domenica 21 giugno 2009

Per i dicotto mesi di Riccardo, gli auguri del nonno

Buongiorno, bambino!
Chi sei tu, tu che mi guardi, andando, con le mani in tasca?
Mi guardi sorpreso?
Non senti la voce… non la riconosci?
E se ti chiedo di cantarmi la canzone del cane?
Dimmi, Riccardo, come fa Snoopy?
Bau! Bau bau! Bau!
Ridi, monello, hai capito che son nonno!
Hai ragione è da tanto che non ci vediamo!
Tua madre, dirà, ma è da Pasqua, papà!
Sì, è vero!
Mezzagiornata.
Diglielo tu!, ché la mamma non sa che per i vecchi e i bambini il tempo ha diversa durata.
I bambini, avendo la vita davanti, tanto tempo da trascorrere, lo percepiscono dilatato.
I minuti non scorrono. Le giornate sono lente. Noiose. Infinite.
Un giorno è infinito, e hanno tempo per dimenticare ciò che non vedono da poco.
I vecchi, invece, di tempo davanti ne hanno poco.
Le giornate iniziano e finiscono.
Le ore son minuti, i mesi giorni, gli anni s’accavallano implacabili.
Il tempo s’accorcia e il dolore s’intensifica.
Un giorno senza del nipotino, sa che non lo recupererà mai più.
Un nonno non pronunciato, sarà una sottrazione senza recupero e ancor più dolorosa.
E la vita ti duole come l’assenza del figlio, del nipote… di chi t’ha lasciato.
Diglielo tu, Riccardo!
Diglielo a mamma che ora è andata via dei diociott’anni carica, e ora io la guardo donna, come quando la mamma l’ha vista partire.
Cosa vuoi che sia l’università, presto passa e sarà di nuovo a casa…
Stefania, Leonardo, Barbara, Pamela.
Ad uno ad uno in quattro anni son andati via, e nessuno è tornato.
Il nonno è solo, solo da quell’estate funesta che ha segnato il suo cuore il triplo dolore: la leucemia della nonna Maria; la strage di Falcone e Borsellino; la partenza dell’ultima figlia Pamela.
E i giorni son andati sempre più scemando di speranza e crescendo di desiderio struggente di veder crescere i nipoti, invecchiare i figli e mostrare le piaghe che la vecchiaia gli adduce.
Tanti anni fa, piccolo di nonno, tuo zio Leonardo, studente liceale, fu sorpreso dalla professoressa d’italiano a copiare durante il compito in classe.
La prof scandalizzata: “come un ragazzo così ben educato, così studioso, con un padre così fa di queste cose. Fammi venire tuo padre”.
Il nonno non disse alcunché allo zio. Nessun rimprovero.
Credeva sufficiente già la pena che giustamente si portava.
Era nello studio a tarda notte ancora a lavorare e sentiva che il figlio non riusciva a riposare.
Intorno alle due, lo zio Leonardo entrò nello studio, gli occhi tumefatti di pianto: “Sai, papà, cos’è! Che tu ci hai educato male! Tu ci hai educati ad essere onesti! Sinceri! E noi siamo sempre i più stupidi in confronto agli altri”.
Il nonno ricacciò in gola il groppo che voleva salire e, tentato a dargli ragione, disse: “Vedi, Leonardo, il mestiere di genitore non si impara da nessuna parte. S’impara in fieri, papà! Può darsi che tu abbia ragione! Ritengo però che sia troppo presto per te giudicarmi ora. Sarà il tempo a darci la risposta”.
Tanti anni dopo - il nonno aspettava sempre - Leonardo in una scesa a San Severo, sempre durante la notte, irruppe nello studio e disse: “Papà, debbo dirti una cosa, siamo sempre i migliori! Grazie!”.
Il nonno sapeva che lo zio non poteva che dare quella risposta.
Ora è il nonno che fa la domanda ai propri figli: figli miei, ditemi, in che cosa ho sbagliato per esser così punito?
Anni e anni!
Anni che m’hanno ammalato la vita.
Non ci si rassegna a non vedere i figli invecchiare.
Non si trova pace nel silenzio dell’assenza.
È insopportabile non mostrare a chi si ama le ferite che gli anni c’inferiscono.
Sì, è vero!
Il lavoro. Le opportunità che questa disgraziata terra non dà!
Verità tutte che non saziano il dolore.
Egli è lì, nessuna motivazione lo scalfisce.
È sordo!
Il dolore occupa tutto lo spazio e non c’è n’è per altro sentire.
Te lo dice il nonno in che cosa ha sbagliato!
Ha insegnato ai propri figli a donarsi. Senza risparmio. La vita è generosità. Altrimenti null’è!
A lungo andare però, la sottrazione continua consuma, logora. Ti esaurisce e tu togli, sottrai, e ancora… ancora.
Subisci la desertificazione, chiedi acqua, linfa e nessuna mano tesa ti raggiunge. Le mani che potrebbero non ci sono.
Ti trascini. A volte vedi la fine a portata di mano e ti riprendi e poi…
Vivi lì ai bordi e gli sconfinamenti dall’uno all’altra parte e viceversa sono speranza e dolore. Luce e buio…
Ti mancano i colori. I sapori: il dolce è amaro. E l’amaro è amaro.
I figli di tuo nonno, hanno preso dalla stupidità del padre e si donano senza risparmio.
Non s’avvedono che colui che ottiene e ottiene… chiederà sempre di più. Perché ha compreso che l’ottenere è il suo ruolo e donare è dell’altro.
Ora che il nonno ha imparato la lezione, rifarebbe esattamente gli stessi errori.
Forse c’è un destino o un suggeritore subdolo, nonno, che si prende gioco di noi.
Ora basta!
Il nonno ti ha scritto per farti gli auguri del compimento del tuo diciottesimo mese, Riccardo.
Sono tanti diciotto mesi!
Vedi sei un ometto, con le mani in tasca e l’aspetto da bohemien, gigolo, sei divino, tesoro.
Una coppola!
Grida forte: mamma, voglio una coppola!
Ora il nonno ti saluta.
La mamma ti leggerà la lettera di nonno e vedrai che le parole non scapperanno via. Si fermeranno nella tua stanzetta e tu le ascolterai ogni volta che vorrai.
E nonno sarà sempre lì con te.
Come pure nonno, che è mago, starà in ogni nonnetto che incontrerai e ti sorriderà.
Tu ogni volta che un nonnino ti sorriderà gli dirai, ciao nonno!
Le tue parole metteranno le ali e verranno a trovarmi e io ti sorriderò, grato.
Auguri, piccolo di nonno!
Dai la mano a nonno: buongiorno!
… il nonno è parola
e le parole son eterne
non muoiono mai…
Ciao!

(san severo, domenica 21 giugno 2009 ore 11.37.25)

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