domenica 10 maggio 2009

Auguri alla mia mamma, a tutte le mamme

Eravamo in attesa.
Tu, mamma, eri quella più serena.
All’insaputa tua chiamavo tutti i giorni: “Non ancora è pronto”.
Una mattina, “Sì, è pronto! Si rechi presso l’Ematologia di quest’ospedale”.
“Lei è il figlio?”
“Sì.”
“L’esito è positivo. Sua madre ha un tumore al sistema linfatico. Si chiama Morbo di Hogking. È un tumore dei bambini. I bambini al 75, 80% guariscono. Sua madre, avendo sessantotto anni, non può subire la stessa terapia radicale che viene fatta ad un bambino. Però, proprio per la sua età, il tumore sarà meno aggressivo e con una terapia di mantenimento potrà morire anche di vecchiaia e non di questo male.”
La mente razionale rincuorava il cuore che non capiva e le lacrime scendevano copiose, come ora che ne scrivo, mamma.
Tutti i fratelli - tuoi figli – decidiamo: “È giusto che lei sappia la verità. È giusto che decida lei con noi cosa fare”.
Venni incaricato io di parlartene.
È chiaro, ero l’intellettuale – quanto ironico sarcasmo nel tempo, ora utile - della famiglia avrei trovato senz’altro le parole giuste. Per due giorni non riuscii a mettere insieme un pensiero, mamma.
Dovevo pur dirtelo!
Così la mattina che del terzo giorno, “Mamma, hai un po’ di tempo? Sediamoci, così parliamo più comodamente!”.
Uno di fronte all’altro, la tua mano nella mia: com’era piccola nella mia, mamma! Scompariva. La sentivo tenera nei segni duri dell’età e della fatica. La testa era vuota. Non sapevo cosa dirti. Dovetti lasciartela e il pensiero mi tornò.
Ti dissi esattamente quello che mi aveva riferito il primario dell’Ematologia.
Il tuo sguardo s’impietrì.
Non riuscivo a leggerlo.
Ti ho detto parole partorite dalla Mente Razionale, mamma, perché il cuore era muto. Ma non credo che tu abbia decifrato un solo senso nel fruscio del parlare vuoto.
Lo sguardo tornò normale e mi è sembrato che tu rincuorassi me.
I due anni seguenti furono un Calvario senza fine, mamma.
Dove tu trovassi tanta forza, non lo capivo.
Dal tuo letto d’ospedale mi parlavi. Mi parlavi.
I tuoi occhi luminosi e ancora di fanciulla, erano finestre sul mondo.
Mi raccomandavi cose che ovvie alla ragione, avevano la forza di bloccarmi il cuore.
Le tue parole entravano in esso e lui cresceva, cresceva…
La tua forza concreta, la tua umanità delle cose erano filosofia che nessuna scuola di pensiero aveva ancora codificato.
La tua commozione per Lucia, una ragazza di vent’anni che stava morendo e oggi incontro ancora per la strada, ti commuoveva più della tua vita che stavi consegnando a Dio.
Io mi sarei lasciato morire, mamma.
Il tuo martirio mi faceva impazzire. Non lo comprendevo.
A nemmeno tre ore che esalassi l’ultimo respiro - la notte tra il 16 e il 17 aprile del ’94 - in un momento di risveglio, chiedesti “quando andiamo a fare la terapia?”.
Non volevi andartene, mamma.
Quest’ultima tua richiesta per molto tempo non comprendendola, mi fece maturare la convinzione che tu fossi morta disperata, mamma.
Invece dopo, molto dopo, quando le tue parole di mamma hanno maturato il mio cuore alla comprensione del mondo, ho capito che quel tuo legame alla vita era il tuo estremo atto d’amore.
Mi chiedesti più volte di prendermi cura del tuo figlio sfortunato, mamma.
Ti dissi di sì e di non preoccuparti altrettante volte.
Ma ora so che tu non mi credesti neanche come bugiardo, perché io ti rispondevo con la testa e non col cuore, mamma.
E tu lo sentivi.
Dopo anni che mi prendo cura del tuo figlio sfortunato, Giovanni…
Una domenica mattina di qualche mese fa, mamma, mentre lavavo il tuo figlio che si era sporcato e la rabbia furiosa mi pervadeva ogni cellula, ogni atomo del mio corpo e una violenza incontenibile mi divorava…
La nuca del figlio tuo mi si mostrò come quella del Figlio di Maria, colei della quale tu porti il nome, e una calma serafica mi penetrò.
In un attimo compresi il tuo sguardo pietrificato al momento della notizia del male, la tua richiesta di terapia a poche ore dalla morte, il tuo parlarmi e parlarmi delle cose della vita in ospedale.
Tu già sapevi che solo io potevo prendermi cura di Giovanni e hai insegnato al mio il cuore della mamma. Non eri ancora certa del tuo ammaestramento e dubitavi.
Ora sai con certezza, mamma, che sei stata ottima insegnante.
Voglio dirti, però, che troppo pesante è il fardello di mamma per il cuore razionale, leggero, fragile, superficiale dell’uomo, mamma.
Auguri!
Michele (10/05/2009 9.20.59)

O figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio,
figlio, chi dà consiglio
al cor mio angustiato?

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