martedì 16 marzo 2021

Il complotto

Il complotto
 
 
Come fosse stato possibile?!
Una vita a cercare e la verità solo una congettura.
Sei figli e mai la resa.
Volevi sapere.
Interrogavi il tempo e le cose.
Gli attimi che precedettero e gli anni a seguire.
Con tuo fratello, Antonio, che avevi in grande considerazione e amore.
Ipotesi che tali furono e sono.
La madre e la giornata spuria.
La masseria popolata da tanti e quel giorno nessuno.
Il prete e tu eri credente e pura e come Lei eri Maria.
L’invidia camuffata d’amore e comprensione di chi ti era amica nel lavoro.
Qualche anno fa, parecchi, in verità, abbozzai una trama dei tuoi dubbi e certezze.
Dei peccati che mancavano di riscontro nella irraggiungibile verità.
Un romanzo.
Ma questa forma narrante tradisce nella sua struttura.
Di più l’epos che perde la materia.
E tu cercavi la verità.
Io il riscatto tuo.
Una storia non è tale se viene negata alla narrazione che forma e informa.
E tu non avevi gli strumenti.
Io che ti negai sempre l’ascolto, invece sì!
Potevo.
Dovevo.
Questa mattina e tu bussi ancora e le cose mi spingono a scriverne.
Il complotto.
Questo tormento fu il tuo senza venirne a capo.
Tua madre, mia nonna Elisabetta dagli occhi glaciali.
Un azzurro duro, cielo che a volte s’innacquava e prendeva la profondità del mare.
Quella mattina doveva recarsi al paese, Pietramontecorvino, e ti dette in consegna il figlio Diodato.
Perché non portartelo dietro, come sempre nei campi tu al lavoro e il bambino a sostare la bisaccia?
Gli davi ancora “la menna”.
Nelle pause autorizzate, l’abbeveravi ancora al seno, benché di qualche anno.
Nei campi sì, e portarlo con te in paese no?
Diodato, il bambino, era la ragione che tu non dovevi andare nei campi insieme alle altre al lavoro, ma restare a casa ad accudirlo.
La masseria sempre popolata da garzoni e massari, quella mattina deserta.
Il padrone dalla sua palazzina ti chiama e ti ordina cose.
Agnello alla violenza tu.
Eri piccola e delicata, gentile sognatrice.
Lottasti.
Ma Lui era forte e le tue richieste d’aiuto non trovarono ascolto.
Ti prese e tu fosti penetrata dallo “sporco” che mai più ti abbandonò resistendo a ogni lavaggio e figlio.
Le lacrime non furono da nessuno raccolte.
Eri stata fortunata perché scelta dal padrone.
Tutti sapevano e tu che non l’avevi riferito a nessuno, leggevi gli occhi.
Gli sguardi di complicità e il sorrisetto
Colore invidia.
Anche la mamma al ritorno, “ti sei assicurata il pane a vita”.
Non trovasti nessuno vicino a te nella disgrazia.
Anche il prete ed era il volere del Signore.
Il padrone voleva i figli e presto sarebbe rimasto vedovo.
La moglie da tempo malata.
Era solo qualche tempo di attesa e avrebbe legittimato la violenza e i figli del dolore.
La tua determinazione fu piegata.
Tu portata agnello in olocausto all’altare.
Sacrificio che mai cessò e fosti “padrona” al servizio.
Dolore straziante d’anni interminabili e figli sei.
Guardando te a custodia del figlio tuo, Giovanni e lo gli occhi tuoi.
A capo del suo letto e mi scrutavi.
Ho scritto.
Il “figlio del dolore” sente questo innato in sé.
Immanente al suo vivere perché sta nella gestazione essendone il prodotto.
La chiosa a questo e vorrei che Tu fossi serena insieme a Lui che amo, a Carolina.
Aliquid sunt Manes.
E tu, Mamma, tu, Papà, tu, Carolina siete la mia verità fugace che d’anni è già lunga.
 
Michele Cologna
San Severo, martedì 16 marzo 2021
08:11:02
 

 

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