domenica 31 gennaio 2010

Primizie restituite…

Primizie restituite…

Il pensier mio, de lo scrigno tuo
la chiave, dona ai preziosi tuoi
libertà… e s’affaccian sì gioiosi
al cuor, che in folate il li mostra,

e, a stormi fluttuanti girandole di
variopinti petali odorosi, e, suon
di veli ondeggianti sogni… su teli
d’adombrati arabeschi, carezzano

ara di novelle nozze: sacrificatrice
antica. Rugiada, lacrime di special
fattura, sgorga e irrora attesa, cui
gravida di speme, schiude a nuova

vita la natura. Passion si riveste di
suo, e di porpora color l’universo.
Morfea abbandona l’ombre e rende
a li amanti le primizie non provate.


Michele (s.s. 31/01/2010 9.59.48)

venerdì 29 gennaio 2010

Inchino al sentir tuo il mio…

Inchino al sentir tuo il mio…

Invero, il padre tuo non sono.
Non ho pensato esser lui per un sol momento.
Meschino, di confessione tuo il manto m’occorreva a coprir la mia…
Vergogna!?
Sì!?
A volte il pensiero ancor ruffiano, poi ti porta dell’abietto al pianto.
Or so che la stessa ferita ci reca a tormento.
La tua che giovane di me alimenta il taglio…
dà brividi che novella linfa il tarlato legno irrora.
Codice ella m’impone, e rinunce assai grevi…
Bellezza mi travaglia, e il cuor mi strugge d’amori ammaliati di dolci suoni?
Sì!, è vero.
Di qual peccato sia il verbo dell’amor che non arreca dolo?
No, io non so!
Alta è la posta, certo, e rinunciar non posso...
E seppur nessun delitto il suon trascina, ammendante inchinerà al desio.
Quando quiete avrà il dominio espanso, dimmi, o mia Signora:
ne li occhi tuoi cullerà i suoi la dolcezza?
amor ch’ora pascola il tuo verde e arde le stoppie sue, camminerà teco?
vergineo il fior tuo olezzerà avante l’immago d’anni percorsa?
danzeranno i vostri di petunie e d’asfodeli i sentieri al cammin?
Se pietosa chinerai lo sguardo tuo a le rughe del tempo…
e lacrimerai amari e lai a l’osato, che sarà del suo cuor straziato?
Nomade e fiero il passo monti e mari e piane navigò senza approdo…
e ne la memoria mal riposto conserva ardor, ma vecchio a lui cederà il cor.


Michele (san severo 29/01/2010 20.10.37)

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mercoledì 27 gennaio 2010

Consegnami la tua Frusta...

Consegnami la tua Frusta, oh Signore!
Prestami la Parola che corrode!
Dammi la Forza del mio Tempio!
Fa che il Martirio della mia smascheri il Verbo!
Che la Memoria di scorie libere, tuoni!
Il Mostro che mi abita la Mente, abbandoni l’inganno…

Egli d’abiti cangianti vestiti, confonde.
Abiura continuando e falsifica pontificando.
Emette vagiti di nuova vita e semina terrore e morte.
Nelle immagini riflette pietà, e obnubila la Mia.
S’inchina al Ricordo, e subdolo tace il cammino.
Il Calvario copre bugiarde verità d’antiche remissioni, e sparge d’incensi e fiori nuovi Gòlgota che olezzano miasmi.

Concedi a me, Mente del mio Dio, la potenza del fulmine.
La facoltà di scacciare dal Tempio Scribi e Farisei.
Di ridare all’uomo affinché lo risieda l’Uomo…
E la Memoria che è parto di Tormento e Dolore.


Michele (san severo 27/01/2010 9.30.15)

