giovedì 30 aprile 2009

Non mi recherò alle urne, le ragioni‏

Questo scritto non verrà pubblicato da nessun quotidiano a cui lo invierò.
Tanti cittadini non potranno conoscere l’esito di una sofferenza autentica, mentre sanno tutto della recita a soggetto tra il sultano e la favorita.
A quei pochi che lo leggeranno chiedo scusa già da ora se offuscherà per qualche attimo la giuliva spensieratezza a cui il grande fratello ci vuole obbedienti.
Non andrò a votare né alle prossime elezioni, né mai più se le cose non muteranno.
Molti rideranno e penseranno: chi se ne frega!
In un sistema democratico la cittadinanza trova la massima espressione nell’esercizio del voto. Se un cittadino rinuncia, è costretto a rinunciare, è come se rinunciasse alla cittadinanza. Se a qualcuno fa ridere, accomodatevi pure!
Mesi di dubbio, giorni di angoscia e stamattina la pacata decisione: non mi recherò alle urne.
Prima considerazione: i partiti.
I partiti in Italia si dividono in due categorie, i partiti dei padroni e i partiti padroni.
Ai partiti dei padroni: PDL, Di Pietro, Casini non darò mai il mio consenso perché non ho la vocazione del servo.
Ai partiti padroni: non darò più fiducia perché hanno subito la metamorfosi, da convogliatori di consenso si sono trasformati in impositori di decisioni prese.
Tutti i partiti quelli dei padroni e quelli padroni prima solo autoreferenziali, ora partitocrazia assoluta.
Nell’accezione ampliata del termine: non solo hanno occupato tutto il potere, ma sono diventati il Tutto. Lo Spirito del Paese. L’anima dell’Italia. Degli italiani.
Tu, cittadino, sei, se sei in loro. Fuori, no!
Se fai parte dell’establishment, del suo corpo sei voce, sei persona.
Se sei fuori, non esisti né come cittadino, né persona.
Sei un miserabile, neanche più commiserato.
Disprezzato.
Seconda considerazione: il Parlamento.
Nel Parlamento siedono uomini non eletti, ma designati.
E poiché il Parlamento è l’assemblea rappresentativa degli italiani eletti, questi signori designati non possono rappresentare gli italiani.
Non possono legiferare in nome e per conto degli italiani, ma solo in nome e per conto loro e di chi li ha designati.
I parlamentari debbono ubbidire alla Costituzione e possono legiferare solo in conformità ad essa.
In Parlamento siedono uomini razzisti che legiferano in questo senso a spregio della Carta.
In Parlamento siedono uomini che per la nostra Costituzione sono ineleggibili e pure stanno lì.
In Parlamento siede la più alta percentuale che in altri posti in Italia, se si escludono le carceri, di pregiudicati.
Terza considerazione: il Governo, la Presidenza della Repubblica.
Un governo che governa senza la legittimità costituzionale.
Se l’uomo è ineleggibile per la nostra Carta a maggior ragione è impedito a governare.
Il Presidente della Repubblica, garante della Costituzione, nell’affidare l’incarico ad una persona costituzionalmente impedita a governare, ha violato la Carta alla quale deve sovrintendere come garante.
Quarta considerazione: la Corte Costituzionale.
Tutte le leggi debbono avere interesse generale e non particolare di un singolo soggetto. In Italia sono più numerose le leggi ad personam che quelle d’interesse generale.
La funzione della Suprema Corte è stata esercitata? No!
Ultima considerazione, non perché non ce ne siano altre: l’Informazione.
È libera l’informazione in Italia? No!
La Rai, servizio pubblico, è sotto la diretta responsabilità governativa e parlamentare.
Le TV private sono di Berlusconi ed è normale che siano sotto il controllo del padrone.
Berlusconi, essendo al governo del Paese, governa le Tv pubbliche e quelle sue private.
Non solo, avendo una maggioranza schiacciante in Parlamento, non v’è da questo possibilità di controllo.
L’opposizione fa qualcosa per fermare questo insulto alla decenza? No!
Lacrime prefiche quando si è all’opposizione, acquiescenza quando si è al governo.
I giornalisti?
Meglio tacere per decenza.
Hanno la possibilità i cittadini di formare la propria opinione informati da una informazione imparziale?
No!
L’informazione libera è garantita costituzionalmente?
Sì!
Schematicamente le ragioni che mi hanno convinto a rinunciare al mio diritto-dovere di cittadino di concorrere alla formazione del governo della cosa pubblica in Italia.
Poiché per questa mia dichiarazione potrei essere perseguito anche penalmente d’ufficio, spero che qualche PM comunista o non si assuma la responsabilità del proprio ruolo.
Dopo grande sofferenza, nessun dubbio.
Non andrò a votare.
Qualsiasi movimento democratico: radicale, estremo, moderato di qualsiasi natura si proporrà come obiettivo l’abbattimento della illegalità ormai decodificata in Italia, mi troverà al suo fianco.
Michele Cologna
San Severo, giovedì 30 aprile 2009

