venerdì 29 maggio 2009

Lacrime

Lacrime

Lacrime di colui che fui,
Venite a me in soccorso;
Difendete me misero da loro,
Lacrime, di colui che no fui.

Ragione della lor,
Sull’uscio attesa
Pazienti, hanno,
Del cammin negato.

Ora che Tempo
Per ansia di Spazio
Cessato e Incuria
Spinge forzando
L’uscio mai chiuso,
Su Abisso…
Terrore m’asperge,
Lacrime insazie.

Ditelo voi,
Che assai lacrimai:
Di progetti nati
E in culla vecchi
Lasciati…
E tante, più lacrime
Per i mai partoriti
Versate…
E gli aborti
Cullati…

Rimpianti,
Non martoriate
Corpo straziato
D’anima
Catturata…
Deviata…
Adagiata…
Su volontà
Malata.

Uom io so’ stato,
E bestia ricambiata
D’amor amata,
M’ha cullato.

Pace immeritata
A me lasciate,
Lacrime adagiate.

Michele (29/05/2009 11.15.41)

mercoledì 27 maggio 2009

Commento ai commenti sull' idea di Amicizia

Spazi Infiniti
Cara Rita, ci siamo scambiati un paio di messaggi e poche parole.
Troppo poco per giustificare razionalmente il sentimento profondo che provo per te.
Mi scopro a pensarti molto spesso, e solo una mia ritrosia naturale m’impedisce di chiederti per sapere.
L’ansia mi porta a starti vicino e noto le tue figliole, splendide di premure al padre e te intorno.
È amicizia? Empatia?
Non lo so!, ma è ciò che io provo.
Irresistibilmente sento.

Monicelli
Maria Pia, il nostro contatto è quasi quotidiano.
Se tardo a collegarmi sento l’assenza della tua dolcezza, del piacere dell’ascolto del tuo cuore infinito.
Senz’altro è bravura tua, ma anche empatia perché nelle tue parole io percepisco la tua anima.
È amore gratuito, sì!
È vera amicizia.

Ferrara
Ileana, ci conosciamo da troppo poco tempo.
La tua richiesta d’amicizia è stata particolare: ti sei affacciata in punta di piedi dell’intelligenza.
Adoro le persone intelligenti.
Hanno su di me un fascino che m’avviluppa.
Credo che la nostra sarà un buona intesa.
Le premesse per una bell’amicizia ci sono tutte.

Martinet
Alfonsina, la tua amicizia è deliziosa.
Silenziosa e discreta. Carezzevole.
Le tue parole m’accarezzano leggere.
Mi fanno star bene.
Grazie.

Dalla Costa
Vera, tu mi sei vicina e ti sento amica per appartenenza.
Ti conosco da tanto. Da sempre.
Mi piaci.
Mi piaceresti pure se non fossi così bella.

Ciaurro
Annamaria, che bella che sei!
Sei donna infinita, enorme.
La mamma dei tempi. Quella che tutti vorrebbero.
Ho un gran desiderio di guardarti negli occhi.
Tu mi faresti scoprire il mistero, grande amica mia.

Vaier
Patrizia, ci conosciamo da un po’, ma ci siamo poco parlati.
Ti vedo fantastica nella vita come nei sogni.
Sei anima del sogno. Molto bello.
Sei donna di gran sincerità.
Ti voglio molto bene, addolcisci l’anima.

Meriem
Leila, giovane e bella amica!
Hai una gran bella testa.
Alla ragione darei la tua anima.
Dici sempre cose vere e le dici bene.
Sei l’amica con la quale farei volentieri delle passeggiate.

Benedetto
Lucia, mi sei molto cara.
Ti voglio bene come se ne vuole a una figlia.
Sei assennata, ti metterei l’animo mio irrequieto in mano e mi fare portare.
Guidare.
Sei speciale per me, amica devota.

Fiengo
Rosa, ci siamo tanto scritto e tanto parlato.
La nostra ha trasceso un po’ il mero tecnologico diventando sostanza.
Conosco la tua anima, le tue gioie, le tue sofferenze.
Ti sento amica e qualcosa in più.
Mi fermo spesso a pregare il mio Dio evanescente per te. La tua figliola.

Monta
Giuseppe, dietro la tua faccia che preferisci mostrare c’è l’uomo che vuoi ignorare.
Molti tuoi commenti che non condivido, mi fanno intravedere l’uomo.
La mia attenzione è rivolta all’uomo.
Amicizia particolare. Ma sempre amicizia, è.

Nicoletti
Roberto, il tuo essere schivo non ti salva dall’amicizia che pratichi.
Rileggi i tuoi scritti, i commenti che ti fanno e qualche tua replica.
Constaterai anche tu l’amore non richiesto che doni.
Se l’amore disinteressato produce amicizia.
Tu sei un gran bello amico.

Giusti
Roberto, credo che quasi niente unisca me e te.
Da un punto di vista di affinità di pensiero, dico.
Poiché il mezzo è comunicazione, noi per incomunicabilità non dovremmo parlarci.
Invece ci parliamo e ci troviamo addirittura simpatici.
Vengo sulla tua bacheca e quello che tu scrivi mi suscita il sorriso che tu vorresti sulla foto.
Vedi?
È strano il mondo, sì!
Io credo che sia amicizia. Tu chiamala come vuoi.

Guadagnino
Aldo, che squisita persona tu sei!
Mi piaci e sento molto affetto e rispetto per te.
Sei sincero ed è una grande qualità.
Fingi modestia per civetteria che ti rende più prezioso.
Sei proprio un grande amico, Aldo!

Rotundo
Piero, ti ho scritto che mi sarebbe piaciuto un sodalizio con te (hai tremato, non ricordanti che vivo più nel pensiero che nella realtà. La realtà mi serve solo per soddisfare le necessità corporali).
Mi hai scritto che mi avresti amato fino a sentirne dolore per sfregamento.
Ti ho risposto: t’amo.
Ci siamo dichiarati innamorati.
Se la vita ci facesse incontrare, non ci praticheremmo per incompatibilità.
Eppure io, quando un pensiero contorto mi martella la mente, ti interrogo e tu mi rispondi. L’ho sentito, anzi me l’hai detto che la stessa cosa fai tu.
Non siamo amici perché tu hai paura di concederla per difesa, io, scapestrato, masochista l’accetto per desiderio di dolore.

