domenica 27 settembre 2009

Pochi dì ancora

Pochi dì ancora
E il primo
Sarà dell’eterno
Soffio
Anni che il “cenere
Tuo muto” senz’ansia
Vincerà infiniti

Perso il presente
Oscuro
Del tempo affanno
Vano
Niente dell’umano
Memoria negletta
Sfiorerà la vesta cessa

A ore
Sgradevole tumulto
(Passi superflui
Ricordi rabberciati
Dolori sentiti
Pianti simulati
Preghiere abusate)
Affollerà rovinoso
Inutile
Il silenzio agognato
Cercato
Dal lucido gesto
Trovato
Per sempre afferrato

Comprenderà l’indegna vita
Rigettata
Dallo sconfinato amore
Che nessun pulsante
Ardore
Mai più
Scalderà a te
L’abbandonato
Cuore

Certo
Creatura affrancata
Benigno con te non è stato
Il fato ripudiato
Tutto egli ha ordito
L’aspetto tuo graziato
D’alcun travaglio
Risparmiato
Pure l’anima ti ha traviato
La maternità
A ognuno affabile
Con te ingrata

Oggi
Pur io conscio
Del monito della Yourcenar
“La memoria della maggior parte degli uomini è un cimitero
abbandonato, dove giacciono senza onore i morti che essi
hanno cessato di amare. Ogni dolore prolungato è un insulto
al loro oblio.”
Partecipo dell’orgia
Non contrito di tanto agape
Addio
(Michele, lunedì 28 settembre 1998 ore 10,54)



Breve nota

Il 17 settembre del 1997, Marilena, moglie di mio fratello Giovanni, tentava il suicidio lanciandosi dal terrazzo di casa.
Non moriva immediatamente, ma dopo lunghi giorni d’agonia.
Giorni durante i quali nessuno ha potuto parlarle.
Tutti consideravano il suo corpo, nessuno la sua anima.
Fui preso per pazzo sconsiderato da tutti: familiari e medici.
Medici che la ricongiunsero pezzo a pezzo, s’erano messi la coscienza a posto: l’avevano ricomposto il corpo, anima lei non ne aveva.
Moriva, dopo quali sofferenze, nessuno lo sa, il 10 ottobre.
I genitori mi chiesero un epitaffio da scrivere sulla sua lapide.

Quanto greve, tragica
è stata la tua esistenza
in vita, tanto lieve, quieta
sia la tua esistenza
in morte, Marilena,
dolce creatura dalla vita
breve, spezzata.
(Michele, venerdì 10 ottobre ’97 ore 9,00)

Non fu scritta sulla sua, forse per vergogna.
Tutti passando davanti a quel loculo avrebbero compreso il gesto insano.
Forse questa la motivazione.
A circa un anno dalla morte, fervevano i preparativi dell’anniversario.
Tutti, anche gli inconsapevoli colpevoli, partecipavano dell’orgia commemorativa.
Il dolore per quella donna sfortunata, mi spinse a scrivere ciò che avete letto.
Tutti i giorni lei visita la mia Mente.
Io la sua Memoria.
Il silenzio è oro…

Michele (san severo 28/09/2009 8.15.56)

