venerdì 15 maggio 2009

“Pensiamoci ogni sera al tramontar del sole…”

“Pensiamoci ogni sera al tramontar del sole…”
Dal piazzale del locale “Punta dell’Ovest” di Baggio (MI), Michele, figlio dei fiori, e “sognando California”, assisteva al tramonto cogli occhi luccicanti per il suo amore.
Anche la mamma e i fratelli lontani gli dolevano più della ragazza, ma l’appuntamento era con lei.
Già!, non c’erano telefonini, il telefono era un lusso non necessario e per ricchi, le lettere non si potevano scrivere, perché nessun recapito poteva accettarle…
L’appuntamento ideale era l’unico possibile e più economico.
Non erano che pochi giorni che Michele era presso la zia a Milano: “Uaglioni, a Milan cost magnà. Fa prest a truà a fatij. Quill’om mic po’ mantnè a te”
(Ragazzo, a Milano costa mangiare. Fai presto a trovare il lavoro. Mica quell’uomo – il marito – può mantenere te.)
Michele le voleva troppo bene per pensare che la zia, sorella del padre, fino a quando il papà era in vita s’era sfamata lei e la sua famiglia in casa sua. Ci penserà dopo. Penserà anche, che pure dopo la morte del papà e nella povertà in cui la sua famiglia era precipitata, la zia per tre mesi all’anno stava a San Severo a casa sua a vitto e alloggio gratis. E la mamma privava i figli del poco per sfamare la cognata malata.
Cercava lavoro e se fosse stato possibile anche casa.
Via Delle Forze Armate era lunghissima, non finiva mai.
“Non si fitta ai terroni”
“Affittasi appartamento… no a meridionali”
“Si assumono operai e manovali. No a meridionali”
“Cantiere con personale al completo. No terroni”
Quante volte aveva letto e riletto quei cartelli!
La rabbia cresceva sempre più e con essa la voglia di tornare indietro sconfitto.
Dopo aver pianto all’appuntamento con il tramonto e la sua bambina, e versato lacrime insaziabili, di bruciante nostalgia per la sua mammina, Giovanni e i fratelli, decide: “Io domani trovo lavoro”.
Sa bene dove andare.
La mattina alle sette sta già davanti agli uffici della Fargas, il cartello recita: “Si assumono operai e manovali. No a meridionali”.
È il primo, con rabbia entra:
- perché è qui?
- cerco lavoro.
- cosa sa fare lei?
- niente!
- e cosa è venuto a fare allora?
- a conquistare Milano e i milanesi.
Perplesso, guarda… con un sorriso:
- si sieda!
- di dov’è lei?
- sono di San Severo!
- non ha letto il cartello?
- sì!
- e allora?
- allora che ci fa lei qui, visto che è più a sud di me?
- da cosa l’ha capito?
- potrei dire dalla sua dizione, ma più dal suo sorriso!
Il suo volto nasconde soddisfazione e s’atteggia a pensatore. Non pensa, è una maniera per contenersi dal professare la rabbia contenuta in lui, dall’abbracciare il terrone che lo riscattava…
Michele non lo saprà mai.
- Ha i libri?
- Sì.
- Domani li porti qui all’ufficio personale…
- Li ho qui con me, non è possibile oggi?
- Esca, vada nella stanza a fianco e dica di chiamare il dott. Mongelli. Poi ripassi da me.
Il cuore di Michele scoppiava e non capiva di cosa.
Dopo qualche ora rubata al tempo, egli era di nuovo lì davanti al dottor Mongelli.
- Ho fatto un eccezione per lei. La mando nello stabilimento di Novate. Lì la metteranno a lavare delle cucine ritornateci dall’alluvione di Firenze. Se si comporterà bene andrà alla produzione.
Volava Michele lungo via Delle Forze Armate, piangeva e avrebbe abbracciato tutti.
Fece chiamare la mamma al centralino e le comunicò la notizia: “Mamma, domani inizio a lavorare”.
Fu dura. Lo vestirono da palombaro. Gli diedero un tubo che spruzzava acqua ad atmosfere pazzesche. Se non dosava l’apertura o cadeva lui all’indietro o volavano le cucine.
Così Michele entrò anche lui nella schiera degli angeli che salvarono Firenze, pur stando a Milano.