Pisano
Cesare, ti ho riservato il posto d’onore.
Tu hai commentato lo scritto e sei stato molto sincero.
Tu non consideri amici quelli che “amici” si chiamano su facebook.
Tu stai su internet per comunicare.
Il tuo compito è quello di informare i disinformati.
Correggere gli erranti.
Redarguire i recalcitranti.
Stigmatizzare chiunque faccia un ragionamento a te non conforme.
Vuoi su facebook una sezione staccata del PD e bastoni a destra e a manca chi non vuole piegarsi alla tua ideologia.
Pensi di stare a scuola e dare voti a tutti. Pessimi coloro che osano non essere d’accordo con te. Sufficienti coloro che ti applaudono. Ottimi coloro che ti adorano.
Se qualcuno ti contrasta con ragionamenti, come è accaduto a me, è stupido, è qualunquista, è nichilista, è, buon ultimo, un incapace che va scopiazzando di qua e di là.
Tu sei due volte laureato, sei sportivo, sei poeta, sei pittore, sei tutto.
Sei onnipotente.
Io ti ho invitato una volta a tacere dicendoti: “Taci, taci, taci Mercuzio, tu parli di nulla”.
Ti ho una seconda volta definito logorroico e ignorante perché non hai neanche la licenza media.
Ti ho apostrofato una terza volta come “lillipuziano” contro me Gulliver.
Cesare, io non amo offendere le persone. Mi son pentito di quello che ti ho detto e te l’ho scritto. Preferisco essere oltraggio più che recare offesa.
Hai insultato Lucia Benedetto per il sol fatto d’averti detto che devi rispettare le posizioni altrui. Hai finto pentimento ma non è vero.
Cesare, io adesso ti confido una cosa: sono la persona più ignorante del mondo, sono l’uomo più abbietto della terra, sono indecente in tutto…
Ma per piacere, lasciami nella mia abiezione. Lasciami bere fino in fondo il calice della mia insignificanza. Concedi a me il privilegio della stupidità, dell’errore, del turlupinato per ingenuità.
Cesare, sii chiaro con quelli che tu definisci non amici e dai l’appellativo di “amico”: Io sono qui per salvarvi. Chi vuol essere salvato lo dica e resta tra le mie amicizie. Chi no, lo elimino”. Visto che ti sei vantato di averne eliminato già quindici, ti prego elimina il sedicesimo.
Io non lo farò perché, nella mia becera ignoranza, una mano la do volentieri a tutti, anche a te se me la chiedi.
Da quando sto su facebook, ho eliminato una sola amicizia, quella di Giovanni Anzalone.
Gli ho chiesto scusa, Cesare, prima di eliminarlo. Giovanni che è persona di grande animo, ama passare per folle e dall’alto della sua follia a volta molesta le persone. Io conosco la follia, quella vera, perché accudisco un fratello da essa catturato, e so distinguere il dolore della follia dalla finzione del dolore di essa.
Non ho animo per eliminare qualche altro per motivi, poi, insignificanti.
Cesare, tu ne porti il nome e puoi pensare anche di esserlo. Non sono problemi miei e per questo non ti “eliminerò”.
Ringrazio tutti gli amici che hanno avuto la pazienza di seguirmi sin qui.
Michele Cologna (27/05/2009 19.19.14)

venerdì 22 maggio 2009

A margine di una polemica…

A margine di una polemica…
La libertà si definisce negativamente come assenza di costrizione, e positivamente come condizione di chi si autodetermina, cioè di chi è causa e principio della propria azione.
Essa è oggetto d’indagine:
in psicologia (nello studio delle tendenze e dell’atto volontario);
nella riflessione morale (problema della responsabilità e delle sanzioni);
nelle scienze sociali (eventuale riconoscimento della libertà come “diritto naturale” col conseguente problema della traduzione concreta di tale diritto nelle libertà politiche ed economiche);
nel pensiero metafisico e religioso (fatalismo e libertà assoluta, Grazia e libero arbitrio).
***
La filosofia, nel corso della storia del pensiero occidentale, ha prospettato varie risposte al tema della libertà che si possono così sintetizzare:
a) La libertà come manifestazione no repressa della vitalità.
Definita come l’assenza di costrizione, la libertà ha come sua condizione primaria la salute dell’organismo.
L’organismo è libero quando non esistono ostacoli al suo normale funzionamento.
Allo stadio della coscienza la libertà si identifica con la spontaneità delle tendenze.
L’uomo è libero quando può realizzare i propri desideri.
Questa definizione di libertà sta alla base di tutte le etiche edonistiche (Aristippo, Epicuro).
b) Il libero arbitrio o libertà di scelta.
La libertà implica una scelta consapevole. Affinché ci sia scelta devono coesistere molteplici motivazioni ad agire e altrettante possibilità di azione.
L’uomo per praticare il libero arbitrio o la libertà di scelta deve servirsi della volontà (scolastica).
Questa libertà come fa rilevare Cartesio finisce paradossalmente per identificarsi con la paura, la bruta casualità: la libertà dell’indifferenza che è il gradino più basso della libertà.
c) La libertà come realizzazione della razionalità.
Libera è la volontà che si conforma ai principi della ragione.
Si tralasciano per sintesi Platone, l’etica di Platone e di Cartesio e si riporta la tesi centrale dell’etica kantiana: la libertà è un “postulato della ragione pratica ed è riferibile alla volontà morale in quanto questa è ragione che impone la legge a se stessa (autonomia)”.
Fichte diede un significato diverso a questa autonomia che porterà allo spiritualismo, che approderà all’idealismo, il quale poi troverà sistemazione filosofica in Hegel.
d) La libertà come atteggiamento.
La libertà non può essere fatta dipendere dal carattere razionale delle nostre azioni. L’uomo si sente libero quando “si riconosce” nella propria vita e quando “approva” le vicende del mondo.
La libertà è, secondo la definizione stoica un atteggiamento.
La libertà come accettazione consapevole e responsabile della necessità (Spinosa, Nietzsche, Heidegger, Jaspers).
La concezione dell’uomo che deriva “dalla libertà come atteggiamento” non potrà mai perdere del tutto le implicazioni nichilistiche e paralizzanti.
e) La libertà come possibilità determinata.
L’esistenza è libertà.
“L’uomo è condannato ad essere libero” (Sartre). Tutte le scelte umane, quindi, si presentano come equivalenti e votate per principio alla sconfitta. Allo scacco.
Alcune correnti del pensiero più moderno, più sensibili alle esigenze di un umanesimo concreto, più aperte alle suggestioni della nuova metodologia scientifica tendono ad identificare la nozione di libertà con quelle di “possesso di capacità determinate”.
Libertà è il termine riassuntivo di una tipica dimensione dell’uomo. Un essere che sa prendere iniziative ordinate ed efficaci. Sempre, però, in rapporto al possesso di determinate tecniche e all’applicazione di procedimenti controllati.
***
La libertà dal punto di vista politico-sociale. Il problema fondamentale della libertà qui è quello della conciliazione della libertà dell’individuo con l’ordine sociale.
- La pretesa che le libertà individuali debbano manifestarsi senza alcuna limitazione ci porta senz’altro a quella “democrazia diretta” così chiamata da Platone, o anarchia.
Se non si limita l’arbitrio dell’individuo la società non può sussistere.
- L’idea opposta di una totale subordinazione degli individui alle esigenze dell’ordine sociale caratterizza lo statalismo, come si manifesta nelle società totalitarie.
E questo avviene sia quando l’esorbitanza del potere statale venga presentata come risposta provvisoria alle esigenze di una fase di transizione, sia quando venga teorizzata come la realizzazione in assoluto della presunta “vera” libertà dell’individuo.
***
Abbiamo descritto nello spazio e nel tempo dell’uomo occidentale, anche se per estrema sintesi, il concetto di libertà, l’esigenza di libertà, l’applicazione della libertà.
Altre definizioni della libertà – seppure non stigmatizzabili – escono fuori dal pensiero filosofico e appartengono a contingenze altre che possono anche soddisfare ma che non possono essere definite espressioni della libertà.
È anche vero che non necessariamente tutti dobbiamo ritrovarci nel pensiero di essa così codificato. Ma l’acqua della libertà non nasce che dalle fonti accennate.
Io che sono un eclettico non per convenienza ma per cultura, attingo e bevo acqua dalle diverse fonti e, essendone gran bevitore e di palato fine, non confondo l’acqua con la sabbia che la contiene.
Tutti coloro che vorranno la bibliografia di quanto affermato non hanno che da chiederla.
***

