giovedì 11 novembre 2021

Senectus ipsa est morbus?

Senectus ipsa est morbus?
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La vecchiaia è un insieme.
Certo al primo posto ci sono gli anni anagrafici, è innegabile.
Questi però segnano un decadimento fisico che non giustifica in sé la vecchiaia.
Più degli anni è il senso in sé e di sé che la rende insopportabilmente tale.
Il giovane nei momenti di crisi di sé, ha la prospettiva degli anni davanti e anche la morte gli appare leggera e auspicabile.
Il vecchio ha la speranza in chi lo seguirà e la crisi di sé, che è un continuum, la supera per traslazione nell’altro.
Nel figlio, in colui che è destinato a seguirlo.
I vecchi, nella civiltà contadina, non subivano la vecchiaia e la morte li coglieva in piedi.
Erano per mentalità immortali.
Avevano chi li avrebbe sostituiti accanto e li costruivano secondo le tradizioni e la propria volontà.
La prospettiva di vita era infinita e dopo la loro scomparsa nulla sarebbe cambiato.
La vita sconfiggeva la morte e il senso imperava.
Nel senso il sacro profano e a seguire quello escatologico.
Così era.
Oggi.
Già l’uomo è un fallimento perché ha la potenzialità non in sé, ma nella sua capacità lavorativa.
Si è allungata l’aspettativa di vita, ma s’è accorciata quella di uomo.
Il modello di società e civiltà non necessita della lentezza e del pensiero degli anni.
Ha in sé il demone dell’uso e getta, del consumo e l’uomo meccanico senza pensiero e problemi.
Un mare di vecchi giovani ad elemosinare lavoro e/o benefici che consentano di raggiungere la morte fisica, quella dell’essere in sé già si è consumata.
Il vecchio moriva in piedi prima, oggi vive da morto aspettando la morte.
I figli, il futuro.
Non c’è futuro perché non ci sono figli.
Anche quei pochi che la nostra civiltà genera non sono figli nel senso consolidato e sacro del termine.
Hanno culturalmente troncato l’appartenenza e scacciato il sacro.
Un’appartenenza socializzata e liquida, fluttuante e priva del senso profano ed escatologico.
L’individualizzazione esasperata che trova solo nel sé egoistico e nell’ego ipertrofico la realizzazione.
Un uomo antropologicamente mutato e senza entità.
In questo contesto la nuova vecchiaia.
Per coloro che hanno il pensiero nell’azione a ballare il liscio e mangiare la pizza.
Morti viventi che vagano il nulla.
Altri, coloro che hanno conservato il senso, una tragedia da concludere al più presto e la morte quotidiana nel dolore di perduto e cogente.
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©Michele Cologna
San Severo, mercoledì 11 novembre 2015
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