venerdì 24 aprile 2009

Solo all’uomo spetta legittimare la poesia

Perché è poesia “M’illumino di immenso.”, e non è poesia “Prima di dover subire la vita, bisognerebbe farsi narcotizzare.”?
Perché?
Uguale è la loro bellezza!
Intenso pensiero nello sbalordimento dello smarrimento; intenso pensiero nella constatazione della pochezza, finitezza, caducità dell’uomo di fronte alla vita.
Allo spavento del dolore.
La domanda in verità è retorica, perché tutti sappiamo che la prima affermazione sale verso l’alto, la seconda scende negli inferi. Negli abissi.
Durante il tempo consegnato al Nulla di ogni giorno, per alcuni istanti mi nutro dello smarrimento e mi sollevo, poi precipito e mi affanno, cercando il respiro, la vita nelle braccia dell’incomprensibile, sordido, e mai sazio mostro. Il dolore.
***
Ogni uomo dai tempi dei tempi, o dalla cacciata dall’Eden è mosso dalla ricerca della Felicità.
Il fiume che porta al Mare della Felicità, mai navigato da alcun uomo, è ricco di tanti, tanti, infiniti affluenti.
Ogni età, ogni tempo ha visto l’uomo camminare - a volte bagnandosi a volte no – lungo gli argini dei vari affluenti, con il proposito di raggiungere le acque del fiume e navigandole, portarsi al mare.
Sempre il mare si raggiunge con l’annegamento dopo il naufragio.
Non ho conoscenza che qualche uomo vi sia giunto vivo.
Pure il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha raggiunto sì quel mare ma cadavere come ogni umano.
***
L’uomo, accortosi della vana speranza come singola unità di raggiungere non il mare della Felicità ma il solo fiume che ivi si riversa, ha pensato che insieme ai propri simili, unendo le forze, avrebbe avuto maggiori chances di raggiungerlo. Guadarlo.
Da questa semplice constatazione ha iniziato un percorso sociale organizzativo, chiamandolo con nomi diversi a mano a mano che meglio perfezionava il progetto, per raggiungere con una forza moltiplicata ciò a cui non avrebbe mai potuto sperare come individuo.
Questa sua idea costò sofferenze, sangue, morti, guerre, tragedie, lutti, lutti e ancora lutti e infine gli sembrò di aver messo su un progetto perfettibile, ma capace di condurre a quel fiume.
Ogni progetto porta un nome, e a questi venne dato l’appellativo di Stato di Diritto.
Lo Stato di Diritto a sua volta contempla una Costituzione dove sono scritte le regole fondamentali e fondativi di esso in più la forma di Governo, le Rappresentanze e tutto ciò che accompagna ogni uomo dalla nascita alla morte.
La maggior parte delle Costituzioni si richiamano ad un concetto, anch’esso dibattuto nei secoli, che si definisce come Democrazia.
La Democrazia contiene molte cose, ma ciò che la informa e le dà valore è la certezza che qualsiasi Governo è a scadenza, ed esso dev’essere rinnovato con il suffragio degli elettori di quello Stato.
La Democrazia consiste, quindi, nella provvisorietà di un regime e nella sua intercambiabilità. L’uomo, divenuto soggetto di diritto, si è spogliato di tutte le prerogative proprie e le ha consegnate, affidate allo Stato.
Lo Stato in osservanza delle proprie leggi priva l’individuo di quei diritti ad esso demandati e glieli restituisce garantendoglieli tutti.
***
L’uomo ora, l’uomo contemporaneo, dovrebbe avere il cammino spianato verso il fiume che conduce al mare della Felicità.
È stato, è così?
In nessun modo!
Forse mai come ora l’uomo vive la propria Infelicità.
Mai come in questo periodo è stato tanto lontano da quel mare agognato.
È stato sì liberato da qualche bisogno, ma il prezzo pagato e che paga è altissimo.
I diritti delegati allo Stato gli sono stati da questi conculcati e/o soppressi.
Anche quelli inviolabili che egli non ha affidato allo Stato perché sono, appartengono alla sfera della indisponibilità, gli vengono sottratti.
Lo Stato è entrato nella sua intimità e gli sta sottraendo la personalità, la cultura e l’anima.
Gli ha sottratto, gli nega la prospettiva di futuro.
L’ha fermato, bloccato in un presente assente perenne.
***
Se così è, l’uomo consapevole credo debba pensarsi, percepirsi come assoluta Aseità.
La ricerca della Felicità non può che essere, dev’essere un cammino solitario.
Chi è più capace, più attrezzato ad avvicinarsi a quel fiume… vada.
Chi per stupidità, incapacità, fatalità non l’avvia nemmeno quel cammino, o lo percorre solo parzialmente… che resti lì, dove la sua forza l’ha condotto e poi abbandonato.
***
Lo Stato, avend’esso parzialmente o totalmente fallito le ragioni del suo essere, deve restituire le prerogative nelle quali ha fallito, all’uomo - che non più in esso si riconosce - la sovranità sui diritti alienati.
Lo Stato non può e non deve esigere pedaggio per prestazione che non offre o dispensa malamente.
Esso deve rimettere a coloro che ne richiedono la restituzione, la delega che l’uomo-cittadino gli ha affidato a rappresentarlo.
Quei Signori che esso ha reso eleggibili - con leggi truccate o apportando gravi lesioni alle norme che regolano l’eleggibilità - al Governo della cosa pubblica, non rappresentando più la totalità degli uomini-cittadino, essendo questi impossibilitati ad operare in legittimità e conformità alla Carta Costituzionale, perdono l’Autorità a rappresentare l’insieme. Al massimo conservano la rappresentanza della parte che in essi si riconosce.
Il Governo, il Parlamento, i Politici, gli Amministratori di questo Stato – per la mancata possibilità dell’elettore di discernimento, causa un’informazione guidata e unica, e di scegliere a motivo di una legge liberticida, che va sotto il nome di “legge porcata” - si sono costituiti in Casta e nella specifica qualità, avendo come unico obiettivo il loro perpetuarsi e il pensare solo ai propri interessi e a quelli dei famigli, non solo stanno depauperando e deprimendo lo Stato, il Diritto, ma sono abusivi e non legittimati nell’esercizio del potere.
Essi non rappresentano più gli interessi generali ma interessi particolari.
Non stanno al governo della cosa pubblica per promuovere e praticare il bene pubblico ma il loro. Ragione per la quale sono inidonei, delegittimati.
Debbono dimettersi, oppure, non essendoci Autorità in grado di esercitare la propria funzione per decretarne la illegittimità, debbono permettere ai cittadini che non si sentono da loro rappresentati di rientrare nella sovranità dei propri diritti. Delle proprie prerogative.
***
L’Uomo vessato, tormentato già dalla Vita che disattende le promesse e non lo gratifica della Felicità fatta baluginare, promessa con la Nascita, non può aggiungere a tanta inconcepibile inadempienza, gli abusi, l’arroganza, la protervia di uno Stato che occupato da abusivi si trasforma in oppressore, che nato per dargli felicità, ora lo annichilisce nella carne e nell’anima.
***
Poesia “M’illumino di immenso”, poesia “Prima di dover subire la vita, bisognerebbe farsi narcotizzare”, io l’uomo, solo io nella consapevolezza dell’uomo, nella mia Aseità posso saperlo.
Deciderlo.
Nessun altro può, deve farlo per l’uomo.
Michele Cologna
giovedì 23 aprile 2009 ore 20.30.36

