martedì 27 luglio 2010

La libertà…

La libertà…

Una frase lasciata lì ed è direttiva di vita.
Ho avuto la fortuna di una grande frequentazione.
Per pochissimo tempo, è vero.
Le intensità però non le misura il tempo, fortunatamente.
Giovane impegnato politicamente e alla ricerca di un ruolo, mi sono imbattuto per condivisione dello stesso amore: i libri, nel grande Nino Casiglio.
Scrittore e vincitore di parecchi premi, intellettuale, professore, uomo di cultura sterminata, pensiero gentile: socialista.
Ci piacemmo e mi gratificò della sua amicizia.
Si discuteva di molte cose e in particolare di Politica – attenzione alla maiuscola – e certo non di quella praticata.
Il mio cruccio, il rovello tra l’impegno organico alla politica, al partito il PCI e l’appartenenza ma disorganica.
Lo scrittore - il Verga pugliese - s’era per un breve periodo affacciato alla politica e aveva ricoperto anche la carica di sindaco della mia città San Severo.
Dopo appena tre mesi, e senza dare mai spiegazioni, si dimise e non praticò più la politica attiva.
Con tormento vero e forse per apparire più di tanto e quanto sapessi, lanciai al mio mentore la frase: “Professore, hanno fatto scappare lei, figuriamoci se non si fagocitano uno come me”.
Si rivolse a me e fissandomi con gli occhi spenti – era quasi cieco – disse: “No, figlio mio! Chi te l’ha dette queste scemenze. Nessuno m’ha fatto scappare o cacciato, me ne sono andato io. Solo mia è stata la decisione”.
Rimasi spiazzato e con l’ingenuità giovane gli chiesi il perché.
“Ma come, figlio mio, non ti è chiaro? Se fossi restato ancora un poco con Loro, avrei incominciato a pensare come loro.”
Una breve pausa, “Chi lavora col pensiero per mantenere la propria integrità deve appartenere, non può schierarsi. La militanza è la morte del pensiero libero”.
La passione politica era forte e cercai di conciliare le due cose.
Impossibile.
Quando per loro la misura fu colma, mi invitarono all’organicità del ruolo oppure a trarre le conclusioni.
Me ne andai mantenendo l’appartenenza, però.
È questo per loro fu tormento.
La lezione la praticai in ogni mia attività.
Non mi fruttò mai salario, l’estraneità e solo questa è stato sempre il compenso.
Nei giornali per i quali ho scritto come in ogni mio ruolo.
Non sono mai stato accettato se non per necessità.
Alla prima occasione fuori.
Chiedo scusa se ho parlato di un tratto della mia vita, solo per ricordare prima a me che la libertà di pensiero è la condizione prima dell’essere e poi, per fare bene qualsiasi attività.
La libertà si può e dev’essere mantenuta anche nell’appartenenza.
I giornalisti, fatte delle pochissime eccezioni, l’hanno mai praticata?
I politici?
I cittadini?
Non è il gregarismo, lo spirito gregario degli italiani il male di questo Paese?
E non parte da questo modo d’essere la questione morale che mai ha abbandonato gli italiani e l’Italia?
Leggere i giornali e seguire l’informazione tutta oggi, finisci per omologarti.
Non comprendi più la realtà.
Entri nel sistema militante della chiacchiera, del pettegolezzo, della guerra delle caste contrapposte, e delle faide all’interne d’esse.
La politica identico discorso.
Non c’è differenza tra i partiti sono tutti simili, avvitati su se stessi, fuori dalla realtà e dalla verità.
L’unica è quella dell’interesse proprio.
Il paese i cittadini sono strumentali alla funzione loro.
Non esistono se non nella dimensione del proprio tornaconto.
Dei giornalisti freelance, facendo il loro lavoro, hanno scovato e resi pubblici la documentazione segreta sulla guerra sporca afgana.
Certo non erano italiani, non sarebbe mai accaduto.
Assisteremo mai a qualcosa di simile nel giornalismo italiano?
E nella politica?
Nella popolazione?
Il sapore della dignità, del riscatto?
La pratica della libertà che è vita?


Michele (san severo 27/07/2010 20.14.37)

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