Coloro ai quali invierò questo scritto, conoscono già gli altri miei.
Per chi si trovasse per la prima volta a leggermi può andare se ha voglia e tempo a controllare gli altri (http://www.facebook.com/home.php?#/profile.php?id=1564278918&ref=name, oppure http://relazione-uomo-parola.blogspot.com/).
Ho sempre espresso una mia opinione sulla situazione politico-istituzionale e partitica.
Ho dichiarato la mia volontà di astensione dal voto motivandola in maniera abbastanza articolata, senza alcun retro pensiero né coperto né dichiarato di voler fare proseliti e affermando che ciò rientrava nelle mie prerogative di libertà.
Di uomo libero.
Sono stato per questo redarguito, accusato e insultato.
Certo non me ne può fregare di meno, perché penso con la mia testa e vivo col mio corpo.
Poi, essendomi dichiarato in tempo non sospetto orso, scorbutico e misantropo, e non mosso dalla voglia di piacere a tutti i costi, sono molto tranquillo.
Aggiungo, perché non l’avevo dichiarato per mio ritegno, che sono anche per cultura e pensiero un po’ elitario e alcune volte ne godo di questa prerogativa che non tutti si possono permettere.
C’è stato qualche lillipuziano che con le sue freccette avvelenate ma spuntate di storia, filosofia, etica, politica e cosucce così, pronunciate in dialetto, voleva abbattere Gulliver.
Il gigante può solo abbattersi da solo, oppure scegliere di farsi ferire.
Non può un abitante di Lilliput pensare di sconfiggerlo.
Chiedo venia a chi leggerà del tempo e dell’impegno del non facile scritto.
Coloro che non hanno tempo, possono senz’altro astenersi.
Michele Cologna (22/05/2009 20.44.30)

lunedì 18 maggio 2009

Sono un uomo libero che non vuole padroni

I padroni non scelgono i loro manager o dipendenti, li comprano.
Se nell’esercizio, nei compiti affidatigli rispondono alle esigenze padronali, li tengono e li remunerano sempre più, altrimenti se ne disfano.
Altra caratteristica dei padroni è quella che i meriti sono sempre propri, i demeriti sono dei collaboratori.
Per cui ad un padrone non si possono mai imputare addebiti perché avrà sempre a portata di mano il colpevole e mille prove a sua discolpa.
Se si tratta invece di ricevere riconoscimenti è lui e solo lui il titolare a pieno titolo di questi.

Tenete presente questa premessa.

I partiti nell’esplicare la loro politica sul territorio si servono di uomini che amministrano la cosa pubblica in nome e per conto proprio.
Se gli amministratori fanno bene – casi rarissimi, mosche bianche, ormai – i meriti sono del partito, se rubano, falsificano, amministrano male – ordinaria realtà – la colpa è loro. Degli uomini che sono caduchi, che sono erranti, che sono egoisti etc.
Non li possono licenziare così come fanno i padroni e cercano di scendere a patti, ogni volta scivolando sempre più verso il basso.
Quando, poi, è proprio impossibile accontentarli alla luce del sole, e fingono (perché un accordo sotto banco c’è sempre) il pugno duro, i cattivi amministratori si mettono in proprio.

Anche i cattivi manager quando vengono allontanati dal padrone passano alla concorrenza, se poi non la trovano e credono nelle loro qualità si mettono in proprio. Senza accordo sottobanco con il vecchio padrone, però!

Fino a una ventina d’anni fa, qual era la situazione?

I partiti - in maniera particolare la DC e il PCI - maggiormente venivano scelti dai propri, aderenti, iscritti, simpatizzanti e questi facevano attività politica. Alcuni si contraddistinguevano per capacità, onestà e virtù simili e il partito con prudenza e in modo graduale dispensava incarichi con l’occhio al proprio interesse, l’interesse del territorio e le legittime aspirazioni dell’attivista.
Il partito cioè, vincolato alla sua prerogativa ideale, civile, culturale era un mediatore tra le esigenze proprie - la realtà nazionale e internazionale, la sua collocazione culturale e civile, il suo disegno di società etc. -, quelle della realtà locale, non smarrendo mai la sua propensione pedagogica, e quelle dell’ individuo che metteva se stesso e le sue capacità al servizio di una causa.
Filava sempre tutto liscio?
Sicuramente no!
Accadevano casi in cui i partiti dovevano scendere a compromessi con le personalità che nel bene e nel male l’avevano rappresentato. Si dava un po’ di sottogoverno, qualche ente, consorzi, eccetera.
La Dc poiché governava aveva una disponibilità infinita.
Nel caso del PCI, partito in cui queste disponibilità scarseggiavano, dove esistevano le cooperative, il problema era risolto, altrimenti lo si candidava in un collegio senatoriale sicuro, gli si faceva fare due legislature e poi se lo toglievano dai coglioni.
Quando anche queste possibilità erano insufficienti, per i motivi più disparati, si ricorreva all’arma estrema dell’espulsione. Rarissimi questi casi segnavano, venivano vissuti come una grave sconfitta per il partito.

Il partito socialista era, è stato qualcosa di differente.
Il PSI per caratteristiche avrebbe dovuto rispondere alle stesse logiche del PCI e della DC, invece è stato – per quanto possa io testimoniare – sempre un partito che ha asservito i suoi iscritti, aderenti, simpatizzanti.
Un partito che aveva due facce: quella leggibile, guardabile, presentabile che rispondeva grosso modo ai due partiti maggiori DC e PCI; quella nascosta, subdola, impresentabile che rispondeva alla logica del partito padrone.
Non si avevano posti di responsabilità se non si rispondeva ai requisiti che il partito riteneva utili per sé.
I migliori socialisti, quelli che avevano aderito a quel partito per gli ideali alti del socialismo, erano gli utili idioti da mettersi all’occhiello, ma contavano quanto il due a briscola.
La maggior parte di essi stanca armeggiava ai margini sempre sul filo del me ne vado. Abbandono tutto.
Gli amministratori erano scelti dal partito o tra gli iscritti e gli attivisti, quelli senza scrupoli, oppure nella società tra i più spregiudicati tendenti al delinquenziale.
Erano questi che tenevano il partito in mano e ne determinavano le sorti. Costoro occupavano tutto ciò che c’era da occupare, depredavano, depauperavano. Ogni centimetro di sottogoverno era loro. Ogni attività amministrativa era sottoposta alla “tangente” socialista. Erano i padroni seppure con molta discrezione.
Arrivò la segreteria Craxi e l’aspetto padronale del partito da occulto divenne palese.