lunedì 25 gennaio 2010

Vita di pensiero…

Vita di pensiero…

Vita molto dura quella del pensiero.
I pensieri, come tutti sappiamo, sono molto riservati e preferiscono quasi sempre non mostrarsi.
Assai pudichi, s’intrattengono nella loro sede, e quasi sempre consumano se stessi nell’anonimato della propria abitazione.
Ma come accade nella vita e in tutte le cose, anche tra i pensieri c’è varietà e tanta, che s’estrinseca nei comportamenti, e nei modi di percepirsi.
Questa del percepirsi il più delle volte è condizione della loro esistenza.
I pensieri son di salute cagionevole e questo limite li porta a essere caduchi, effimeri, evanescenti.
Ad avere vita molto, molto breve.
Consapevoli di questa loro labile caratteristica, ambiscono uscire, mostrarsi, e sperare di coniugarsi con la scrittura.
Certo, capita proprio così: una volta innamorati, s’accoppiano, e la scrittura li rende per sempre visibili, fissandoli sulla carta.
Perché altra loro peculiarità, per coloro che non l’avessero compreso, è che oltre la salute cagionevole, i pensieri non hanno visibilità.
Sì, sono invisibili!
Cosa accade allora?
Succede che - se vogliono mostrarsi - devono chiedere soccorso alla parola.
La parola per legge di natura è obbligata a collaborare, deve mettersi a disposizione del pensiero.
Non può rifiutarsi.
Questi, il pensiero, sapendo bene che verba volant e scripta manent, una volta diventato pensiero scritto, durerà nel tempo.
Almeno così crede.
Infatti, se sarà particolarmente accorto nella scelta delle parole, ma apriremo una breve parentesi su questo punto, avrà vita lunga.
Durerà, sopravvivranno nel tempo.
No nel tempo come concetto astrale, cosmico, ma nel tempo degli uomini.
La scelta delle parole…
Questa è condizione essenziale: uno, per diventare visibili; due, per il “matrimonio” con la scrittura; tre, per la durata della propria esistenza.
Si capisce chiaramente che la condizione due e tre sono subordinate, hanno connessione stretta alla uno.
Più la scelta delle parole sarà oculata, precisa, scientifica, calzante al pensiero, più garanzia dà di durata.
Ma come si scelgono le parole?
Accesi dibattiti non hanno mai stabilito una volta per sempre cosa sia la Parola.
Alcuni credono che sia diretta emanazione del Logos; altri che sia il nome ontologico delle cose, gli oppositori a questa tesi dicono: no, risiede nella loro logica; tanti che sia mera convenzione…
Altre e altre posizioni potremmo riportare, ma non faremmo che accrescere confusione a un dibattito già nel caos, che poi sappiamo è il massimo della stabilità.
Dirò la mia che con qualche argomento, credo sia la più appropriata, verosimile?
Le Parole esistono al di là di ogni interferenza o contaminazione.
Esse sono invisibili e abitano l’iperuranio.
Lì svolgono la loro vita che è essenza.
Distillato di divino.
Aseità.
Scopro l’acqua fresca dicendo che esse son di genere femminile, e che hanno sensibilità molto accese.
Come ogni entità di questo genere, sono deliziose, squisite, gioiose, generose, pronte all’incanto, portatrici di vita…
E vivono questo emisfero in piena gioia e Armonia.
L’armonia è la loro forza generatrice.
Molto disponibili all’innamoramento, pronte all’Amore sono ansiose d’essere corteggiate…
Abbiamo detto che per legge di natura esse sono obbligate a collaborare col pensiero, così quando il pensiero chiama, le sceglie non possono che obbedire e, bla, bla bla, il pensiero prende identità.
Corpo.
Questo è quello che normalmente accade.
Però - nella vita di tutte le cose c’è sempre un però -, se questa legge di natura fosse rigidamente applicata, avremmo struttura di pensiero fisse, sempre uguali.
Nessuna variazione a uno stesso tema, e invece non capita quasi mai.
Perché?
Il pensiero ha una propria sede, una propria abitazione, abbiamo detto all’inizio, risiede nella Mente dell’uomo.
E l’uomo è quell’essere cangiante e dai comportamenti multiformi, che coniuga il pensiero al suo modo d’essere, di sentire.
Se è prepotente, obbligherà il suo pensiero a catturare con durezza le parole e piegarle alla propria volontà.
Se è duttile, sceglierà le parole per soddisfare quella necessità di coinvolgimento, di piacere, di condivisione…
Se è dimesso, troverà parole smussate, timide, dimesse affinché non suscitino ire, reazioni in chi le ascolta, ma considerazione, comprensione… pietà.
E poi altri tipi di uomo che piegheranno sempre il pensiero a scegliere in base alle loro esigenze, bisogni, necessità.
C’è una sola eccezione che vogliamo segnalare, altrimenti non avrebbe senso il discorso condotto fin’ora, ed è un tipo particolare d’uomo: il poeta.
Costui ha un approccio particolare col proprio pensiero e quindi con le parole.
Egli si ferma a osservare, comprendere, ascoltare i propri pensieri, i quali liberi da condizionamenti, coercizioni, obblighi… giocano con le parole.
Fanno innamorare le parole della loro bellezza, sincerità, armonia…
Le parole che sono Armonia in sé, li coprono della loro e gareggiano in beltà, giocosità, passione, amore…
Quando le gioiose, armoniose, chiacchierine hanno completato la gestazione partoriscono del poeta il pensiero.
In quel momento i Cieli e la Terra, e le Anime e le Cose cantano dell’Armonia del Pensiero.