martedì 21 aprile 2009

L’Italia è sempre stata lo sfasciume che abbiamo ora sotto gli occhi?

L’Aquila metafora dell’Italia.
L’Italia un paese terremotato che tra macerie, crolli parziali, lesioni e qualche agibilità è messa veramente male.
Tra queste macerie svetta il volto di Berlusconi e sotto tutti gli altri che in questi giorni abbiamo visto nell’indecente – a mio giudizio – sfilata.
Fuori di metafora, l’Italia è sempre stata lo sfasciume che abbiamo ora sotto gli occhi?
Assolutamente no!
L’Italia e gli italiani si compensavano a vicenda.
Gli altri paesi e gli uomini che li abitano hanno caratteristiche più chiare. Lineamenti marcati. Colori netti. Posizioni precise. Ogni piede cammina nella sua scarpa.
In Italia questo non accade. È tutto più indeterminato. Confuso. Geneticamente ibrido. Culturalmente eclettico.
E questo non è sempre un male.
A volte presenta anche aspetti positivi.
Veniamo al ragionamento che voglio fare.
Non scomodo libri di storia o teoremi.
Voglio ragionare con le immagini, gli accadimenti, la storia della mia memoria.
C’erano una volta i partiti politici. Quelli più essenziali.
La DC, un ammasso indistinto di interessi forti, deboli e consenso di persone per bene e per male. Un gruppo dirigente che rispecchiava esattamente queste anime. Gruppo dirigente, però, che nel governo del partito e della cosa pubblica operava in sé la compensazione. Parassitava il Paese con la consapevolezza che non doveva distruggerlo e con la rappresentanza delle correnti aveva sempre dei volti presentabili per esigenze anche nobili. Nello stesso partito poteva convivere Moro e Andreotti, Zaccagnini e Cossiga, Rumor e Colombo, De Mita e Forlani ecc. ecc.
Il PCI, tante anime diversissime tenute insieme da un sogno dell’avvenire. Un umanesimo speciale. Intelligenze fulgide. Faziosità incredibili. Democrazia al servizio dell’idea, quindi poca o del tutto assente. Bigottismo. Militanza indottrinata e pericolosa. Militanza settaria pari e contraria a quella fascista. Un gruppo dirigente selezionato con l’obiettivo del partito sopra ogni cosa, poi con l’occhio all’ortodossia, infine alle esigenze del popolo comunista. Tutti i miglioramenti sociali, civili, economici che si potevano ottenere erano una tappa verso il sogno, il riscatto finale. Nel Comitato Centrale stazionavano le varie anime e nella Segreteria chi vinceva il congresso. Nella direzione delle Sezioni tematiche le autentiche teste pensanti del PCI. Molto aperto alle collaborazioni degli indipendenti, anche se il più delle volte erano un fiore all’occhiello. Tutti temevano il governare come compromissione e il più delle volte con le formule più astruse si scappava dalle responsabilità. Il cemento del partito poteva tenere insieme Berlinguer, Napolitano, Ingrao, Cossutta ecc. ecc.
Il PSI, poche intelligenze e tutte in dissenso forte con il modo d’essere del partito. Il “socialismo” del partito si serviva del socialismo degli uomini fagocitandoseli. Il partito lo strumento del sottogoverno. Tutti contro tutti. Correnti nascevano e morivano. Ci si univa per scannarsi. Ci si divideva per incontrarsi nello scarnificare l’osso malcapitato. Una babele. Il segretario l’utile idiota. Tutte le strade tentate non smuovono la sua percentuale da prefisso telefonico. Si tenta con la segreteria Craxi che trasforma geneticamente il partito e scompagina la politica italiana. Opera per togliere di mezzo negli altri partiti chi possa impedire la sua ascesa politica e si allea con il peggio che il panorama partitico offre. La politica e il governo del paese passano dalla ricerca del consenso sul programma, sugli interessi all’affermazione del governo sul ricatto.
Il PRI, un partito inesistente ma che è stato retto da galantuomini come Ugo La Malfa, Spadolini, Visentini cancellati dal craxismo dirompente.
Il MSI, un residuato di fascismo nostalgico di nessuna funzione parlamentare, sociale e civile.
I senza partito, le intelligenze indipendenti, le personalità di chiara moralità guardavano al PCI che sembrava l’unico partito incline al rispetto delle regole. Paradosso, a far rispettare lo stato di diritto. A poter fare uscire l’Italia dalla palude democristiana e dalla pleiade di ricatti dei partitini minori che l’asfissiavano.
Sommariamente questo il quadro.
Su questa non entusiasmante scena che in qualche maniera, più nel male che nel bene, governava, arriva il ciclone Craxi.
Niente è più come prima. Il peggio del personale politico occupa il Paese. La spesa pubblica tocca cifre stratosferiche. Ci si mangia il futuro degli italiani. La corruzione, già prima al limite della indecenza, diventa l’unica merce di scambio della politica italiana. Ogni posto dove passa denaro, c’è da mungere, lì sta al comando un socialista. La sanità è il sogno, l’ambizione di ogni buon socialista. Gli aiuti al terzo mondo. L’energia. Tangenti. L’ignoranza sostituisce la cultura. La storia si trasforma: è quella che Craxi va giorno per giorno aggiornando. Sigonella, fumo negli occhi per gli imbecilli. Sale sul palcoscenico della politica economico-mediatica l’uomo che avvelenerà anche i pozzi di questo paese, Berlusconi.
Arroganza. Arroganza. Ed ancora arroganza.
Il malaffare governa l’Italia.
Viene preso con le mani nel sacco Mario Chiesa, il mariuolo ed il resto è storia di ieri o ancora oggi.
Perché questo excursus?
Per dire che il fattore destabilizzante dell’Italia è stato il Partito Socialista Italiano.
Sono stati i socialisti che ancora oggi ne stanno continuando la demolizione.
Parlo chiaramente dei socialisti infiltrati in Forza Italia prima e ora nel PDL.
Berlusconi lo sappiamo è sceso in politica per i suoi guai giudiziari e finanziari. Li ha sistemati e per sé, al di là della megalomania e della connaturata incapacità a non guadagnare dove intravede l’affare, darebbe pure un fastidio sopportabile. Sarebbe una malattia da cui guarire, ma accettabile.
Chi invece è animato da spirito vendicativo, distruttivo, ossessivo nei confronti di tutti e tutto sono i ministri socialisti del governo Berlusconi.
Sacconi in testa e poi la non bella compagnia a seguire.
Essi vogliono vendicarsi perché l’Italia e gli italiani non li hanno amati e non li hanno portati al potere per quello che erano. Hanno assecondato i giudici che hanno sciolto quel partito (?). Hanno costretto loro a cambiare pelle.
Sono pieni di livore fino a scoppiare. Sono delle figure demoniache. Sono clerico-fascisti. Inquieti.
Vorrebbero che la storia riabilitasse loro e il loro capo.
Sanno bene però che questo non potrà mai accadere.
Ghino di Tacco era ed è stato un bandito e nessuna riscrittura della storia potrà mai redimerlo.
Hanno trovato l’utile idiota Berlusconi e gli fanno fare esattamente quello che desiderano, così come Bossi.
Perché l’imbonitore Berlusconi molto probabilmente senza i consiglieri velenosi farebbe meno male a questo paese di quanto ne sta facendo.
I suoi ministri?
Fanno danni e pure gravi per incompetenza, più che per vendetta. Voglia di punire gli italiani.
Se si togliessero gli elementi avvelenati dalla rivalsa, gli sconfitti della storia per avidità di potere, forse la realtà italiana potrebbe riportarsi a quella indecenza sopportabile.

