giovedì 10 dicembre 2009

10 dicembre 1970

10 dicembre 1970

Ore 5.00, trilla la sveglia, la mano giovane della donna corre a schiacciare il meccanismo infernale che lacera l’ancora addormentato silenzio.
Veloce si alza a preparare il caffé al pur giovane marito che inizia il suo turno di lavoro alle 6.00.
La caffettiera già preparata dalla sera qualche minuto e sbuffa spandendo il suo alito caldo.
La fresca gazzella dalla grossa pancia s’approssima al letto pigro del recalcitrante dormiente.
- Dai, alzati. Fai tardi.
- Come stai, amore?
- Bene.
- Fammi vedere.
Il silenzio non fermò la mano che alzò la camicia e abbassò pudica lo sguardo.
- È incantevole, tesoro. È matura. È incredibilmente aperta.
- Non sento alcun dolore.
- È vero! È ancora molto alta la pancia. Vuoi?
- Ti bacio!? Sì, voglio baciarti, amore. Sei stupenda.
- No, fai tardi.
Gli occhi socchiusi che già gustavano le labbra tradivano le parole.
- Sì, amore. Sei dolce. È bello.
Qualche minuto e il piacere possedeva quel corpo rendendolo ancora più splendido nella imminente seconda maternità.
- Hai perso tempo. Farai tardi.
- Corro.
Pochi minuti per le abluzioni e l’orgoglioso marito e padre felice era pronto per recarsi alla Falck.
Era lì a poche centinaia di metri dalla sua abitazione, separata solo dalla linea ferroviaria e la statale Monza/Sesto: l’acciaieria emetteva un lamento continuo intervallato, con tempi regolamentati, da urli spaventosi che nonostante il saperlo e l’abitudine, ogni volta ti stracciavano la vita.
Guardò dai vetri del balcone non c’era luce, né aria, solo grigia nebbia.
Sì, abitava al quinto piano, ma santo cielo che tempo!
- Ti raccomando, non farmi stare preoccupato. Se avverti qualcosa, corri da Lina. Non fa niente se poi risulta falso allarme.
- Aspetta, aspetta… mi sento bagnata.
- Dio mio, vediamo… Sì, si son rotte le acque.
- Corro a chiamare Lina.
- No, aspetta.
- Corro!
Non più di un quarto d’ora e stanno sulla non comoda seicento che nella nebbia impenetrabile arranca, cercando di raggiungere l’ospedale di Sesto San Giovanni.
- Armando, nasce per strada. Corri per piacere.
- Come stai, tesoro?
- Non preoccuparti, non ho dolori.
- Dio, sta per nascere.
Piangeva. Non sapeva se per paura, dolore indotto, gioia. Era a un passo dal paradiso e gli sembrava l’inferno.
- Dio, non arriveremo in tempo!
Finalmente l’ospedale, corre, parla…
- Non si preoccupi, ora è qui. Ci pensiamo noi.
- È il primo?
- No!
Solo gli occhi dell’amata, cerca e non trattiene – come ora – le lacrime bambine.
Con calma esasperante, ignorando la sua sofferenza, finalmente conducono il suo amore, con il prezioso carico, nella sala travaglio.
- Ora lei si metta qui in corridoio e attenda.
- Non può entrare stanno altre partorienti.
Il tempo si era fermato.
Doveva avvertire la Falck.
Avrebbe messo in crisi il reparto, mancando il gruista.
Solo un momento: era più importante sua moglie e il nascituro.
Questione ancora di qualche minuto e poi si sarebbe recato al lavoro.
Alle 8.20 gli comunicano che è nato un bel maschietto.
Ride e piange.
Vorrebbe gridare e si contiene.
È confuso.
- Venga a vedere sua moglie e il bambino.
Entra, è bella la sua donna.
È magnifica.
Nessuna è bella come lei.
Ride immacolata e gli mostra il bambino.
Dio mio quanto è brutto, pensa.
- È bello, Michele?
- Sì!
Non ha il coraggio di dire quello che pensa e chiederle perché è così rosso e ha la pelle aggrinzita come un vecchio.
Come se l’avesse sentito:
- Hanno detto che è molto lungo e magro.
- Si rimetterà subito, anche se pesa tre chili e duecento grammi.
- Ora vai a lavorare. Vai a mangiare da Lina, già lo sa.
- Ci vediamo nel pomeriggio.
Non vorrebbe lasciarli. Vorrebbe tenerle la mano per sempre.
Si commuove ancora a pensare quanto l’ami.
- Che bella famiglia: un maschietto, una femminuccia e la più bella delle donne.
- Sono l’uomo più felice del mondo.
Non contiene lacrime e riso mentre percorre la strada per recarsi al lavoro.
- Meno male che la nebbia mi nasconde agli occhi degli altri, penserebbero che son matto.
- Papà ti ho ridato la vita.
- Ora esiste un altro Cologna Leonardo.
- Sì, non voglio che egli sia lontano dai posti che tu hai camminato, papà.
- Deve posare i piedi dove li hai posati tu, papà.
- Tornerò a San Severo.

Avrei potuto farti gli auguri del tuo compleanno nella maniera tradizionale, Leonardo.
Ho preferito farti la cronaca delle ore intorno alla tua nascita.
Forse ti resterà molto di più.
Trentanove anni fa, le paure, le ansie, le speranze e l’amore di quei momenti impressi per sempre nella mia mente.
Grazie, figlio amato.

Michele (san severo 10/12/2009 13.17.44)

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