Iniziato dal vento…

Iniziato dal vento…

Ogni genitore credo abbia chiesto al proprio figlio ancora bambino di fargli un servizio, con la raccomandazione di far presto, non fermarsi a giocare per strada e di non “incantarsi”.
Vai a comprare il giornale, le sigarette, all’alimentari… vieni presto.
Ti raccomando…
A me quando i miei genitori ordinavano qualcosa, la raccomandazione era: vai piano, non correre, se torni con i ginocchi sbucciati ti do il resto.
Non sudarti, ti ammali…
Ero vento.
Ovunque mi chiedevano d’andare era una corsa di qualche minuto.
“Michelino, mamma, ancora non vai a…”
“ No, mamma, sono tornato. Ecco…”
Mio padre, l’ho compreso solo dopo: molto dopo, alcune volte s’inventava una commissione per misurare il mio tempo e ne rideva.
Avevo il mio cavallo sempre sotto; bastava che gli dessi una pacca sulla gamba; scuoteva la testa, un leggero nitrito e partiva come il vento.
Uno stallone bianco: testa alzata, criniera al vento, coda appena appena sollevata, narici aperte…
La libertà.
Sergio, sauro con una stella in fronte bianca, il solo garretto sinistro pure di bianco macchiato, un gigante.
Il cabriolet (sciarabbà) due posti con mio padre e me volava.
Ci incrocia un carretto, Sergio nitrisce, vuole girarsi, mio padre cerca di tenerlo a freno, scarta violento, ci fa ruotare come trottola, ci scaraventa nel canale di Santa Maria.
Si sfila i finimenti e corre: libero, veloce… nel vento.
Quando arrancando arriviamo alla masseria, Sergio è lì maestoso e fiero.
Non teme mio padre: Sergio è libertà.
Forse gli è costato la vita quel suo atto di superba libertà.
Non l’ho più visto e a mio padre non si chiedeva.
Ma io l’ho ammirato: gli sono stato sempre vicino.
Nella corsa furiosa, dirompente, gioiosa sentivo la libertà.
L’ho compreso molto tempo dopo, era una maniera d’assolvere l’ordine gratificando la mia libertà.
In una di queste mie corse commissione, non avevo dieci anni, percorrevo via Zingari, oggi via Duca Amedeo D’Aosta, ero all’acme della velocità, mi sentivo vento:
correvo, correvo… correvo.
Più correvo e più mi piaceva…
Sentivo fremiti nel corpo…
All’improvviso, arrivato a Largo Sanità, una piazza molto estesa che ospitava le fosse dove si stipava il grano, una sensazione sconosciuta all’inguine m’ha fatto piegare su me stesso, facendomi portare lì le mani per arginare la tempesta di piacere che mi sommergeva.
Mi fermai un poco, non capivo…
Quel piacere andò spegnendosi.
Era stato bellissimo.
Ripresi a correre con tutta la foga per riprovarlo, ma non mi capitò mai più.
Spesso ci pensavo e ci provavo a correre, senza l’esito desiderato, però.
Quando più grandicello iniziai le pratiche che fanno diventare ciechi gli adolescenti, me ne ricordai del sapore.
Avevo provato nel vento il mio primo piacere.
Sono stato iniziato dal vento.
Sarà questa la motivazione che spinge i cavalli liberi a correre?
Chissà!
Che non sia la libertà che solo il vento con sé porta a dare il sapore del piacere?
È il massimo del piacere non è l’orgasmo?
Possiamo allora dire che libertà è orgasmo?
E nel vento libero ho ripreso a camminare.

Michele (san severo 27/09/2009 10.34.29)

sabato 19 settembre 2009

Questa la mia mano, oh dolce melagrano

Questa la mia mano, oh dolce melagrano!
La tua grazia coglierò, e con spago di ori,
amor lieve t’avvolgerò, e per il peduncolo
alla trave del mio cuor sospesa ti eleverò.

Al riparo di tutte le intemperie te saporita,
oh amata sposa, augurale frutta: passione
d’amori gelosi e… custode d’accesi rubini,
bocche rosse di profondi piaceri… porterò!

Ne la soffitta, mansarda abusata e d’Amor
alcova, lì, su in cima, tutti i giorni, l’ore e
minuti m’affretterò, e salirò i gradini de il
mio altare… e di passion teco mi giacerò.

Le tue pene spolvererò e da la tua mie ansie
disseterò, e di baci assaggerò gli acini: versi
eterei di zampillante amor, e d’occhi sinceri
sguardi amerò e vesti profumate indosserò.

Michele (19/09/2009 23.46.17)

venerdì 18 settembre 2009

Rosso fuoco, i riccioli aprivano

Rosso fuoco, i riccioli aprivano
a efelidi accese luci, e brucianti
soli su schiusi labbri appoggiati
a ninfe scarlatte, turgida attesa.

Vision paradisiaca d’incredul cor,
desii, occhi immaturi, tempestano.
Immobili palpiti d’impetuosi echi,
su ‘l gargarozzo il fiato arrestano.

Tal mi cala or ricordo, avanti a la
immago, lentiggin tue splendenti,
e testa ricci fuoco, e saette cerulo
sguardo, e imberbe gioia assapor.