Michele (san severo 25/01/2010 8.39.54)

sabato 23 gennaio 2010

A volte…

A volte…

A volte m’osservo estraneo e non sento il dolore che m’attraversa.
Lo analizzo con la mente lucida della scienziato e lo suddivido, sottraendolo al sentire.
Ci riesco quasi sempre e nella follia della lucida consapevolezza, trovo ristoro.
Guardo me stesso senza pensarmi.
Sento il mio dolore e non è il mio.
Lo curo negli abissi del nulla e lo sottraggo alla derisione della superficie.
Vedo senza vedere e sento senza sentire.
Sono estraneo a me stesso e mi compiaccio nella neutralità.
L’incanto s’interrompe se percepisco il dolore altrui.
Ridivento umano e perdo la lucidità dello scienziato.
Smarrisco la capacità di procedere alla dissezione, e il cadavere che mi vive riprende vita.
Mi si attacca addosso, si riprende il mio essere, e violento lo sento.
Toglie dagli abissi la vita… che ora mi duole come lutto al presente.

Michele (san severo 23/01/2010 20.45.02)

venerdì 22 gennaio 2010

Pensare è vedere...

Pensare è vedere.
Ho tanto visto perché ho molto pensato.
Sentire è toccare.
Ho molto toccato perché ho tanto sentito.
Sognare è amare.
Ho tanto amato perché ho molto sognato.

Di cosa può arricchire il tatto il mio sentire?
Cosa può aggiungere l’occhio al mio pensiero?
Amare è forse più intenso del sognare?

Vedere è pensare.
Pensare è vedere.
Toccare è sentire.
Sentire è toccare.
Sognare è amare.
Amare è sognare.

Vivo la vita perché la vedo scorrere affacciato al balcone del mio pensiero.
Ora chiudo le imposte sul mondo e vivo.

Michele (san severo 21/01/2010 16.53.54)

martedì 19 gennaio 2010

A Giorgio Napolitano

A Giorgio Napolitano,
Presidente della Repubblica Italiana.

Uno Stato di Diritto racchiude in sé lo Spirito Oggettivo dei suoi cittadini.
Nello stato di diritto si trasferisce il diritto soggettivo di ogni suo cittadino e questi, essendo l’espressione delle singole eticità, ne incarna l’etica oggettiva, e in un processo dialettico restituisce ai cittadini l’etica individuale.
La sintesi estrema non inficia il concetto: nello Stato è racchiusa l’etica di un Paese che tutti i cittadini son tenuti a osservare attraverso l’osservanza delle leggi.
Certo parliamo dei diritti e dei doveri e non delle disponibilità.
Le disponibilità sono inalienabili, altrimenti avremmo uno stato etico.
Solo il diritto positivo giace nello stato e le sue leggi.
Questa epitome molto arrischiata per affermare che tutti i cittadini son dovuti al rispetto delle leggi e in maniera particolare gli eletti che ne diventano i custodi e anche i facitori attraverso gli strumenti che quello stato si è dato.
Lei, signor Presidente della Repubblica, con la lettera alla signora Craxi, legittima da un punto di vista personale, ha riconosciuto che l’illegalità, il non rispetto delle leggi, l’eticità dello stato sono non una conditio sine qua non, ma una variabile.
E questo affermato dalla massima carica dello Stato mette a repentaglio ogni parvenza di legalità.
Lei dovrebbe avere il coraggio di prendere atto del suo errore e emendarsi. Se questo non le riesce dovrebbe dare le dimissioni.
Craxi è stato uomo che ha gestito la cosa pubblica al di là dell’etica dello stato (che è l’etica dei suoi cittadini) e al di là delle leggi (che sono le condizioni a cui tutti sono sottoposti).
Cioè, è stato una persona fuori dalla legge e dalla morale pubblica.
Ma lei, Giorgio Napolitano, non è nuovo a queste sue posizioni.
È stato a capo della corrente “riformista” del vecchio PCI e già allora un poco di confusione la faceva.
Tanto è vero che la cultura politica non gli riconosceva il titolo di riformista, ma quello di “migliorista” che è altro.
Riformista è colui che ha in mente una politica, una forma di stato e dialoga con la parte avversa per trovare tutte le probabili intese che possano, attraverso piccoli passi, approdare a quelle.
Appunto riforme.
Migliorista è colui che osserva la realtà (per darle lustro potremmo usare la formula aristotelica: aequatio intellectus et rei) e cerca attraverso il dialogo, l’intesa o il sotterfugio, cioè il male minore, di migliorare la situazione.
Appunto migliorare, ma se esiste una situazione d’illegalità, si migliora l’illegalità!?
Lei entrò in contrasto molte volte con Berlinguer accusandolo di moralismo.
Voglio sperare che non l’abbia capito allora e continui a non farlo.
Le due figure etiche della politica del dopoguerra italiana sono Aldo Moro e Enrico Berlinguer.
Sono la tesi e l’antitesi di quel processo dialettico dello spirito oggettivo della stato del quale ho premesso.
Io che non sono stato comunista nell’accezione ideologica, ho aderito a quel partito perché, per paradosso, era l’unico vero difensore dello stato di diritto in Italia.
Interpretava lo spirito socratico, le leggi vanno cambiate, ma fin quando non cambiano si osservano.
Ecco la degenerazione morale di cui parlava Berlinguer e che Craxi incarnava.
Dall’altra parte stava la figura straordinaria, oserei dire eroica di Aldo Moro.
Il suo compito era ancora più difficile di quello di Berlinguer. Egli aveva la zavorra di un partito che governava assecondando ogni mal di pancia e costume della società italiana.
Vi era di tutto in quel partito dai sinceri democratici ai reazionari e altro e altro ancora.
Moro, consapevole di ciò, cercava di portare avanti il tutto nella sincera convinzione d’arrivare a una democrazia compiuta con il dialogo e in maniera particolare, il commensale escluso.
Appunto la conventio ad escludendum di cui parlava Berlinguer.
La tesi senza l’antitesi non chiudeva il cerchio della democrazia compiuta.
Non si realizzava quello spirito oggettivo che rendeva tutti gli italiani cittadini uguali.
Due figure altamente etiche e politiche che erano il cardine della vita pubblica italiana.
Berlinguer del Compromesso Storico, Moro delle Convergenze Parallele.
In questo scenario s’inserisce Craxi sconvolgendo non la politica con la politica, ma sconvolgendo la politica con il ricatto.
Ghino di Tacco che esigeva il pedaggio.
La storia la conosciamo e Craxi, pur d’avere appoggio, mette insieme il peggio che la realtà offriva.
Andreotti, Forlani e i poteri oscuri.
Usa i soldi pubblici a fini privati e saccheggia quel poco di legalità che ancora persisteva.
Egli al di sopra della legge.
Ma mentre i figuri della Dc che Moro combatteva, davano parvenza di legalità al loro malaffare, Craxi erige la sua illegalità a sistema.
Egli veste i panni del corruttore della vita politica, governativa, amministrativa di questo Paese.
Occupa tutto, non c’è spazio dove la politica corrotta non entri con prepotenza a occuparlo.
Per sommi capi questo è stato Craxi.
Uno statista?
Un perseguitato?
È stato un uomo di malaffare giustamente perseguito e sfuggito alle carceri italiane grazie alla latitanza.
Il riconoscimento postumo da parte del Presidente della Repubblica Italiana, è un vulnus insopportabile.