P.s.
Lo so che alcuni giornalisti “importanti” leggono i miei scritti. Qualcuno perché glieli mando io, qualche altro se li va a leggere. Mi rivolgo a Feltri il più intelligente, fazioso e coraggioso: scrivi la tua opinione sull’argomento trattato.
Chi vuol querelarmi lo faccia pure. Non intentate cause per richiesta danni perché battete il muso male.
Agli amici di facebook: risponderò agli insulti con gli insulti; ai commenti ragionati, pacati con altrettanta ragionevolezza e pacatezza.
Un favore, leggetelo qualche volta in più prima di commenti impropri o improvvisati.
Michele Cologna
San Severo, martedì 21 aprile 2009 ore 18.43.22

venerdì 17 aprile 2009

Favola delle cose perdute

Favola dedicata ai miei figli Stefania, Leonardo, Barbara e Pamela.
Ai nipotini Monica e Riccardo.
A John, Italo, Stefano, Brilanda.
All’amico di sempre Gino.
Al nuovo e gradito amico, Piero.
A Rosa, Roberto, Maria Pia, Stefania…
A Tutti, tutti gli amici di facebook.

C’era una volta un bambino innamorato assai del suo papà.
Era bello il padre!
Un colorito sempre roseo.
Profumava senza profumo.
Vestiva alla cacciatora dei velluti che erano teneri, morbidi come le sue mani.
Era alto, possente.
La sua voce sicura non contemplava mai repliche.
Il suo sguardo zittiva tutti.
Tutti nel salutarlo si alzavano, toccavano il berretto ed egli sempre giulivo rispondeva con simile cortesia.
Le signore le onorava portandosi il cappello al petto con un leggero inchino.
Quando Michelino, questo era il nome del bambino, gli stava vicino, pure lui in gran forma vestito, era felice.
Se il papà gli sfiorava appena il collo con la sua tenera e possente mano, egli diventava altissimo.
Toccava il cielo.
Non camminava più, volava.
Un pomeriggio del luglio 1953, dopo il riposo pomeridiano, il papà chiese a Michelino se voleva andare con lui in campagna a “Florio”.
Avrebbe gridato di gioia, ma non si poteva e molto misurato, “sì, papà”. Ma la voce non gli uscì e Michelino rispose annuendo solo sì con la testa come fanno gli asini.
Tirò fuori dal portone la Giardinetta fiammante, fece salire Michelino e si avviarono.
Durante la strada: “Questo fondo è distante dalla masseria è troppo scomodo… Gli animali non riposano bene nella stalla… Gli operai fanno il comodo loro… Il fattore non può controllarli…”.
Cose di questo genere che Michelino ascoltava con gli occhi sbarrati per la concentrazione, ma che lo stesso non capiva.
Arrivati scesero:
l’odore inebriante delle viti miscelato a quello dello zolfo e del verderame…
il profumo della terra appena girata dall’aratro che asciugava ai calanti e ancora tiepidi raggi del sole…
l’odore abbagliante della calce viva appena data ai muri del caseggiato…
il verde rilassante della vigna e il verde argenteo degli olivi fermi in filari che si toccavano al limite…
il sole, palla rossa, che si apprestava a ritirarsi dietro i monti del subappennino dauno…
l’odore acre del sudore dei cavalli che arrivavano ansimanti…
Era il paradiso.
Michelino, da grande Michele, sempre così immaginerà il paradiso perduto.
Lì per sempre lascerà la sua scordata felicità.
“Neh, ragazzi, dove state andando!?”
Uno, “Padrone Leonardo, alla stalla. Prima che fa buio governiamo le bestie e…”.
“Perché è calato il sole?”
“No, ma…”
“Andate a rimettere sotto le bestie!”
Non arrivarono agli aratri, era già calato il sole.
Lacrimavano gli occhi dell’uomo che aveva parlato.
“Possiamo potare gli animali alla stalla?”
Le parole immobili restarono nell’aria.
Nessuna risposta.
Affianco del papà Michelino non visto piangeva anche lui.
Aveva desiderato che quell’uomo picchiasse il papà.
Ora gli faceva male, gli doleva quel desiderio, quel pensiero come una scudisciata.
Una ferita che non si rimarginerà mai più.
Triste, Michelino, al ritorno non alzò lo sguardo verso il padre che amava ora più di prima.
La notte, vincendo la solita paura, impiegò molto tempo per addormentarsi.
Era fermo sull’uscio del casolare dove stavano i cafoni a farsi il pancotto alla fioca luce della lucerna ad olio.
