lunedì 18 maggio 2009

Sono un uomo libero che non vuole padroni

I padroni non scelgono i loro manager o dipendenti, li comprano.
Se nell’esercizio, nei compiti affidatigli rispondono alle esigenze padronali, li tengono e li remunerano sempre più, altrimenti se ne disfano.
Altra caratteristica dei padroni è quella che i meriti sono sempre propri, i demeriti sono dei collaboratori.
Per cui ad un padrone non si possono mai imputare addebiti perché avrà sempre a portata di mano il colpevole e mille prove a sua discolpa.
Se si tratta invece di ricevere riconoscimenti è lui e solo lui il titolare a pieno titolo di questi.

Tenete presente questa premessa.

I partiti nell’esplicare la loro politica sul territorio si servono di uomini che amministrano la cosa pubblica in nome e per conto proprio.
Se gli amministratori fanno bene – casi rarissimi, mosche bianche, ormai – i meriti sono del partito, se rubano, falsificano, amministrano male – ordinaria realtà – la colpa è loro. Degli uomini che sono caduchi, che sono erranti, che sono egoisti etc.
Non li possono licenziare così come fanno i padroni e cercano di scendere a patti, ogni volta scivolando sempre più verso il basso.
Quando, poi, è proprio impossibile accontentarli alla luce del sole, e fingono (perché un accordo sotto banco c’è sempre) il pugno duro, i cattivi amministratori si mettono in proprio.

Anche i cattivi manager quando vengono allontanati dal padrone passano alla concorrenza, se poi non la trovano e credono nelle loro qualità si mettono in proprio. Senza accordo sottobanco con il vecchio padrone, però!

Fino a una ventina d’anni fa, qual era la situazione?

I partiti - in maniera particolare la DC e il PCI - maggiormente venivano scelti dai propri, aderenti, iscritti, simpatizzanti e questi facevano attività politica. Alcuni si contraddistinguevano per capacità, onestà e virtù simili e il partito con prudenza e in modo graduale dispensava incarichi con l’occhio al proprio interesse, l’interesse del territorio e le legittime aspirazioni dell’attivista.
Il partito cioè, vincolato alla sua prerogativa ideale, civile, culturale era un mediatore tra le esigenze proprie - la realtà nazionale e internazionale, la sua collocazione culturale e civile, il suo disegno di società etc. -, quelle della realtà locale, non smarrendo mai la sua propensione pedagogica, e quelle dell’ individuo che metteva se stesso e le sue capacità al servizio di una causa.
Filava sempre tutto liscio?
Sicuramente no!
Accadevano casi in cui i partiti dovevano scendere a compromessi con le personalità che nel bene e nel male l’avevano rappresentato. Si dava un po’ di sottogoverno, qualche ente, consorzi, eccetera.
La Dc poiché governava aveva una disponibilità infinita.
Nel caso del PCI, partito in cui queste disponibilità scarseggiavano, dove esistevano le cooperative, il problema era risolto, altrimenti lo si candidava in un collegio senatoriale sicuro, gli si faceva fare due legislature e poi se lo toglievano dai coglioni.
Quando anche queste possibilità erano insufficienti, per i motivi più disparati, si ricorreva all’arma estrema dell’espulsione. Rarissimi questi casi segnavano, venivano vissuti come una grave sconfitta per il partito.

Il partito socialista era, è stato qualcosa di differente.
Il PSI per caratteristiche avrebbe dovuto rispondere alle stesse logiche del PCI e della DC, invece è stato – per quanto possa io testimoniare – sempre un partito che ha asservito i suoi iscritti, aderenti, simpatizzanti.
Un partito che aveva due facce: quella leggibile, guardabile, presentabile che rispondeva grosso modo ai due partiti maggiori DC e PCI; quella nascosta, subdola, impresentabile che rispondeva alla logica del partito padrone.
Non si avevano posti di responsabilità se non si rispondeva ai requisiti che il partito riteneva utili per sé.
I migliori socialisti, quelli che avevano aderito a quel partito per gli ideali alti del socialismo, erano gli utili idioti da mettersi all’occhiello, ma contavano quanto il due a briscola.
La maggior parte di essi stanca armeggiava ai margini sempre sul filo del me ne vado. Abbandono tutto.
Gli amministratori erano scelti dal partito o tra gli iscritti e gli attivisti, quelli senza scrupoli, oppure nella società tra i più spregiudicati tendenti al delinquenziale.
Erano questi che tenevano il partito in mano e ne determinavano le sorti. Costoro occupavano tutto ciò che c’era da occupare, depredavano, depauperavano. Ogni centimetro di sottogoverno era loro. Ogni attività amministrativa era sottoposta alla “tangente” socialista. Erano i padroni seppure con molta discrezione.
Arrivò la segreteria Craxi e l’aspetto padronale del partito da occulto divenne palese.

Gli altri partiti erano ombra della Dc, mantenuti in vita dalla sua volontà e dalla sua capacità di distribuire tenendo ben saldo lei in mano il potere.

Dopo l’avvento di Craxi, e la sua politica aggressiva e spregiudicata, tutti i partiti iniziarono la lenta ma inesorabile marcia verso la trasformazione craxista.
Ci furono delle resistenze ma all’ineluttabile si giunse.
I partiti da convogliatori di consenso si sono trasformati in proprietari, padroni del consenso da prendere o lasciare.
Gli uomini di partito, gli amministratori e ogni emanazione partitica si sono mutati in casta.
Da ultimo a questa concezione è arrivato il PD.
Il quale non solo si è trasformato in partito padrone, i suoi dirigenti in casta, ma ha portato in dote lo sconcio del PCI: il familismo.

Se queste osservazioni vi sembrano forti e non condivisibili, fate pure!

Prima di liquidarle però, fate mente delle azioni dei partiti, analizzatele, riscontratele con le affermazioni dell’inizio, della premessa sulla concezione padronale e poi decidete pure se sia vero o sbagliato, al di là delle conclusioni che poi ognuno trarrà.

Sono un uomo libero che non vuole padroni e non parteggio per i padroni.
Ho speso una vita per la democrazia e la libertà.
Tutti i valori in cui ho creduto e per i quali ho lottato vengono calpestati da tutti i partiti. Nessuno escluso.
Sono costretto a subire perché non ho altre possibilità se non quella d’andare via dall’Italia o farmi fuori.
Non volendo fare né l’una cosa né l’altra, mi astengo.
Mi passano per la mente idee che non condivido.
Non le pratico perché credo solo nella lotta democratica e fino a quando non verranno a impormi con la forza qualcosa di inaccettabile per me, la mia resistenza sarà passiva.
Se dovesse verificarsi l’imposizione dell’inaccettabile, la mia resistenza, pur essendo vecchio, sarà attiva.
Michele Cologna (18/05/2009 15.21.52)

Nessun commento:

Posta un commento