Michele (san severo 19/01/2010 11.52.51)

lunedì 18 gennaio 2010

Ponte destrutturato...

Forse ognuno di noi si porta un destino.
Se così è, il mio è marginale…
Nella traccia vacillante…
La sua consistenza sfumata...
Fa capolino sul limite e al confine dissolve lo sguardo.
Vive ai bordi dell’incerto, tra il c’era e quello che non sarà più.
Tra la decadenza del dissolvimento e il perduto come speranza.
Ponte destrutturato che non si percorre e non unisce…
Nessun segno né piede d’ombra…
Terra d’emaciate apparizioni: di smunte vite e nascituri di prive forme.
In questo limbo di consistenza incerta e disfacimento…
si consumano del mio i passi.
Sembianze di bellezza altera nei tratti passati…
or composta ne l’antichi dimessi e fieri d’ignoto.
Vite d’intelletto vigile a ogni nuovo aperto e…
ancorato nel vissuto di non ostentate o lamentose lodi.
Persi pensieri in simulacri identici di triste ventura,
affacciati vuoti in orgiastiche danze sconosciute…
Veni, creator spiritus, mentes tuorum visita…
Allucinato vuoto, attesa insipiente d’anime assenti,
pascola il desio… consumando struggente la rinuncia.


Michele (san severo 18/01/2010 9.26.54)