Gli altri partiti erano ombra della Dc, mantenuti in vita dalla sua volontà e dalla sua capacità di distribuire tenendo ben saldo lei in mano il potere.

Dopo l’avvento di Craxi, e la sua politica aggressiva e spregiudicata, tutti i partiti iniziarono la lenta ma inesorabile marcia verso la trasformazione craxista.
Ci furono delle resistenze ma all’ineluttabile si giunse.
I partiti da convogliatori di consenso si sono trasformati in proprietari, padroni del consenso da prendere o lasciare.
Gli uomini di partito, gli amministratori e ogni emanazione partitica si sono mutati in casta.
Da ultimo a questa concezione è arrivato il PD.
Il quale non solo si è trasformato in partito padrone, i suoi dirigenti in casta, ma ha portato in dote lo sconcio del PCI: il familismo.

Se queste osservazioni vi sembrano forti e non condivisibili, fate pure!

Prima di liquidarle però, fate mente delle azioni dei partiti, analizzatele, riscontratele con le affermazioni dell’inizio, della premessa sulla concezione padronale e poi decidete pure se sia vero o sbagliato, al di là delle conclusioni che poi ognuno trarrà.

Sono un uomo libero che non vuole padroni e non parteggio per i padroni.
Ho speso una vita per la democrazia e la libertà.
Tutti i valori in cui ho creduto e per i quali ho lottato vengono calpestati da tutti i partiti. Nessuno escluso.
Sono costretto a subire perché non ho altre possibilità se non quella d’andare via dall’Italia o farmi fuori.
Non volendo fare né l’una cosa né l’altra, mi astengo.
Mi passano per la mente idee che non condivido.
Non le pratico perché credo solo nella lotta democratica e fino a quando non verranno a impormi con la forza qualcosa di inaccettabile per me, la mia resistenza sarà passiva.
Se dovesse verificarsi l’imposizione dell’inaccettabile, la mia resistenza, pur essendo vecchio, sarà attiva.
Michele Cologna (18/05/2009 15.21.52)

venerdì 15 maggio 2009

“Pensiamoci ogni sera al tramontar del sole…”

“Pensiamoci ogni sera al tramontar del sole…”
Dal piazzale del locale “Punta dell’Ovest” di Baggio (MI), Michele, figlio dei fiori, e “sognando California”, assisteva al tramonto cogli occhi luccicanti per il suo amore.
Anche la mamma e i fratelli lontani gli dolevano più della ragazza, ma l’appuntamento era con lei.
Già!, non c’erano telefonini, il telefono era un lusso non necessario e per ricchi, le lettere non si potevano scrivere, perché nessun recapito poteva accettarle…
L’appuntamento ideale era l’unico possibile e più economico.
Non erano che pochi giorni che Michele era presso la zia a Milano: “Uaglioni, a Milan cost magnà. Fa prest a truà a fatij. Quill’om mic po’ mantnè a te”
(Ragazzo, a Milano costa mangiare. Fai presto a trovare il lavoro. Mica quell’uomo – il marito – può mantenere te.)
Michele le voleva troppo bene per pensare che la zia, sorella del padre, fino a quando il papà era in vita s’era sfamata lei e la sua famiglia in casa sua. Ci penserà dopo. Penserà anche, che pure dopo la morte del papà e nella povertà in cui la sua famiglia era precipitata, la zia per tre mesi all’anno stava a San Severo a casa sua a vitto e alloggio gratis. E la mamma privava i figli del poco per sfamare la cognata malata.
Cercava lavoro e se fosse stato possibile anche casa.
Via Delle Forze Armate era lunghissima, non finiva mai.
“Non si fitta ai terroni”
“Affittasi appartamento… no a meridionali”
“Si assumono operai e manovali. No a meridionali”
“Cantiere con personale al completo. No terroni”
Quante volte aveva letto e riletto quei cartelli!
La rabbia cresceva sempre più e con essa la voglia di tornare indietro sconfitto.
Dopo aver pianto all’appuntamento con il tramonto e la sua bambina, e versato lacrime insaziabili, di bruciante nostalgia per la sua mammina, Giovanni e i fratelli, decide: “Io domani trovo lavoro”.
Sa bene dove andare.
La mattina alle sette sta già davanti agli uffici della Fargas, il cartello recita: “Si assumono operai e manovali. No a meridionali”.
È il primo, con rabbia entra:
- perché è qui?
- cerco lavoro.
- cosa sa fare lei?
- niente!
- e cosa è venuto a fare allora?
- a conquistare Milano e i milanesi.
Perplesso, guarda… con un sorriso:
- si sieda!
- di dov’è lei?
- sono di San Severo!
- non ha letto il cartello?
- sì!
- e allora?
- allora che ci fa lei qui, visto che è più a sud di me?
- da cosa l’ha capito?
- potrei dire dalla sua dizione, ma più dal suo sorriso!
Il suo volto nasconde soddisfazione e s’atteggia a pensatore. Non pensa, è una maniera per contenersi dal professare la rabbia contenuta in lui, dall’abbracciare il terrone che lo riscattava…
Michele non lo saprà mai.
- Ha i libri?
- Sì.
- Domani li porti qui all’ufficio personale…
- Li ho qui con me, non è possibile oggi?
- Esca, vada nella stanza a fianco e dica di chiamare il dott. Mongelli. Poi ripassi da me.
Il cuore di Michele scoppiava e non capiva di cosa.
Dopo qualche ora rubata al tempo, egli era di nuovo lì davanti al dottor Mongelli.
- Ho fatto un eccezione per lei. La mando nello stabilimento di Novate. Lì la metteranno a lavare delle cucine ritornateci dall’alluvione di Firenze. Se si comporterà bene andrà alla produzione.
Volava Michele lungo via Delle Forze Armate, piangeva e avrebbe abbracciato tutti.
Fece chiamare la mamma al centralino e le comunicò la notizia: “Mamma, domani inizio a lavorare”.
Fu dura. Lo vestirono da palombaro. Gli diedero un tubo che spruzzava acqua ad atmosfere pazzesche. Se non dosava l’apertura o cadeva lui all’indietro o volavano le cucine.
Così Michele entrò anche lui nella schiera degli angeli che salvarono Firenze, pur stando a Milano.
Dopo alcune settimane, non ancora finivano le cucine, Michele venne chiamato dal ragioniere capo:
“Senta, lei ha mostrato dedizione e noi abbiamo pensato di premiarla. La metteremo alla catena di montaggio. È un lavoro di grande responsabilità. Se lei non farà bene tutta la linea si fermerà e tutti i suoi colleghi verranno penalizzati a causa sua. Vada e buon lavoro”.
Il lavoro era così banale che Michele si meravigliò di tante raccomandazioni. In meno di una settimana conosceva a mena dito tutta la catena di montaggio. Poteva sostituire qualsiasi collega.
Qualche mese e fu di nuovo chiamato dal ragioniere capo: “Signor Cologna, mi hanno detto molto bene di lei. Lei è anche istruito e noi abbiamo pensato di affidarle la linea. Le sue responsabilità saranno maggiori, ma se lei si dedica così come ha fatto, non esisteranno problemi”.
Il ragioniere ora si alzò e gli strinse la mano.
Era la prima volta che qualcuno gli stringeva la mano da quando stava a Milano.
Non voleva ammetterlo ma provò molto piacere.
Dovette iniziare i fare i turni. Dovette iniziare a dare ordini e questo non riusciva a sopportarlo.
Non poteva egli redarguire un operaio anziano, anche se gli dava del terrù. Un uomo che stava lì da trent’anni ed ora doveva essere comandato da uno, poco più di un moccioso.
Non ci riusciva proprio.
Le giornate gli pesavano. Non dormiva. Non gli piaceva. Non poteva andare più all’appuntamento al tramonto.
La zia gli prendeva tutto ciò che guadagnava.
Lo faceva per il suo bene.
Doveva fare il secondo turno e la mattina si recò agli uffici della Fargas in via Delle Forze Armate, voleva parlare con il dott. Mongelli che lo ricevette gioioso.
Gli spiegò come si sentiva, anche al dott. Mongelli luccicavano gli occhi.
“Io sto bene, figlio mio, qui! Ho una famiglia, e qui posso darle una vita dignitosa. Se avessi la tua età… La vita a Milano è dura. Solo tu puoi decidere della tua vita. Qualsiasi cosa tu deciderai sarà quella giusta.”
Uscì da dietro la scrivania, gli porse la mano e l’abbracciò.
Si sentì per la prima volta non più ragazzo, Michele.
Ora era un uomo.
Non disse niente a nessuno. Dette le dimissioni.
Aveva deciso d’andare via. Tornare al suo paese per il quale si struggeva.
Il sabato al tramonto si recò all’appuntamento, non provò il sentimento delle volte passate.
Neanche il pensiero che tra qualche giorno avrebbe rivisto la mamma e i fratelli gli dette gioia.
Non aveva voglia di rientrare a casa e s’incamminò lungo via delle Forze Armate.
Per la prima volta la vedeva differente, non gli era ostile.
Addirittura scoprì delle bellezze che non aveva mai notato.
Notò un cartello “Sala da ballo delle rose”.
Non ci aveva mai fatto caso.
Passò oltre.
Ci ripensò, tornò indietro e si incamminò nella direzione indicata.
Quando si sedette pensò che non sapeva ballare.
Avrebbe solo trascorso un po’ di tempo così.
Il disco suonava “Marina, Marina, Marina ti voglio al più presto sposar…”.
Una ragazza gli si avvicinò, “Non balli?”.
“Non so ballare!”
“Vieni ti insegno io.”
Lo baciò.
Era saporita. Dolce.
La sua lingua era miele.
Si trovò in uno stanzino e con lei sul divano.
Era stordito. Confuso.
Bevve per la prima volta alla coppa dell’amore.
Era dolcemente spossato. Vuoto.
“Come ti chiami?”
“Michele”
“Vuoi essere il mio ragazzo?”
“Sì.”
“Vuoi restare con me stanotte?”
“No, ci vediamo domani.”
“Dove?”
Michele non rispose, trovò la via per uscire…
Era inconsistente come l’aria che attraversava…
Camminava e…
“Disgraziato!, tuo zio, quel poveretto, zoppo, s’è dovuto alzare dal letto per cercarti. Tu sei un delinquente senza riconoscenza. Domani te ne devi andare.”
“Sì, zia!”

