giovedì 9 aprile 2009

Il volo di Utopia

Questo scritto per coloro che immaginano l’Utopia un uccello volante senza posa.
Che continuino pure a vederla svolazzare nei cieli!
Tengano presente, però, che invocata dalle voci mai silenti, trasportata dalla sua curiosità e a volte dall’obbligo mai gratuito, in uno spazio e in un tempo non definibile con l’orologio delle ore o col calendario delle necessità, dev’anche planare.
E tutti quelli che l’hanno seguita, invocata, preparato l’atterraggio giubileranno.
Anche gli increduli e i realisti!
Sì, proprio quelli più realisti del re o, se più piace, papisti del papa!
Potremmo fare riferimenti storici, discorsi cattedratici, non li disdegno, ma non è questo il luogo e il momento.
La vita di ognuno di noi è storia delle cose, del particulare, dell’effettuale che concorre alla comprensione della Storia, del suo grande respiro non esautorandola e neanche escludendola.
Sembra ieri, invece alcuni anni son trascorsi.
Giovane lavoratore-studente e non studente-lavoratore, il nostro protagonista, signor G, sposatosi molto giovane con moglie, figli e casa da mantenere aveva poco da guardarsi in torno, assopirsi o discettare.
Solo lavorare studiare, studiare lavorare e se capitava qualche volta dormire.
Non si lamentava. Macinava rabbia costruttiva e non disdegnava l’impegno politico.
La sua bambina, la prima, per la quale avrebbe divorato il mondo se il mondo gliel’avesse sfiorata, si ammalò.
Non aveva Cassa Mutua il povero signor G, lavorava al nero: non si assicura uno che studia.
Se studia ha grilli per la testa!
Meglio al nero!
In qualsiasi momento un calcio lì, dove non batte mai il sole ed è sistemato.
L’amico medico gli suggerisce l’ospedale.
Passano i giorni, due settimane.
Non si comprende cosa sia nonostante il lume del primario, pediatra socialista di fama nazionale e internazionale, che aveva fatto conseguire al marito – sì, avete capito bene era una donna! - la laurea ad pecuniam negli Stati Uniti.
Viene suggerito un vero luminare: prende molto caro!
Il signor G vi si reca con la figliola, lascia 90 mila lire – il suo stipendio era, quando lavorava il mese intero 110/120 massimo – e torna con la buona notizia che era solo un’infezione tonsillare. Con l’angoscia, però, che le iniezioni per la bambina costavano 50 mila lire a fiala.
Doveva completare un ciclo di dieci, e se non fosse guarita doveva ripeterlo.
Chiede s’informa, niente!
Un politico gli prospetta la possibilità di ottenere il farmaco se fosse riuscito ad avere la Tessera della Povertà.
Il caro signor G, era orgoglioso assai.
“Io, la tessera della povertà? Non sarà mai!”
L’orgoglio del poverino era assai mal riposto: nella povertà ci stava con tutte le scarpe.
Ferito, cede.
Il Comune ha esaurito i fondi della povertà.
Non c’è possibilità alcuna, solo i soldi cureranno la sua amata figliola.
Riesce a comprare la prima fiala il signor G.
La sua bambina subito rinasce.
Come non ce la fa ad acquistare anche la seconda!
Ora è un fiore vigoroso la sua figliola.
Sarà proprio necessaria la terza?
No, gli risponde il luminare: è straordinario!
Ora piange il signor G.
Molti anni dopo il signor G si reca ad Aviano per una consulenza con il prof. Monfardini - un faro negli Stati Uniti d’America - prenotata per la povera mamma ammalatasi del morbo di Hogking.
La mamma non è trasportabile ed egli va con la cartella clinica.
Paga il ticket, poche migliaia di lire, parla con il professore e gli consegna la cartella.
Legge e annuisce.
Alza gli occhi, “Ma questi son ragazzi che studiano! Sa che sono avanti a noi nella sperimentazione della cura?”.
“Porterò questa cartella negli Stati Uniti!”
Alzandosi, “Lo sa lei quando costa al giorno la cura della sua mamma?”.
Il signor G con gli occhi lucidi non risponde: “Otto milioni al giorno, ragazzo mio!”.
“Sua madre non sopravviverà, ma questi ragazzi sono straordinari.”
Il signor G prende la via di casa sconvolto dal dolore, ma fiero perché per la sua mamma si sta facendo tutto il possibile.
Sta ricevendo le stesse cure della Jacqueline Kennedy.
Gli sovvenne la nonna materna Elisabetta che dopo tanti anni, più di cinquanta, si piangeva ancora il suo figliolo Riccardo “morto perché il medico non era andato a visitarlo”.
Non aveva quei pochi miserabili centesimi per pagarlo.
Utopia stanca di librarsi nell’aria era scesa a terra.

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