venerdì 15 gennaio 2010

A Dio dell’Olocausto

A Dio dell’Olocausto

Non è una preghiera e neanche un’invettiva.
Neppure una supplica.
No!
È solo ciò che oggi io mi sento di dire a te.
“Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei cieli.”
Così ti gratifica il tuo popolo.
Ma a te non è sufficiente, no!
Tu sei il Dio dell’Olocausto.
Sei quel Dio che si appaga solo dopo il sacrificio della vittima.
La tua potenza si gratifica e si riconosce solo nell’odore del sangue delle vittime.
Nel dolore che a te s’innalza… e ti inebria della tua Forza.
Certo, hai visto mai un potente che non goda della sofferenza che infligge ai suoi sottoposti?
Uno solo che non accresca la sua potenza in quantità pari al terrore che incute?
Ecco, ti ho smascherato!
Fino a ieri pensavo, anche argomentandolo, che tu fossi stato creato dall’uomo affinché con la tua bontà, col tuo amore giustificassi le nefandezze dell’uomo.
No, tu hai davvero creato l’uomo a tua immagina e somiglianza.
E gli hai dato la possibilità della Conoscenza affinché comprendesse la tua forza.
Potenza.
Ti emulasse nella spietatezza di esse.
Più egli t’assomiglia nella crudeltà della forza, più la tua potenza cresce.
E godi...
Non si spiegherebbe altrimenti la sua irrefrenabile voglia, la necessità, il bisogno di sottomettere, sconfiggere, ammazzare…
Affamare.
Come te egli afferma che la vita è sofferenza, è il prepararsi al tuo regno che è bellezza, nutrimento, assenza di violenza…
Di qualsivoglia turbamento.
Soffri, soffri… quella è la chiave d’accesso al regno dei cieli.
Tu osservi e ti fai grande.
Grande delle suppliche, delle preghiere, dei patimenti e commosso, misericordioso infondi ai tuoi Emuli temporali e spirituali, la tua parola che è conforto dei deboli affinché non credano che è loro dovere soddisfare la fame, nutrire i figli, ribellarsi al sopruso, vivere questa vita che non è calvario.
No!, non è calvario.
Ma tu hai immolato il tuo figlio per soddisfare la tua Rabbia…
Per redimere la tua Immagine e Somiglianza dal peccato…
Per riaffermare la tua Parola…
Vedi come son stati bravi i tuoi emuli?
Sia quello che tu hai proclamato tuo Vicario sulla terra, sia quelli che sono stati incoronati Sovrani con la tua benedizione, sia coloro che nel tuo nome si fanno Eleggere.
La schiera degli Eletti…
Quanta carne viva hanno mangiato!
Come te che non ti appaghi mai…
Insaziabili!
Anche a loro bisogna inchinarsi e gratificarli nelle formula: “Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria sulla terra”.
Sì, solo una piccola variante, a te nei cieli a loro sulla terra.
Molto spesso, però, non è sufficiente la sola affermazione, e per placare la loro ira, riconfermare la propria potenza, godere della carne dei propri sottomessi, come te richiedono l’olocausto del Figlio.
Non necessariamente la crocifissione come tu hai fatto col tuo, troppo cruenta.
Hanno sviluppato mezzi e sofisticati assai…
La bontà e l’amore…
Sì!, la bontà che mangia carne… l’amore che beve sangue…
Il binomio trionfa nei loro cuori che di te emuli nella forza della potenza godono…
Godi…

Michele (san severo 15/01/2010 19.14.23)

mercoledì 13 gennaio 2010

Variazione sul tema…

Variazione sul tema…

Violenza figliò e partorì.
In gestazione per tre anni…
vide, nacque pallida luce.

Brevi furono i giorni.
Lunghe le attese mai giunte.
E poi le tenebre invasero
dì privi di giorni…
bui in assenza della notte.

Non sorrise dei percorsi
faticosi e pianse… gioie.

Nascose a sé il dolore e…
macinò vita sospesa.

Nacque vita d’amata
speme turgida passione
di furioso degno futuro.

Impegno e conoscenza
governarono il cammino,
interrotta strada…

Vano futuro scolpì effige
di passato conosciuto…
e il morso lacerandola,
afferrò nella carne la vita.

Giorni seguono notti e
giorni aspettano… quel
forse che dà ancora un
po’ di fiato a respiro…


michele (13/01/2010 10.04.29)