Avrebbe desiderato, voluto entrare, ma non era quella la sua casa.
La sua casa era dove stava lì sul letto con gli occhi sbarrati senza prender sonno.
Non sarebbe mai entrato nella casa dei cafoni.
Sarebbe stato sempre lì a vigilare sull’uscio.
Ma neanche casa sua gli apparteneva più completamente.
Da quella sera Michelino, poi Michele non è stato mai più in nessun posto a casa sua.
Michele Cologna
venerdì 17 aprile 2009 ore 11.16.49

martedì 14 aprile 2009

Assenza Colpevole?

Un coro di proteste solleverà ancora questo scritto.
Per molti sarà la conferma che sono fuori, oppure che ho bisogno di un qualsivoglia aiuto.
Altri usciranno dalla scheda delle amicizie.
Pochi diranno di condividere.
Molti – la cosiddetta zona grigia? – non prenderà posizioni ed aspetterà.
Temo sempre le reazioni delle persone, confermerei la follia se non lo facessi, ma il desiderio di capire, la necessità di confrontarsi è più forte del timore.
Ieri, Lunedì dell’Angelo, con la famiglia e alcuni amici abbiamo trascorso la giornata insieme in campagna per onorare, da buoni italiani, la scampagnata.
Si discute.
Le opinioni sono differenti - ringraziando iddio! - e anche sull’accadimento dal quale è passato troppo poco tempo per distogliere lo sguardo: il terremoto.
Una voce, decisamente originale, afferma che coloro che sono morti, si portano loro e solo loro la colpa della loro morte.
Non credi d’aver capito bene, ma il ragionamento prosegue e una “primitiva” logica lo sostiene.
Se non avessero fidato nello Stato che non può essere la mamma di tutti, e avessero provveduto da soli, visto che c’era stata una scossa intorno alle ventidue molto forte, dormendo nelle macchine o, comunque, non rientrando nelle abitazioni, ora sarebbero vivi.
Mi sono infuriato nell’ascoltare quelle parole, ho ribadito che viviamo una civiltà che demanda allo Stato certe funzioni.
Che molti avevano denunciato il pericolo, ma che lo Stato li aveva assicurati nella certezza che tutta la situazione era sotto controllo.
Che se tu dici alle persone quello che vogliono sentirsi dire, nessun argomento critico sfiorerà quelle menti: se a un malato terminale gli prospetti una piccola speranza di vita, quella nella sua mente diventerà un appiglio della certezza che sopravviverà.
E… via discorrendo.
Per tutta la giornata di ieri e di oggi, però, quelle parole m’hanno martellato il cervello.
Il terremoto è stato un evento improvviso?
Certo no, visto che da tre mesi e più L’Aquila balla tutti i giorni e più volte al giorno!
Era da escludere una scossa di magnitudo più importante?
No!
Tutti, proprio tutti - nessuno escluso - se l’aspettavano!
Era stato approntato qualche rimedio per un’emergenza?
No!
Non potevano sapere dove sarebbe accaduto.
Ma dove poteva verificarsi l’evento importante se non in quel maledetto posto?
L’Abruzzo non è mica la California!?
L’Abruzzo è un morso di terra!
Una tendopoli, un qualcosa per ospitare dieci o venti chilometri più a sud, più a nord, est, ovest non sarebbe rimasto sempre lì a due passi!?
Se si fosse allestito qualcosa molte persone - quelle più apprensive, le più paurose, quelle che temevano di passare la notte nelle proprie case - avrebbero avuto un riparo dove trascorrerci la notte?
Penso proprio di sì!
E se fosse stato fatto, avremmo avuto gli stessi morti?
Credo proprio di no!
Perché allora non è stato approntato nulla?
Perché la Protezione Civile non si è attivata in nessuna cosa pur essendo riconosciuta quella italiana una delle migliori in assoluto?
Perché?
Diceva un politico della vecchia e allora detestabile politica di questo Paese: “A pensar male si fa peccato. Ma il più delle volte si indovina”.
Non è che non sia stato fatto nulla perché non si doveva disturbare il conducente?
Stavano le elezioni in Abruzzo.
Quelle in Sardegna.
La crisi.
Un governo sicuro, un governo che mostra grande autorità, consapevolezza di sé e dei suoi gesti, è compatibile con azioni che creano incertezze!?
Paure!?
Allarme!?
No!
È incompatibile.
Michele Cologna
martedì 14 aprile 2009

