un perseguitato?
È stato un uomo di malaffare giustamente perseguito e sfuggito alle carceri italiane grazie alla latitanza.
Il riconoscimento postumo da parte del Presidente della Repubblica Italiana, è un vulnus insopportabile.


Michele (san severo 19/01/2010 11.52.51)

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