martedì 12 gennaio 2010

L’Immondo risanato…

L’Immondo risanato…

Non fece in tempo a tornare, e la quiete a ritirarsi.
Pochi giorni di convalescenza e nell’anima di quasi tutti era ricominciato a germogliare quel desiderio di serenità, che è poi la ricerca dell’umano sentire.
Dell’umano.
Ma v’è anche chi pur dell’uomo avendo sembianze ne incarna solo la parte ferina.
Quella, cioè, che sta non nella corteccia cerebrale, ma nelle fauci.
L’inopportuna effige, che per caso ne aveva fatto saltare una piccola parte, guidata dalla mano del signore avrebbe potuto ben altro…
Ma si sa, è risaputo dalla notte dei tempi, che il bene non è stato mai capace d’affondare i suoi fendenti.
Non è mutato nonostante le sue continue sconfitte.
Ha lasciato sempre per umana pietà che l’immondo si riprendesse, e egli con aspetto mutato e con aggressività sempre diversa ma più incisiva, ha continuato il suo percorso alla conquista della distruzione unico suo obiettivo.
Mors tua vita mea.
Puoi mettergli anche tutto a disposizione, cercherà sempre altro e per ottenerlo scannerà la madre, il padre e i figli…
Questa è la condizione dell’immondo.
Di volta in volta con aspetti differenti e sempre più raffinati e subdoli, ma la sua costante nel tempo è la distruzione dell’altro che è il suo cibo.
Il suo bene.
Il suo solo soddisfacimento.
Si obietterà che questa visione è manichea, e ch’essa è stata superata dagli eventi e dalla storia.
Certo!
L’umanesimo, il rinascimento, i lumi e poi la Ragione, avevano condotto all’età dei diritti e questi a loro volta avevano seppellito il manicheismo, avendo una visione articolata della realtà e non duale: in bianco e nero.
L’uomo e la sua storia avevano iniziato un nuovo percorso in progressione.
La progressione s’è arrestata e non riusciamo a comprendere se solo momentaneamente o per sempre, e ha fatto parlare di fine della storia.
Cioè, ha azzerato la ragione per ripristinare il fato.
Il Dio che riscatta non l’anima, ma l’uomo nella sua temporalità.
Il “così è sempre stato, ma c’è la giustizia divina”, che corre sulla bocca di tutti.
Non a caso gli intellettuali si sono ammutiti.
L’intellettuale ha come sua fonte la ragione e quand’essa cessa di produrre deve per forza tacere.
Se improvvido parla, o è fomentatore di odio in un mondo dell’amore, oppure un residuato arcaico che dovrebbe vergognarsi.
L’intellettuale può essere organico o non, ma la sua musa ispiratrice è la Ragione.
Se essa è bandita, egli non può che tacere.
Fine della storia, fine dei diritti.
I diritti sono un peso insopportabile.
Intralciano.
La corsa a soppiantarli con la sostituzione del culto della persona.
Della personalità.
Attenzione, non della personalità come essere che richiede l’intervento della ragione, ma dell’immagine che non chiede, affascina.
Ammalia.
È bello lui, farà bello me.
Ricco lui, ricco io.
Si è costruito lui, mi costruirò io.
Le leggi, l’etica e altri buoni propositi sono strumenti degli incapaci che si avvalgono di tali argomenti per imbrigliare chi vuol fare.
Il duo che ha fatto e fa scompisciare di risate gli italiani e i leghisti in particolare, I Fichi d’India, in una loro di successo strepitoso affermano: “è nato povero, è cresciuto povero, è morto povero, che cazzo è vissuto a fare”.
I diritti non solo intralcio, ma strumento degli imbelli.
Arma di chi vuol vivere a spese degli altri.
Coloro che producono ricchezza, non importa con quali mezzi se leciti o illeciti, sono la parte migliore della società e vanno lasciati liberi di fare.
Son loro che meritano il governo del paese.
Scuola pubblica, ricerca, ospedali, magistratura – ancora attenzione, non le istanze della politica, che son le più costose e inefficienti. Se ponessero mano a queste, non avrebbero il consenso della Casta - e tutti i santuari della Ragione vanno affamati.
Resi inefficienti.
E come?
Tagliando i fondi.
Non lo si dice chiaramente che sono strutture che infastidiscono perché formano, controllano.
No, non si danno soldi perché il debito è alle stelle e poi sono dei burocrati sfaticati, comunisti, baroni e chi più ne ha ne metta.
Ai diritti si è sostituito quello del più forte, bugiardo, subdolo, corrotto, manipolatore…
Alle leggi la volontà del padrone…
Alle pari opportunità di partenza, la furbizia, il corpo: alla giovane che contesta perché le viene tolta la possibilità di far valere la propria formazione culturale nel mondo del lavoro, il premier risponde, “ma lei è così bella che può sposare il figlio di Berlusconi!”.
Ragazzino io, parliamo di oltre cinquant’anni fa, stavo un giorno con gli operai in campagna e da loro ascoltai le parole che vi riporto: “caro mio, i soldi o ce li hai perché sei nato ricco, oppure te li puoi fare solo con il cazzo”.
Non il lavoro, l’onesto lavoro.
Rabbrividii allora, ancora oggi.
Ma dei figli educati al rispetto delle leggi, delle persone, delle istanze democratiche, educati alla civiltà formatasi sulla ragione che ce ne facciamo?
Li rottamiamo?
Li riconvertiamo al nuovo sentire?
Li suggeriamo di scordare la civiltà per la legge della giungla?
Amare considerazioni… dopo l’ascolto della rassegna stampa di questa mattina.


Michele (san severo 12/01/2010 9.37.06)

lunedì 11 gennaio 2010

Protooncogene...