Dopo alcune settimane, non ancora finivano le cucine, Michele venne chiamato dal ragioniere capo:
“Senta, lei ha mostrato dedizione e noi abbiamo pensato di premiarla. La metteremo alla catena di montaggio. È un lavoro di grande responsabilità. Se lei non farà bene tutta la linea si fermerà e tutti i suoi colleghi verranno penalizzati a causa sua. Vada e buon lavoro”.
Il lavoro era così banale che Michele si meravigliò di tante raccomandazioni. In meno di una settimana conosceva a mena dito tutta la catena di montaggio. Poteva sostituire qualsiasi collega.
Qualche mese e fu di nuovo chiamato dal ragioniere capo: “Signor Cologna, mi hanno detto molto bene di lei. Lei è anche istruito e noi abbiamo pensato di affidarle la linea. Le sue responsabilità saranno maggiori, ma se lei si dedica così come ha fatto, non esisteranno problemi”.
Il ragioniere ora si alzò e gli strinse la mano.
Era la prima volta che qualcuno gli stringeva la mano da quando stava a Milano.
Non voleva ammetterlo ma provò molto piacere.
Dovette iniziare i fare i turni. Dovette iniziare a dare ordini e questo non riusciva a sopportarlo.
Non poteva egli redarguire un operaio anziano, anche se gli dava del terrù. Un uomo che stava lì da trent’anni ed ora doveva essere comandato da uno, poco più di un moccioso.
Non ci riusciva proprio.
Le giornate gli pesavano. Non dormiva. Non gli piaceva. Non poteva andare più all’appuntamento al tramonto.
La zia gli prendeva tutto ciò che guadagnava.
Lo faceva per il suo bene.
Doveva fare il secondo turno e la mattina si recò agli uffici della Fargas in via Delle Forze Armate, voleva parlare con il dott. Mongelli che lo ricevette gioioso.
Gli spiegò come si sentiva, anche al dott. Mongelli luccicavano gli occhi.
“Io sto bene, figlio mio, qui! Ho una famiglia, e qui posso darle una vita dignitosa. Se avessi la tua età… La vita a Milano è dura. Solo tu puoi decidere della tua vita. Qualsiasi cosa tu deciderai sarà quella giusta.”
Uscì da dietro la scrivania, gli porse la mano e l’abbracciò.
Si sentì per la prima volta non più ragazzo, Michele.
Ora era un uomo.
Non disse niente a nessuno. Dette le dimissioni.
Aveva deciso d’andare via. Tornare al suo paese per il quale si struggeva.
Il sabato al tramonto si recò all’appuntamento, non provò il sentimento delle volte passate.
Neanche il pensiero che tra qualche giorno avrebbe rivisto la mamma e i fratelli gli dette gioia.
Non aveva voglia di rientrare a casa e s’incamminò lungo via delle Forze Armate.
Per la prima volta la vedeva differente, non gli era ostile.
Addirittura scoprì delle bellezze che non aveva mai notato.
Notò un cartello “Sala da ballo delle rose”.
Non ci aveva mai fatto caso.
Passò oltre.
Ci ripensò, tornò indietro e si incamminò nella direzione indicata.
Quando si sedette pensò che non sapeva ballare.
Avrebbe solo trascorso un po’ di tempo così.
Il disco suonava “Marina, Marina, Marina ti voglio al più presto sposar…”.
Una ragazza gli si avvicinò, “Non balli?”.
“Non so ballare!”
“Vieni ti insegno io.”
Lo baciò.
Era saporita. Dolce.
La sua lingua era miele.
Si trovò in uno stanzino e con lei sul divano.
Era stordito. Confuso.
Bevve per la prima volta alla coppa dell’amore.
Era dolcemente spossato. Vuoto.
“Come ti chiami?”
“Michele”
“Vuoi essere il mio ragazzo?”
“Sì.”
“Vuoi restare con me stanotte?”
“No, ci vediamo domani.”
“Dove?”
Michele non rispose, trovò la via per uscire…
Era inconsistente come l’aria che attraversava…
Camminava e…
“Disgraziato!, tuo zio, quel poveretto, zoppo, s’è dovuto alzare dal letto per cercarti. Tu sei un delinquente senza riconoscenza. Domani te ne devi andare.”
“Sì, zia!”

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