D’anni bianco e tanti, la dimanda
sovviemmi ancor, com’or le sarà?
Niuna l’arriverà sì bella, solo età!
Vero, magia scipperebbe a l’idea.

Michele (18/09/2009 19.13.23)

lunedì 14 settembre 2009

Ti dichiarasti: “T’amo!”, Sorriso

Ti dichiarasti: “T’amo!”, Sorriso
s’affacciò e al mondo alitò rose.
Idillio di talami, distese, monti e
valli e mari s’offrirono a Amore.

Tu, Fiore virgineo, d’usato cor,
a Dio la salma usa consegnasti.
E a le figlie di padre speranzose,
ignota pena, novella speme desti.

Dolor di lacrime, furtiva salvezza,
offristi. Occhio nuovo presentasti.
Di luce nova ti spalmasti e carne,
ora, a ara usi, offri cercati martiri.

Aedo aggraziato respir ogni creato,
amor straziati più no credi e senti,
e danzi gioie di primavere stanche,
sognando autunni di inverni verdi.

Michele (14/09/2009 9.09.51)

sabato 12 settembre 2009

Sciocca presunzione d’amore

Sciocca presunzione d’amore

Arriva e ti lacera come carta al gelo lasciata.
Lo strappo lo senti che ti tronca violento scardinandoti i nessi.
Sai che nulla è niente può cancellare la legge non scritta della vita.
Ti sei tanto volte piegato, te ne sei fatto custode ragionevole.
Quando sembra che tutto tu abbia provato, e a ogni male vaccinato, anticorpi prodotto…
Sopraggiunge e come sferzata a tradimento stoccata, ti toglie il respiro e sai che le sopravvivrai.
Ti duole e ti torce budella e respiro: oh Dio!
Oh Dio, invochi.
Non l’avevi bandito dalle tue invocazioni?
Sì!
Perché ritorni a illudermi, beffardo?
Non ti ho tante volte invocato e nulla mi hai dato?
T’ho pregato e tanto!
Davanti all’effige tua muta lacrime e lacrime ho versato.
Di padre, di madre, di ogni dolore… e tutto hai ingoiato.
Lacrime e gioie, speranze e disperazione.
Preghiere e sospiri.
Di me t’ho nutrito e mai segno m’hai dato.
Impassibile del mio fiele ti sei abbeverato.
Senza risentimento per lungo tempo ti ho ignorato e pianti disperati solo a me ho elevato.
Eppure stanotte e oggi e tutt’ora t’invoco alla speranza di niente aggrappato.
Hai detto che colui che ha fede in te può smuovere montagne.
Ebbene, io non ho fede, o Signore!
Non potrò mai smuovere neanche me stesso se non con la volontà di ferro che nel tempo ho usurato.
Ma tu che hai fede anche per me, ascolta il suo dolore, Signore.
Dalle tutto ciò di cui lei abbisogna.
Se la vita non può più essere sua, dalle la bellezza.
Tutto quello di cui lei abbisogna per condurre serena i suoi giorni.
Io che son corpo le do il mio che già d’ora lei può disporre.
Offerta vana, lo so.
Inutile preghiera…
Sciocca presunzione d’amore.

Michele (12/09/2009 21.55.11)

giovedì 10 settembre 2009

Or che Musa dal sonno levata

Or che Musa dal sonno levata,
ha tuonato e voce ha innalzato,
il cor d’Amore è sublimato e
danze di sensi e trombe e fiati.

Labbra melagrano ha gustato, e
riso, magie, suoni e canti; giochi
baciati di veli speziati, e pascoli
discinti passi, attardati, estasiati.

Passione riprende parole spente,
e soffici nuvole, d’alcova pareti,
a Eolo tendono gli orli, ricami di
danze celesti d’amore immortale.

Michele (09/09/2009 23.24.34)

mercoledì 9 settembre 2009

A l’Amazzone caduta da cavallo…

A l’Amazzone caduta da cavallo…

Eros de l’arco braccio tese, e Cupido
carne toccò dov’or ferita più no regge.
Lacrime, amor furtivo, l’irroran liete,
e spasmi di sopiti piacer la ridondano.

Cor, vissuto d’anni e traversie, asperge
rigoglioso a nuova vita, pascoli stanchi.
Usate erbe e membra al tempo giacenti,
rinsecchiti rami, bocci d’or germogliano.