giovedì 14 maggio 2009

Una donna d’aspetto composto, di lineamenti fini, di retaggio antico ma ancor piacente, attuale s’avanza barcollando.
Vorresti chiederle di cosa abbisogna, soccorrerla.
Ma i suoi occhi vedono assenti.
Una barriera di respingimento l’avvolge.
Resti lì a guardare impotente la caduta che vedi imminente.
Ecco, poggia il ginocchio a terra…
Tenta con eleganza di rialzarsi…
Il tentativo la priva delle ultime forze e languida, molle cede.
Stai per correre a prestarle aiuto, ma una schiera di uomini in camice bianco le si parano intorno e non ti dà la possibilità d’avvicinarti.
Siamo noi i medici… siamo noi i medici...
Urlano.
Una folla immensa e rumoreggiante si raccoglie.
Sbucano dal nulla uomini in divisa e ronde che non ti fanno avvicinare.
Solo coloro in camice bianco possono soccorrerla.
La gente accorsa parteggia per i vari soccorritori.
Vinco la mia ritrosia e m’approssimo alle transenne.
Orrore!
Dio mio, che scena!
I soccorritori sono degli antropofagi: i loro volti sono intrisi di sangue della vittima; dalle loro bocche pendono brandelli di carne strappata.
E i loro ghigni producono rumore di riso…
E levano in alto le mani pieni di carne asportata…
E la gente stipata urla, incita, parteggia…
Ridono, tutti ridono.
Mio Dio!
Michele Cologna (14/05/2009 9.19.30)