sabato 11 aprile 2009

Lettera aBerlusconi

Signor Berlusconi,
lei ieri, al funerale delle povere vittime del terremoto, si è distanziato dalla postazione delle Autorità, è andato tra gli uomini comuni per partecipare da Uomo al dolore.
Il Gesto importante l’ha spogliato della carica e l’ha portato a me come uomo.
Colgo l’occasione al volo: all’uomo Berlusconi da molto tempo avrei voluto parlare.
Ed è all’uomo che questa lettera è indirizzata.
Forse lei non la leggerà mai!
Potrebbe anche capitare di leggerla, ma io credo che lei la ignorerà!
Se non dovesse farlo la sfido a confrontarsi con me come uomo.
In qualsiasi posto vuole lei, privato o pubblico.
Non sono mai apparso in TV; non mi piace l’esibizione; sono incline alla solitudine, al pensiero; mi troverei a disagio in un dibattito pubblico.
Non fa niente, berrei fino in fondo questo amaro calice per smascherarla.
Lei ha le caratteristiche di un uomo ma non le qualità.
Ieri lei ha pianto.
Ha pianto lacrime false.
Non riesce a commuoversi neanche per le sue scene.
Sono un esperto in materia e posso dirglielo.
Il suo pianto sa qual era?
Il pianto di un bambino che vuole qualcosa, e poiché sa di non poterla chiedere esplicitamente alla mamma o al papà spinge i suoi cari a porgli la domanda, cosa è successo piccolo?
E come fa ad arrivare a questo risultato?
Usando la tecnica che ha usato lei.
Mette la mano sugli occhi. Si agita. Atteggia il volto a sofferente. Frigna.
Il cuore di mamma è grande: si avvicina, gli fa una carezza e… piccolo di mamma perché piangi?
Vorrei… e fa la sua richiesta.
Non si nega quasi mai niente a un cuore sofferente.
Lei chiedeva la credibilità che sa di non poter avere da quelle persone martoriate nel corpo e nell’anima.
Sì, da quelle persone che l’altro ieri lei voleva mandare in villeggiatura al mare.
Vuol sapere da chi sa, ha conosciuto il dolore perché dell’uomo aspira alla qualità, com’esso si presenta!?
Il dolore quando arriva ti pietrifica.
Il volto non ha espressione.
Le lacrime scendono e tu non te ne accorgi.
Gli occhi sono fissi.
Le palpebre non sbattono più.
Non ti muovi.
Non esisti.
Il dolore ha sostituito la persona.
Sei in trance.
Quando ritorni alla vita sei svuotato.
Il viso è scavato.
Sei statua di sale.
Sei stanco perché hai combattuto tutte le battaglie del mondo e sei uscito battuto.
Tutte le guerre perse pesano sulle tue spalle.
Sei sfinito.
Devi rifugiarti lontano da ogni rumore, da ogni voce, ogni segno di vita.
Non si sopporta lo stridore tra la morte dentro e la vita fuori.
Il seguito, signor Berlusconi, glielo esporrò a voce se avrà l’onestà d’incontrarmi.
Le augurerei Buona Pasqua se lei conoscesse il significato della Resurrezione.
Non lo faccio perché lei non è mai morto per risorgere.
Michele Cologna
sabato 11 aprile 2009 ore 10.07.00