La vita è assenza…
Ogni vita è insignificante.
Solo la retorica della superficie ne pretende il senso.
Niente e nulla ci appartiene.
Noi non ci apparteniamo.
Natura malata sfuggita al senso della natura…
Nessuno.
Iniziamo a morire dal momento in cui inaliamo il primo respiro.
Continuiamo ogni giorno nell’illusione della vita.
E come rampicante cerchiamo, stritolandoci, la luce che copriamo con la vita.
La vita è un alibi per coprire il vuoto.
Il nulla.
Siamo vuoti a perdere.
Ci manca il coraggio d’ammetterlo.
Aggrappati a Illusione ci culliamo sperando.
Catene che vietano l’abisso.
Tutto è parvenza…
Niente è…
Protooncogene presuntuoso di vita sconosciuta.
Muco rappreso…
Cispa dell’Occhio…
Caccola aggrappata al Vello del Nulla.


Michele (11/01/2010 11.02.46)

sabato 9 gennaio 2010

L'Assenza...

De intro reminiscenze, acque impetuose,
percorron sembianze il fil de l’assenza…
passion consumate e aneliti, furori, spem
e gioie, che su l’ara immoliam del disio.

Olimpo d’umano amor freme, e copre i
cuor di divini doni, e ad alati messagger
affida il servigio. Arpe in gridolin di Fata
movon corde, e suoni espandon Universo.

Veli affaccian mossi occhi di pastello, e
coloran di Ciel gl’astri… mentr’Ombre
popolan boschi e fiori, de la Terra i fiumi,
ov fan capolin luccichii, non più lacrime,

ma ardor di Ninfe che gaie or si rincorron
festanti. Quiete, sospir celeste, conquista
i cuor, e immola al Tempo l’attesa. Alba,
pudica sorge… e ammalia d’amor Follia.

Michele (09/01/2010 19.33.06)

Di te avaro

Nei tuoi occhi…
Nel profumo della tua anima…
Nei tuoi sensi la bellezza…
Perso
Sapore di femmina
Mi penetri le papille
E della tua bocca
Arso...
Di te avaro
Attingo

Michele (09/01/2010 0.53.41)

giovedì 7 gennaio 2010

Riflessioni amare…

Riflessioni amare…

Oh, Signore, Dio dei cieli e della Terra.
Dell’Universo!
Io non so se tu esisti, ma se esisti sei anche il mio Dio.
Non credo che tu ci sia, e per questo mio errore se dovrò pagare, son pronto.
Se esisti, non credo alla Vulgata che hai creato l’uomo a tua immagine e somiglianza.
Un Dio, pur misero e miserando, e non credo che tu possa esserlo, non può essere così meschino, infimo, spergiuro, miserabile…
Credo piuttosto e con buoni richiami storici, che l’uomo si sia creato Dio, eleggendoti padre e si sia dato identità tua per nascondersi ai suoi misfatti.
Come?
Attribuendo a te tutte le cose degne e buone e tenendosi per sé tutte le miserie, giustificandosi con il Libero arbitrio.
È diabolico, come vedi, oh Dio!
Pratica le miserie e si giustifica uomo… ma se l’uomo è immagine e somiglianza di Dio!?
Sì, è vero!, ma Dio ha concesso all’uomo la libertà assoluta.
Quindi, ha liberato sé dalla colpa e l’ha attribuita alla sua caducità, alla sua miseria.
Ha fatto salvo l’uomo nella sua ignominia…
Ha attribuito il peccato alla sua miseria…
Ha redento il Dio/uomo col libero arbitrio…
Ha salvato l’uomo/Dio col pentimento…
Che mostruosità, mio Dio!
Sono affermazioni destituite di fondamenta?
Potrebbe essere!
Vediamo la Chiesa che essendo la casa di Dio in terra, opera tramite il Vicario di Cristo, tuo figlio.
La sua storia è colma di delitti, prevaricazioni, annientamento delle culture altre, misfatti.
Dalle eresie, crociate, scissioni, santi uffizi, inquisizioni, assassini, stermini…
La storia è lì.
Inconfutabile.
Si è dovuti arrivare a un papa coraggioso, per affermare alcuni errori della Chiesa, subito rientrati attraverso la santità di personaggi che avrebbero dovuto apparire tra gli elenchi degli sterminatori degli ebrei.
È l’infallibilità del Vicario di Cristo sulla terra, che è ancora un dogma?
Si può obiettare la Chiesa non è Dio.
Va bene.
Vogliamo prendere in considerazione l’uomo credente?
Entriamo in un ginepraio senza limiti.
Fine.
Ieri, il Natale ortodosso, sette fedeli ammazzati da altri fedeli dello stesso Dio.
Non trovano l’accordo.
Ogni giorno si scannano uomini in nome della grandezza del proprio Dio.
Si giustiziano donne in suo nome.
Si lapida, si ustionano donne con l’acido, si pratica sulle bambine l’infibulazione, la circoncisione in suo nome.
Si pratica la tortura e la tirannia in suo nome.
Uno Stato nato sulle scritture, pratica l’assassinio e l’apartheid senza alcuna remora.
Chi lo combatte, pratica terrorismo, assassinio e ogni nefandezza in nome dello stesso Dio.
Nei comportamenti individuali fa della sua fede principio di superiorità.
Chiunque non ha fede è un poveretto.
È nell’errore.
Ha diritto di parola se si piega alla sua arroganza.
È un cittadino dimezzato.
Pretende il riconoscimento di famiglia fuori del matrimonio, convivendo?
Vuole avere la possibilità di conservare i propri ovuli o spermatozoi?
Chiede di poter allevare figli e/o adottare figli fuori dal matrimonio?
Crede d’esser padrone della sua vita e della sua morte?
L’unione tra omosessuali?
Ma chi si credono questi senza dio?
Andrebbero tutti rieducati all’idea del credente che è l’unica con diritto di cittadinanza.
Arroganza, persecuzioni, assassini, illiberalità, tirannie, prevaricazioni…
Questo, oh Dio, si consuma in tuo nome!
Io non son credente, oh Dio, e mi sforzo ogni giorno di cercarti in ogni cosa.
A volte mi sembra di trovarti e subito mi sfuggi.
Mi dispero, ma non faccio pesare su nessuno questa mia ansia.
Tormento.
Nell’assenza, però, mi faccio guidare dalla Ragione e le sue ancelle: Liberté, Egalité, Fraternité.
Anche dalla massima a te attribuita: ama il prossimo tuo come te stesso.
Osservo il credente a volte con desiderio di trovare serenità, ma mi spaventa, mio Dio.
È credente quello che opera, parla e condanna… in tuo nome?