martedì 12 maggio 2009

Il poeta e Benedetto Croce

Da quando ho traslocato, mi sono definitivamente trasferito nella casa di campagna, ho dato ai miei libri un nuovo ordine che mi sembrava più razionale di quello che per decenni mi ero costruito nella mente prima e poi nei scaffali.
È inutile dire che non trovo più nulla.
Mi dispero, ma mi resta solo la disperazione perché i libri non li trovo.
Spero che quest’estate quando vengono i miei ragazzi, mi aiutino.
Ho tutto in mente l’ordine precedente: io dico come disporli e loro lo eseguono.
I libri pesano quando devi farli tuoi, pesano ancor più quando fisicamente li devi sistemare. Dalla capacità di abbassarmi per prendere quelli più in basso, misuro i giorni che passano.
Non trovando più nulla vado a memoria.
Benedetto Croce in uno scritto e non ricordo quale, affermava grosso modo questo: “Tutti gli uomini – donne comprese, è chiaro – fino ai diciotto anni si cimentano con la poesia. Dopo quest’età, quelli che restano a poetare si possono dividere in due categorie: i poeti veri e gli imbecilli”.
Se non sono proprio le parole del grande filosofo, questo ne era il senso.
I poeti veri, beh! È chiaro che facciano poesia.
Gli altri, gli imbecilli, quelli che fanno poesia, o lo fanno per maniera ed ancora un po’ di rispetto gli si deve, cercano di guadagnare soldi; oppure lo fanno per apparire quello che non sono, ingannando il loro prossimo.
A questi nessun rispetto è dovuto, anzi ferma condanna.
Questa lunga premessa, per dire che non sono un poeta, perché so di non esserlo.
Non sono, credo, un imbecille – almeno nel senso crociano – per cui non mi metto a poetare per non avallare Croce, ma essenzialmente per non essere ridicolo anche da questo punto di vista.
Già gli uomini sono abbastanza ridicoli senza l’aggravante di credersi poeti.
La mia amica, Rosa, ieri ha pubblicato su facebook degli album di fotografie e mi ha invitato a commentarle.
Io ho solamente risposto cliccando su “mi piace”.
La mia bella amica Rosa, certamente delusa, ha scritto “neanche un commento mignon, Michele?”.
L’ora era tarda e non ho potuto rispondere.
Lo faccio ora.
Cara Rosa, non so quando voluto – scusami, ma io credo involontariamente -, tu ieri in quelle immagini hai sintetizzato l’esistenza nella sua crudezza della realtà, nella sua bellezza della realtà, nella sua tragedia della realtà.
Potevo io commentare, potevo avere la presunzione di liquidare con un commento imbastito lì per lì la Vita nella sua poesia?
No!
Perché non sono un poeta e non sono un imbecille (almeno nel senso prima descritto).
Una bambina bella pacioccona, morbida che mi sorride da una foto scaturita dalla memoria…
Una giovane donna che signorinella sorride lieta della sua età e della sua gioia ancora inconsapevole d’essere, che somiglia alla bambina pacioccona scaturita dalla memoria e per certo non lo è…
Una donna che somigliante alla signorinella sorridente gioiosa della propria spensieratezza, sorride velata - da un balcone di villette a schiera - già modificata dal tempo che tutto travolge e segna…
Una donna, sconvolgente nella sua bellezza di vecchia, che conserva il volto della bambina pacioccona scaturita dalla memoria e non lo è come non è la signorinella spensierata e la donna al balcone dal sorriso adombrato…
Poiché non sono poeta, Rosa, ma so leggere la Vita e tutta la poesia che essa emana, irraggia, comprende nel bene come nel male, nell’odio e nell’amore, nella grazia, nella gravità, nel decoro e nella finitezza di ogni cosa…
Non essendo, quindi, poeta per liquidare il tutto con dei versi illuminanti, travolgenti che avrebbero subito scolpito nella pietra il sentimento, ho molto riflettuto e l’unica cosa che meglio esprimesse lo stato d’animo del momento, che mi è venuta in mente è stata la frase di Anna Magnani, in età già oltre, al proprio truccatore: "Non mi togliere neppure una ruga. Le ho pagate tutte care".
Per una questione di discrezione, non sapendo come uno potesse interpretare una frase così criptica, l’ho scritta sulla mia bacheca.
Ho pensato Rosa leggendola, capirà.
Forse era troppo azzardato il mio percorso mentale e la mia cara Rosa s’è sentita trascurata.
No, bell’amica!
Tu hai creato un circuito d’immagini che in pochi secondi ha sintetizzato non la tua esistenza, ma l’esistenza.
L’esistenza di tutti noi.
Io te ne sono doppiamente grato, Rosa: perché oltre la poesia alla quale mi hai fatto assistere, hai a me consentito di chiarire che non sono poeta, forse neanche imbecille, e che non cerco di piacere a tutti i costi.
Ad libitum
Michele (12/05/2009 12.18.44)

domenica 10 maggio 2009

Auguri alla mia mamma, a tutte le mamme

Eravamo in attesa.
Tu, mamma, eri quella più serena.
All’insaputa tua chiamavo tutti i giorni: “Non ancora è pronto”.
Una mattina, “Sì, è pronto! Si rechi presso l’Ematologia di quest’ospedale”.
“Lei è il figlio?”
“Sì.”
“L’esito è positivo. Sua madre ha un tumore al sistema linfatico. Si chiama Morbo di Hogking. È un tumore dei bambini. I bambini al 75, 80% guariscono. Sua madre, avendo sessantotto anni, non può subire la stessa terapia radicale che viene fatta ad un bambino. Però, proprio per la sua età, il tumore sarà meno aggressivo e con una terapia di mantenimento potrà morire anche di vecchiaia e non di questo male.”
La mente razionale rincuorava il cuore che non capiva e le lacrime scendevano copiose, come ora che ne scrivo, mamma.
Tutti i fratelli - tuoi figli – decidiamo: “È giusto che lei sappia la verità. È giusto che decida lei con noi cosa fare”.
Venni incaricato io di parlartene.
È chiaro, ero l’intellettuale – quanto ironico sarcasmo nel tempo, ora utile - della famiglia avrei trovato senz’altro le parole giuste. Per due giorni non riuscii a mettere insieme un pensiero, mamma.
Dovevo pur dirtelo!
Così la mattina che del terzo giorno, “Mamma, hai un po’ di tempo? Sediamoci, così parliamo più comodamente!”.
Uno di fronte all’altro, la tua mano nella mia: com’era piccola nella mia, mamma! Scompariva. La sentivo tenera nei segni duri dell’età e della fatica. La testa era vuota. Non sapevo cosa dirti. Dovetti lasciartela e il pensiero mi tornò.
Ti dissi esattamente quello che mi aveva riferito il primario dell’Ematologia.
Il tuo sguardo s’impietrì.
Non riuscivo a leggerlo.
Ti ho detto parole partorite dalla Mente Razionale, mamma, perché il cuore era muto. Ma non credo che tu abbia decifrato un solo senso nel fruscio del parlare vuoto.
Lo sguardo tornò normale e mi è sembrato che tu rincuorassi me.
I due anni seguenti furono un Calvario senza fine, mamma.
Dove tu trovassi tanta forza, non lo capivo.
Dal tuo letto d’ospedale mi parlavi. Mi parlavi.
I tuoi occhi luminosi e ancora di fanciulla, erano finestre sul mondo.
Mi raccomandavi cose che ovvie alla ragione, avevano la forza di bloccarmi il cuore.
Le tue parole entravano in esso e lui cresceva, cresceva…
La tua forza concreta, la tua umanità delle cose erano filosofia che nessuna scuola di pensiero aveva ancora codificato.
La tua commozione per Lucia, una ragazza di vent’anni che stava morendo e oggi incontro ancora per la strada, ti commuoveva più della tua vita che stavi consegnando a Dio.
Io mi sarei lasciato morire, mamma.
Il tuo martirio mi faceva impazzire. Non lo comprendevo.
A nemmeno tre ore che esalassi l’ultimo respiro - la notte tra il 16 e il 17 aprile del ’94 - in un momento di risveglio, chiedesti “quando andiamo a fare la terapia?”.
Non volevi andartene, mamma.
Quest’ultima tua richiesta per molto tempo non comprendendola, mi fece maturare la convinzione che tu fossi morta disperata, mamma.
Invece dopo, molto dopo, quando le tue parole di mamma hanno maturato il mio cuore alla comprensione del mondo, ho capito che quel tuo legame alla vita era il tuo estremo atto d’amore.
Mi chiedesti più volte di prendermi cura del tuo figlio sfortunato, mamma.
Ti dissi di sì e di non preoccuparti altrettante volte.
Ma ora so che tu non mi credesti neanche come bugiardo, perché io ti rispondevo con la testa e non col cuore, mamma.
E tu lo sentivi.
Dopo anni che mi prendo cura del tuo figlio sfortunato, Giovanni…
Una domenica mattina di qualche mese fa, mamma, mentre lavavo il tuo figlio che si era sporcato e la rabbia furiosa mi pervadeva ogni cellula, ogni atomo del mio corpo e una violenza incontenibile mi divorava…
La nuca del figlio tuo mi si mostrò come quella del Figlio di Maria, colei della quale tu porti il nome, e una calma serafica mi penetrò.
In un attimo compresi il tuo sguardo pietrificato al momento della notizia del male, la tua richiesta di terapia a poche ore dalla morte, il tuo parlarmi e parlarmi delle cose della vita in ospedale.
Tu già sapevi che solo io potevo prendermi cura di Giovanni e hai insegnato al mio il cuore della mamma. Non eri ancora certa del tuo ammaestramento e dubitavi.
Ora sai con certezza, mamma, che sei stata ottima insegnante.
Voglio dirti, però, che troppo pesante è il fardello di mamma per il cuore razionale, leggero, fragile, superficiale dell’uomo, mamma.
Auguri!
Michele (10/05/2009 9.20.59)

O figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio,
figlio, chi dà consiglio
al cor mio angustiato?

venerdì 8 maggio 2009

Una breve camminata con Franceschini

Ospite di mia figlia a Ravenna, dopo la trasmissione di Santoro, Anno Zero, piuttosto annoiato, preoccupato, quasi angosciato, non avendo sonno, son uscito a fare una passeggiata per il centro storico.
A quell’ora deserto, certamente m’avrebbe scaricato un po’ di tensione.
Passeggiando, “se la Bonino, però, uscisse da quel partito e creasse un movimento radicale, forse un pensierino ce lo farei. Ha avuto il coraggio d’apparire bigotta di fronte a modernisti alla Palombella, beh! vuota come il marito e a quel servo ben pagato di Ghedini”.
Questo, andavo pensando, quando dei passi alle mie spalle mi fecero girare preoccupato.
Toh, Franceschini!
F. Ciao!
M. Ciao, non avevo sonno e ho pensato di fare una camminata rilassante.
F. Piace anche a me rilassarmi un po’ prima d’andare a dormire.
Un po’ di silenzio imbarazzato.
F. Leggo, sai, quello che scrivi!
M. Sì!
F. Spero che tu cambi idea. Non è possibile che una persona impegnata come te faccia un discorso come il tuo sul non voto. Ci stiamo muovendo. Stiamo facendo tutto il possibile. Non ci pensano minimamente. Hanno i voti per fare tutto quello che vogliono. Vorrebbero il nostro coinvolgimento solo per dire sì alle loro proposte. Abbiamo spinto su molti provvedimenti in favore di chi non ce la fa ad arrivare a fine mese. Cosa dobbiamo fare di più, non lo so!
M. Le piazze! Ci avete pensato qualche volta?
F. Ma se non riusciamo neanche localmente a mettere insieme quattro gatti!?
M. E vi siete chiesto perché! Vi ha sfiorato mai la testa il pensiero che le persone percepiscono tutti i politici alla stessa maniera? Hanno torto? In che cosa si differenziano gli amministratori del PD da quelli degli altri partiti? Mariuoli gli uni, mariuoli gli altri. Incompetenti gli uni, altrettanto gli altri. Ma vi rendete conto che basta che parli un Loriero e perdete, se ve n’è rimasta, ogni briciola di credibilità!?
F. Mah…
M. Senti, facciamo finta che siete diversi dagli altri! Come vi muovete hic et nunc, dicevano i latini!
F. Continuando a fare proposte…
M. Ci sta un sedile lì, Franceschini, se vuoi ci sediamo un po’. E poiché io ti ascolto sempre e, io sì, ti leggo, voglio che tu ascoltassi un poco me.
F. Va bene!
M. L’Italia è in crisi profonda. Nessun aiuto viene offerto alle famiglie, ai più deboli. Promesse… tante, leggi vuote che non trovano pratica applicazione. Tanti sacrifici e basta. Si è davvero alla disperazione. Vecchi che si tolgono dalla loro bocca quel poco che hanno per far campare figli e nipoti. Cittadini che sbattono con bollette della luce e del gas in mano aumentate a dismisura che non possono pagare. Hai mai provato a telefonare all’Enel e all’Italcogim, o alla Telecom? Ti sei mai affacciato in un’ASL? Hai mai ascoltato il pianto di chi non può mettere il piatto davanti ai propri figli? Hai mai provato tanto disgusto da preferire la morte ad un’altra giornata di vita?
Franceschini, sai cosa significa il disorientamento? Sai cosa vuol dire non comprendere più in che mondo si vive? Sai come ci si sente quando nessuna speranza ti attraversa più?
Se le cose stanno così, Franceschini, che state a fare ancora in Parlamento? Lo sai che anche dalla opposizione, con la sola presenza avalli questa situazione?
F. Cosa dovremmo fare, secondo te!
M. Franceschini, se è vero che non siamo più nella ordinarietà, ma nella straordinarietà vanno prese misure adeguate. Se ti crolla la casa in testa scappi, e non vai a prendere la trave per sostenere il soffitto. Se avete provato tutte le soluzioni praticabili e questi hanno tirato avanti come bulldozer incuranti di ogni suggerimento, è inutile gridare in Parlamento contro le leggi razziali, le leggi ad personam, il conflitto d’interessi, decretazione d’urgenza, leggi senza copertura di spese et cetera.
Si passa ad una strategia più efficace. Per esempio, impedire il funzionamento della regolarità parlamentare con l’abbandono dell’aula fino a quando non si ritornerà alla legalità. Ancora, un presidio permanente davanti al Parlamento di eletti e cittadini. Manifestazioni in continuazione in tutte le piazze d’Italia. Far percepire ai cittadini che non è morta la speranza. Che c’è ancora qualcuno che non si è omologato. Che al di là pure della necessità immanenti, vi sono dei principi per i quali ci si deve battere perché sono irrinunciabili per la civiltà alla quale non vogliamo e dobbiamo abdicare.
Insomma una Resistenza nelle Piazze e nelle Istituzioni.
È inutile credere ancora che questo governo sia recuperabile alla democrazia. È sciocco predicare che non siamo in un regime. È colpevole acquiescenza fingere che le cose non vanno bene ma…
Lo percepite l’imbarbarimento quotidiano di ogni sentire civile? Lo sfascio che ci sommerge?
La nausea di vivere? Il razzismo che sta fagocitando le anime dei cittadini di questo Paese? L’illegalità ad ogni livello?
Voi, Franceschini, siete illegali!
Non provate riprovazione per voi stessi che sedete in Parlamento da abusivi perché nominati e non eletti. Non vi sentite colpevoli di calpestare voi per primi la Carta Costituzionale?
È costituzionalmente legittimo il governo Berlusconi?
Lo sapete benissimo che non lo è!
Non vi vergognate che uno di voi, pur abusivo, percepisce in un mese quello che un lavoratore qualificato, specializzato prende in un anno?
Quanto valete voi più degli altri cittadini?
È vorreste con questo curriculum rendervi credibili nel contrastare il Malfattore?
A voi non vi interessa in nessun modo il sentire delle persone, interessa solo il vostro privilegio.
La vostra perpetuazione!
Ma siete ormai in via di estinzione, perché tra poco la folla inferocita vi spazzerà via.
Sì, Franceschini, il livello di sopportazione è saturo!
Sareste…
Una scossa di terremoto fa tremare la panchina sulla quale stiamo discutendo, il tremore…
Santo cielo, sono terremotato!
No, mi sono solo in poltrona addormentato!
Ringrazio Dio, per il pericolo scampato.
Che bello, anche la rima ho ritrovato.
Michele (08/05/2009 15.09.43)