venerdì 10 aprile 2009

Auguri

Ogni civiltà, ogni popolo festeggia la propria Pasqua.
La festa assume contorni differenti in base agli usi e costumi, ma non tradisce mai il suo Senso, la Liberazione.
La Resurrezione dell’uomo.
Le religioni che hanno il pregio o il difetto – dipende dai punti di vista – di interpretare i bisogni, le necessità, le credenze degli uomini hanno fatto loro questa esigenza dello Spirito (spirito/essenza) e l’hanno rappresentata, la divulgano nella maniera a loro più consona.
La liberazione, la resurrezione da che cosa?
Dalla morte naturalmente!
La morte individuale?, certamente no!
La morte condizione ineluttabile della vita.
Solo la morte genera nuova vita.
E poiché è difficile accettare la finitezza dell’uomo, arriva la pasqua rigeneratrice di vita.
La pasqua che nella resurrezione annulla la morte.
Un esempio lo stiamo vivendo sotto i nostri occhi e nel periodo in cui è avvenuto, sembra un segno del destino.
Tutti abbiamo letto, abbiamo ascoltato le voci delle persone terremotate d’Abruzzo.
Non c’è disperazione in loro, ce n’è molta più in noi che viviamo l’evento di riflesso.
Soffrono meno di noi?
No!, la catastrofe genererà la loro pasqua.
Solo la ricostruzione genererà la vita, e i morti sono accettabili perché la ricostruzione/resurrezione darà senso alla morte.
Quest’apertura per dire che nello scambio degli auguri di Buona Pasqua, noi essenzialmente ci auguriamo la nostra liberazione/resurrezione.
La rinascita a nuova vita.
Poiché non sono un religioso di Fede ma di Senso, ieri ho inteso fare gli auguri agli amici miei di facebook pubblicando lo scritto “Il volo di Utopia”.
Uno scritto di liberazione/resurrezione nella speranza per il tramite dell’utopia.
L’utopia è sempre individuale, ma può diventare collettiva se quel pensiero inizia un percorso condiviso. Collettivo.
Se sogno di scrivere più e meglio di Dante, di Leopardi, di Borges…
Se sogno di diventare ricchissimo, ricco più di Bill Gates, più di Berlusconi…
Spero nella realizzazione di un mio desiderio che arreca piacere, beneficio solo a me.
E poiché interessa solo me resta un’utopia individuale che non solo è difficilmente realizzabile, ma neanche proiettabile all’attenzione di altri.
Della collettività.
Se sogno che tutti gli italiani siano gentili, educati, virtuosi, laboriosi…, spero in un qualcosa che arreca beneficio a me, perché vivere tra persone sì fatte è piacevole e dà benessere, ma spero anche in un’idea trasmissibile.
Un’idea molto difficile da realizzare, quindi un’utopia.
Ma un’utopia dalla doppia possibilità che si realizzi e che possa diventare collettiva.
Sono innumerevoli i sogni che gli uomini hanno realizzato.
Stanno sotto gli occhi di tutti noi.
Abbiamo perso solo la capacità di riconoscerli, perché siamo un popolo che non conserva memoria storica.
Tante utopie individuali, diventate collettive sono entrate a far parte della vita reale di tutti noi.
È chiaro che i sogni non si sono trasformati in realtà da soli e per concessione di qualcuno.
L’utopia individuale è diventata di popolo e si è realizzata con la volontà, la lotta, la conquista.
Il sogno di Martin Luter King, sulle gambe degli uomini che per quell’ideale si sono battuti e sono morti è diventato oggi realtà e tutto il mondo ne assapora il frutto.
Lo scritto mio “Il volo di Utopia”, voleva augurare per Pasqua a tutti gli amici il ritorno al sogno della speranza che in Italia ci hanno sottratto, con un racconto che forse ho concepito male, oppure non è stato letto con la necessaria attenzione.
Un signore apprende dalla nonna che uno zio suo è morto circa 70/75 anni fa perché il medico si è rifiutato di visitarlo non avendo lei i pochi soldi necessari a pagare “la visita”.
Lo stesso signore ricorda che circa 35 anni fa la propria figlia si ammala ed egli pur avendo un lavoro precario, con molti sacrifici mette su la somma compra le medicine e la figlia guarisce.
Sempre lo stesso signore conferma che non più di 15 anni fa la mamma è colpita da una leucemia, il morbo di Hogking, e che è curata molto bene nella sua città. Stando, però, il male per stroncare la propria madre, egli si reca da un luminare italiano che opera negli Stati Uniti, per un consulto. Questi gli riferisce che la mamma è curata molto bene, che morirà perché quel male è arrivato al capolinea, e che la cura della mamma, la stessa che sta facendo in quel momento Jacqueline Kennedy, costa otto milioni di lire al giorno.
Nell’arco di nemmeno un secolo l’uomo da nessuna assistenza, con tappe intermedie è giunto all’assistenza totale. Per un malato terminale di ancora pochi giorni di vita si spende una cifra impossibile per quasi tutte le tasche.
Una parabola incredibile, impensabile per una persona fino a pochi anni fa.
Una utopia che diventa realtà, anzi dogma: l’uomo va assistito gratuitamente dalla nascita alla morte.
Anche questa utopia iniziata alla vita come speranza individuale.
È diventata poi collettiva.
Ha camminato e sta ancora camminando sulle gambe degli uomini tra alti e bassi, lotte e conquiste.

