sabato 13 giugno 2009

No, Maestro caro!

No, Maestro caro!
Quando un discepolo segue, studia, approfondisce con diligenza e profitto, prima o poi eguaglierà se non proprio supererà il Maestro.
Non voglio dire che t’abbia superato…
Me ne guarderei bene!
Anche se ci spero e m’alleno e non disperdo attenzioni.
Ma stamattina ti ho interrogato e tu non hai avuto risposta.
Ho cercato nelle tue parole per aiutarti, senza risultati.
Forse domani, più tardi organizzerai il pensiero e ancora una volta ti prenderai il posto che meriti, ora lascia a me, seppur per un momento, il piacere del tuo silenzio.
Da anni, ne sono ormai ventidue, dall’agosto del 1987, quando c’incontrammo per caso in una libreria di mare, tra odore di salsedine e carni in amore; profumi di vita, odori di sole e noi spaesati da tanta pulsione, ombre tra tanta luce, incominciammo a dialogare e subito ci riconoscemmo.
Io t’accusai d’avermi copiato e tu m’insultasti: meschino, io son Pessoa e i suoi eteronomi, chi sei tu per avanzare simile pretese?
Nessuno ero e sono, Maestro!
Eppur pensai che forse quelle teorie orientaleggianti adombrate da anime perse: un qualcosa di vero nel mistero dovevano conservarle.
La metempsicosi!?
Ridesti e risi pur io.
L’inquietudine, però, a lungo permase.
A distanza di tanti anni non so più se il mio pensiero sia il mio o il tuo e mi tormento: non mi credo più neanche bugiardo.
Stamattina non mi sentivo.
La mia anima era assente e il mio corpo giaceva nel letto stanco di cose da iniziare.
Se fosse dipeso da me, starei ancora in quell’interruzione-dormiveglia – preferirei dormizione! - che ti priva della vita e della morte e ti consegna alla sospensione del tempo.
La voce…
È tardi. Devi girare. Devi accompagnare…
Andavo e non mi percepivo. Ero assente.
L’anima non parlava. Il cuore non pulsava.
Chi sta svolgendo le mie mansioni?
Non son io!
Chi sono?
M’interrogo e non rispondo…
Dio!
Comincio a interrogare, pungere, stimolare il dolore…
Percorro più stadi…
Attraverso strati e strati…
Tormento l’anima e mi tormento il sentire…
Ecco, pian piano sale, appare, lo sento…
Sì, sto tornando!
Son io.
Caro Fernando, cosa deduci?
Mantieni ferma la tua riflessione?
(“Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
Che arriva a fingere che è dolore
Il dolore che davvero sente.”)
Oppure non devi modificarla e affermare che il poeta prima d’essere fingitore è un “tormentatore”?
Sì, Pessoa!
Il poeta è un “boia”, di se stesso ma sempre boia è!
Egli deve tormentare, affliggere, angustiare… crocifiggere.
Dopo e solo dopo mette in atto la finzione della quale tu da maestro affermi contemplando.
Se mi permetti, la tua definizione di poeta l’arricchirei (?), modificherei così:
“Il poeta è un boia.
Un gran tormentatore.
Lacera nella finzione l’anima e le carni.
Finge così completamente
Che arriva a fingere che è dolore
Il dolore che davvero sente”.
T’ho interrogato e non mi hai risposto.
Oggi. Solo per oggi, trionfo sul tuo silenzio.

Michele Cologna (san severo, sabato 13 giugno 2009 ore 11.09.28)

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