giovedì 7 maggio 2009

La Mediocrità al potere

Sulla prima pagina del Giornale di oggi campeggia una foto del Padrone con sopra scritto “Vi sembra un Hitler, questo?”.
Potrei anch’essere stato impreciso nel riportare il titolo alla lettera, ma il senso non cambia: è mai possibile – si chiede il Giordano, direttore - che un uomo come questo possa essere paragonato a Hitler?
L’interrogativo mi ha portato alla mente una domanda che molto giovane feci ad un grande antifascista della mia città - San Severo (FG) - Carmine Cannelonga.
Uomo straordinario che ho avuto la fortuna di conoscere, e il privilegio di stare, lavorare alcuni anni insieme.
Il suo ricordo che non mi abbandona mai, è accompagnato dal rimorso per non aver esaudito una sua richiesta.
Mi voleva bene Carmine, e voleva che io gli ordinassi e mettessi in italiano corretto – bontà sua! – le proprie memorie.
I tanti impegni e forse il non sentirmi adeguato all’impresa, mi portarono a rinviare sempre l’inizio del lavoro e a formulare promesse mai mantenute.
Carmine, che era una mente eccelsa, mi disse pure che mi avrebbe seguito lui passo passo.
Non voleva che le sue memorie fossero gestite da persone delle quali non si fidava.
Durante il confino egli era su alcune strategie in dissenso con le posizioni ufficiali del partito.
Si batté e risultò perdente nello scontro impari con esso.
Ebbe ragione con i fatti che seguirono, ma sapeva bene che questa sua posizione, andando le “carte sue” all’Istituto Gramsci, non avrebbe trovato cittadinanza.
Ci teneva a marcare questa differenza. Ne era orgoglioso.
Le “carte sue” finirono all’Istituto Gramsci… e io me ne porto il dolore.
I suoi ricordi integravano e rendevano plastica, visibile la Storia.
Parlava la mente razionale dell’uomo, parlava il cuore generoso e la sua memoria scorreva formidabile.
Conoscevo abbastanza degli antifascisti, volevo sapere dei fascisti della mia città.
Me ne parlò con dovizia di particolari. Dipingendoli.
Mi parlò, indicandomeli, quelli ancora in vita. Degli altri, quelli scomparsi e che avevano avuto un ruolo nella vita politica e sociale del periodo, me li descrisse nei mestieri, nelle famiglie, nella roba, nei tic inconfessabili e in quelli appariscenti.
Sapeva tutto di tutti e non un solo giudizio volgare o di rabbia uscì mai dalla sua voce.
Mi sorprese il suo distacco nel parlare di chi gli aveva fatto del male. Di coloro che l’affamarono e il parsimonioso e grato riconoscimento di chi di parte e anche di parte inversa l’aveva in qualche modo soccorso.
La cosa che mi sorprese, pur non parlandone con lui, è stata la mediocrità, l’insignificanza degli uomini che più si erano contraddistinti nel propinare il male.
Il male partorisce dagli uomini non uomini. Dai non caratterizzati. Dagli uomini pezzenti d’animo.
Dagli uomini asociali. Dai bigotti. Dagli individui non formati. Dagli ignoranti non per cultura ma per umanità.
Il male è banale. Non parte da un’ideologia, dopo lo veste di quella che gli è più congeniale per nobilitarlo.
Sono i piccoli, gli insignificanti uomini a fare grande il male.
Le idee pezzenti. Quelle inconfessabili. Quelle che ogni uomo affoga nel fondo del suo pozzo e non tira mai a galla.
Gli uomini, ma non chi ne veste solo le sembianze!
Sorpreso della scoperta iniziai a consultare quanti più libri mi capitarono sull’argomento.
Ebbene il male assoluto può pervenire solo dalla Mediocrità.
Consultate tutti i libri che volete vi condurranno a questa conclusione.
Ebbene, Giordano freudianamente, incappando in un lapsus freudiano ha indicato esattamente l’uomo che può fare tutto il male possibile a questo Paese.
Sì, Berlusconi!
Perché egli è la Mediocrità incarnata nell’uomo.
È l’uomo più pezzente possibile, perché è pezzente anche nella sua mediocrità.
Hitler era proprio un pezzente suo pari. Gli mancava solo la quantità di denaro a disposizione del pezzente italiano.
Per il resto mediocre l’uno, mediocre l’altro.
Pezzente l’uno, pezzente l’altro.
San Severo, giovedì 7 maggio 2009

domenica 3 maggio 2009

A Veronica Lario, donna ritrovata

Ci sono gesti che riscattano una vita e pensieri che danno significato ad un’esistenza.
Il gesto va consumato, perché la vita è cammino insieme a coloro che non ci siamo scelto.
Il pensiero dà intrinseco significato ad un’esistenza, perché essa è solo nostra ed è a noi che dobbiamo giustificarla.
Michele Cologna (03/05/2009 9.49.51)

sabato 2 maggio 2009

A Cesare Bornaghi, per il tramite di Piero

A Cesare Bornaghi, per il tramite di Piero
Mio caro amico Piero,
le letture ci aiutano a riconoscerci, ci chiariscono ciò che sentiamo, a volte ci rivelano anche a noi stessi.
Ci sostengono nelle decisioni, ci arricchiscono, ci distolgono lo sguardo o ci aiutano a comprendere quand’esso per fissità, per mancata motilità si perde.
Quando l’Uomo afferra l’inafferrabile perdendosi, noi non possiamo che smarriti piangere le lacrime del mondo perché con la perdita perdiamo di esso il senso.
Per esperienza vissuta, essend’io un sopravvissuto alla catastrofe, ti dico ciò che è stato per me l’impedimento.
Lo scalino insuperabile.
Non l’amore per me, non l’amore per i miei cari, nessuna sacralità.
No, la generosità.
Nemmeno la riprovazione estetica che è forse la componente essenziale del grumo degli impedimenti.
L’altruismo, è stato.
L’altruismo che m’alberga più forte dell’egoismo.
Sono degli altri, Piero.
Non sono mio.
L’altruismo mi ha salvato condannandomi a vivere.
A bere fino in fondo l’amaro calice.
Questa lettura di me, mi ha riportato a rileggere attentamente Primo Levi.
Gli anni non gli avevano perdonato che egli fosse sopravvissuto ai tanti.
Ai più.
Non si perdonava il suo egoismo che l’aveva salvato.
I “Mussulmani” non gli davano tregua.
Il rimorso gli divorava l’Io che l’aveva tirato fuori dall’abisso degli altruisti.
Ha ripudiato il se stesso egoista con l’atto estremo dell’egoista.
Michele Cologna
sabato 2 maggio 2009