giovedì 9 aprile 2009

Il volo di Utopia

Questo scritto per coloro che immaginano l’Utopia un uccello volante senza posa.
Che continuino pure a vederla svolazzare nei cieli!
Tengano presente, però, che invocata dalle voci mai silenti, trasportata dalla sua curiosità e a volte dall’obbligo mai gratuito, in uno spazio e in un tempo non definibile con l’orologio delle ore o col calendario delle necessità, dev’anche planare.
E tutti quelli che l’hanno seguita, invocata, preparato l’atterraggio giubileranno.
Anche gli increduli e i realisti!
Sì, proprio quelli più realisti del re o, se più piace, papisti del papa!
Potremmo fare riferimenti storici, discorsi cattedratici, non li disdegno, ma non è questo il luogo e il momento.
La vita di ognuno di noi è storia delle cose, del particulare, dell’effettuale che concorre alla comprensione della Storia, del suo grande respiro non esautorandola e neanche escludendola.
Sembra ieri, invece alcuni anni son trascorsi.
Giovane lavoratore-studente e non studente-lavoratore, il nostro protagonista, signor G, sposatosi molto giovane con moglie, figli e casa da mantenere aveva poco da guardarsi in torno, assopirsi o discettare.
Solo lavorare studiare, studiare lavorare e se capitava qualche volta dormire.
Non si lamentava. Macinava rabbia costruttiva e non disdegnava l’impegno politico.
La sua bambina, la prima, per la quale avrebbe divorato il mondo se il mondo gliel’avesse sfiorata, si ammalò.
Non aveva Cassa Mutua il povero signor G, lavorava al nero: non si assicura uno che studia.
Se studia ha grilli per la testa!
Meglio al nero!
In qualsiasi momento un calcio lì, dove non batte mai il sole ed è sistemato.
L’amico medico gli suggerisce l’ospedale.
Passano i giorni, due settimane.
Non si comprende cosa sia nonostante il lume del primario, pediatra socialista di fama nazionale e internazionale, che aveva fatto conseguire al marito – sì, avete capito bene era una donna! - la laurea ad pecuniam negli Stati Uniti.
Viene suggerito un vero luminare: prende molto caro!
Il signor G vi si reca con la figliola, lascia 90 mila lire – il suo stipendio era, quando lavorava il mese intero 110/120 massimo – e torna con la buona notizia che era solo un’infezione tonsillare. Con l’angoscia, però, che le iniezioni per la bambina costavano 50 mila lire a fiala.
Doveva completare un ciclo di dieci, e se non fosse guarita doveva ripeterlo.
Chiede s’informa, niente!
Un politico gli prospetta la possibilità di ottenere il farmaco se fosse riuscito ad avere la Tessera della Povertà.
Il caro signor G, era orgoglioso assai.
“Io, la tessera della povertà? Non sarà mai!”
L’orgoglio del poverino era assai mal riposto: nella povertà ci stava con tutte le scarpe.
Ferito, cede.
Il Comune ha esaurito i fondi della povertà.
Non c’è possibilità alcuna, solo i soldi cureranno la sua amata figliola.
Riesce a comprare la prima fiala il signor G.
La sua bambina subito rinasce.
Come non ce la fa ad acquistare anche la seconda!
Ora è un fiore vigoroso la sua figliola.
Sarà proprio necessaria la terza?
No, gli risponde il luminare: è straordinario!
Ora piange il signor G.
Molti anni dopo il signor G si reca ad Aviano per una consulenza con il prof. Monfardini - un faro negli Stati Uniti d’America - prenotata per la povera mamma ammalatasi del morbo di Hogking.
La mamma non è trasportabile ed egli va con la cartella clinica.
Paga il ticket, poche migliaia di lire, parla con il professore e gli consegna la cartella.
Legge e annuisce.
Alza gli occhi, “Ma questi son ragazzi che studiano! Sa che sono avanti a noi nella sperimentazione della cura?”.
“Porterò questa cartella negli Stati Uniti!”
Alzandosi, “Lo sa lei quando costa al giorno la cura della sua mamma?”.
Il signor G con gli occhi lucidi non risponde: “Otto milioni al giorno, ragazzo mio!”.
“Sua madre non sopravviverà, ma questi ragazzi sono straordinari.”
Il signor G prende la via di casa sconvolto dal dolore, ma fiero perché per la sua mamma si sta facendo tutto il possibile.
Sta ricevendo le stesse cure della Jacqueline Kennedy.
Gli sovvenne la nonna materna Elisabetta che dopo tanti anni, più di cinquanta, si piangeva ancora il suo figliolo Riccardo “morto perché il medico non era andato a visitarlo”.
Non aveva quei pochi miserabili centesimi per pagarlo.
Utopia stanca di librarsi nell’aria era scesa a terra.

mercoledì 8 aprile 2009

Lettera aperta

Direttori delle sottoriportate testate giornalistiche vi invio questo scritto che non pubblicherete mai.
Non avete nerbo per farlo.
Lo so!
Se un attimo di ritrovata o benvenuta deontologia vi dovesse cogliere e pubblicaste questa miserabile mia, rendereste grande servizio a questo Paese e alla vostra dignità.
Repubblica.
L’Unità.
Corriere della Sera.
La Stampa.
Libero.
Il Giornale.
TGUNO.
TGDUE.
TGTRE.

Se fossi al governo di questo Paese, signor Berlusconi e signori tutti Deputati e Senatori della maggioranza, farei queste poche cose:
1) Non disdegnerei alcun aiuto che mi perviene dagli altri paesi, perché l’Italia è in una condizione di bisogno.
2) Mi recherei dal Capo dello Stato consegnerei le dimissioni e chiederei di restare in carica per conseguire tre obiettivi: uno, trovare una persona straniera di alta statura morale, politica e civile per affidargli la Reggenza dell’Italia; due, chiedere ad una Corte Internazionale di sottoporre a giudizio tutti i governanti e amministratori a ogni livello del presente e del passato di questo povero Paese; tre, a sentenza emessa, che non deve prevedere nessun altra pena se non la perdita della cittadinanza attiva e passiva, indire nuove elezioni.
3) In questo lasso di tempo nessuna apparizione nei mass media né internazionali, né nazionali, né locali. Per risparmiare a se stessi e ai cittadini il disagio della presenza.
Se fossi all’opposizione del governo di questo Paese, signori Franceschini, Di Pietro, Casini ecc., farei esattamente questo:
1) Mi dimetterei da ogni incarico istituzionale e di partito.
2) Resterei in Parlamento solo per appoggiare i tre punti del governo dimissionario.
3) Chiederei da subito, senza aspettare la sentenza dell’Alta Corte Internazionale, scusa agli italiani. Cesserei d’apparire e di parlare per amore di decenza agli italiani.
Cosa farò da subito io, cittadino seppur solo formale di questo martoriato Paese:
1) Mi dimetto da questo momento dalla cittadinanza attiva e passiva.
2) Mi dichiaro apolide. Senza patria. Senza terra. Novello barbaro.
3) Mi denuncio clandestino.
4) Aspetto le forze dell’ordine che vengano a prelevarmi. Sanno dove trovarmi.
5) Già da adesso mi dichiaro resistente: aderirò a qualsiasi forma di lotta mi verrà proposta.
Ultima cosa, pregherò i miei figli di andare via dall’Italia.
Stefania, Leonardo, Barbara, Pamela lasciate questo Paese, figli miei!
Nessun futuro esso vi darà.
Ha ingannato i miei genitori.
Ha distrutto me, vostro padre.
Annichilirà le vostre belle anime.
Andate via, figli miei!
Michele Cologna
San Severo, mercoledì 8 aprile 2009 ore 10.49.26