Michele (san severo 07/01/2010 9.16.32)

mercoledì 6 gennaio 2010

Tutto e niente...

Vivo sognando e nel sogno mi riconosco la vita che vivo nell’attesa del sogno.
La finzione mi ruba la scena nella vita e recito la vita che vivo.
Tutto è sogno.
Tutto è finzione.
Niente è vita se non dietro le imposte che mi separano dal mondo dei vivi.
L’altro che mi chiama, mi suggerisce la parte che vivo nel sogno.
Niente è sogno.
Niente è finzione.
Il sogno un balcone che sporge su una finestra che affaccia alla vita che recita se stessa in assenza di sogno.
Anche questo scritto è un sogno che non ho sognato, ma che ho redatto sognando una vita recitata.
Tutto e niente, e nell’intercapedine la vita che si sogna fingendo.
E ai margini in parallelo la finzione e il sogno che si sostituiscono alla vita.

Michele (07/01/2010 0.19.00)

martedì 5 gennaio 2010

Aurora...

Nel gomitolo del tempo,
i tuoi neri capelli avvolgerò…
e all’aurora le dita doloranti
dei fascinosi tuoi mostrerò.

La tela immacolata di corpi
e d’incanto disfatta, Aurora
sul talamo poggerà e pietoso
sguardo nel cor nostro calerà.

Di lacrime laverà la colpa
assente e pregherà: dei, cieli,
soli e terra commuoverà e di
pietà i nostri corpi ungerà.

Michele (05/01/2010 19.44.19)

sabato 2 gennaio 2010

L'Arca...

I profumi dei nostri sensi coprono i corpi,
ch’or giaccion satolli nel disio appagato.
Alita Amor, e mani frugano del fior la posa
e ansima il cuor nel riposo de l’attesa…

Danzan de il talamo i veli che accarezzan
lievi dune e valli, e pel sentier’odoroso che
a la gola stringe ne l’accesso il cammin…
portansi ancor ne la sacra teca il pellegrin.

Preghiere e pianti e invocazioni elevan de
l’umano il ciel e innamoran de la natura il
creato. E dio, che d’amor immolò l’uomo,
or comprende… solo ne l’amor v’è l’Arca.

Michele (02/01/2010 20.23.22)

venerdì 1 gennaio 2010

Amore pavido?

Un grumo di sentimenti… mi danno pianto.
Gioia.
Vorrei correre per venirti incontro…
stringerti…
e lacrime di cristalli mi feriscono.
Sanguina il mio cuore…
Morire… e nelle tue parole la vita.
Nella tua bellezza… scioglier gli anni.
Ne l’occhi, il tempo scorso di te privo…
è stata condanna d’innocente.
Limpida… tu e l’effige m’agita, la mia d’amor macchiata.
Sfuggo, e i sensi disinibiti volgo in innocenze,
e prospettazioni di filiazioni smorzano il piacere.
L’aspetto tuo donna vince e femmina ti sento…
e il particolare sollecita la passione che spegne
se stessa, ingannandola, nella commiserazione.
È misero non aver del cuor l’ardire?
Vigliacco non specchiarsi riflesso?
E il tempo macera lacerazioni…
Risposte smorzate nella cenere che soffoca…
non spengono il fuoco e la brace illanguidisce.


Michele (01/01/2010 21.04.38)