Meminisse, sofferse e cagion tante, e
mura frappose, e di Mente e di Ratio
operò frattura. Alta in cerebro trasmigrò
anima. Causa in sé operosa cure ascose.

Negletto il tronco di scisse virtù inorgoglì,
e di fieri orpelli e fatui mutui il petto ornò.
Destrier s’impettì e soma appesantì e vane
eruzioni: immensi spazi la disfatta ricoprì.

Tempo i fianchi lavorò, amazòs disarcionò,
e, appiedata e a l’occhi vulnerabile, Amore
dardo scocco al cor mortale, e sangue cola.
Gioie, ansie, dolor rappreso, spacco gronda.

Michele (09/09/2009 10.23.37)

https://www.facebook.com/notes/michele-cologna/a-lamazzone-caduta-da-cavallo/131215052479/

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venerdì 4 settembre 2009

Del seno spuma di coppa nutro lo sguardo

Del seno spuma di coppa nutro lo sguardo
La parola langue al derma stende l’ansia e
Sospir muggiti aviti di gemiti vibran l’aera
Desir novelli di armeggiar sopiti or ritorno

Lembo d’infinito altar nunzio sacrificale
Penisola d’empireo ascesa celestial perduto
Vetta orgogliosa di papille al soffio gentil
E lambiti tocchi elevan piacer ruggin passa

Or com sasso d’acqua stagna i cerchi aculei
Fremiti percorron l’intero e passion riscalda
De lo splendor turgido riempie anima cor e
Corpo ansioso d’amor penetra pago il desio

Michele (04/09/2009 11.26.26)

martedì 1 settembre 2009

Amore

L’uomo nella sua temporaneità è finito.
Anche nell’essere, nella sua corporeità è breve.
Limitato dallo spazio e dal tempo in cui è.
La tecnologia ha accelerato il mondo e quindi l’uomo, ma nonostante questo, egli resta compreso nella brevità della sua presenza.
Ogni sua manifestazione risente della brevità e della finitezza.
Tutte!
La sua nascita e la sua morte.
Le prossimità parentali, le amicizie, le conoscenze, la professione, i mestieri… et cetera.
In una sola cosa è illimitato e infinito, nella capacità d’amare.
Cioè, non è limitato dalla sua corporeità né dalla sua finitezza quando è Amore.
Egli può plasmare se stesso su tutto solo amando.
Si potrebbe obiettare anche odiando, ma l’odio è un sentimento produttivo e per essere efficace deve colpire.
Dovendo ciò fare rientra nella spazialità, nella temporaneità e nella fisicità.
L’amore no!
L’amore è sempre produttivo senza limiti di spazio, tempo e fisicità.
Arriva ovunque e non deve necessariamente consumarsi.
Produce effetto anche restando in potenza.
Non ha la necessità dell’atto.
Questo lo differenzia da qualsiasi altro sentimento umano.
Allora l’uomo ha realizzato il divino, solo nell’Amore.
Amore è il dio dell’uomo.
Dio è amore.
Nell’amare l’uomo si fa dio.
E Dio non ha bisogno di incarnarsi di possedere per essere.
Ama ed è di tutti.
Senza limiti.
Nessuno!
Certo questo ragionamento incontrerà infinite tesi contrarie e anche di molto valide.
Ma nessuna potrà inficiarne la validità.
Di amore potrà appropriarsene ogni ideologia, religione, fede, dogma e tutte avranno le loro valide ragioni.
Amore, però, è e resterà l’uomo che si è elevato al di là della sua corporeità, al di sopra della sua finitezza.
Chiunque dà amore, trasmette amore è toccato dal divino.
Ma il suo divino è la manifestazione più terrena dell’uomo.
La più carnale.
Necessaria.
E chiunque oppone una morale a questo, mette l’uomo sotto protezione.
Lo limita nella sua libertà.
Imprigiona l’uomo e lo tira giù dal suo volare alto.
Amore è libertà.
E poiché la libertà è la tensione sempre presente nell’uomo, la libertà come unica morale.
Etica.
Etica è amore.
Il massimo dell’eticità: nell’amore.
Amore unica etica dell’uomo.
Amore.

Michele (01/09/2009 10.34.43)