domenica 7 giugno 2009

Il fato non mi ha dato occhi sani che penetrano per se stessi l’osservato

Il fato non mi ha dato occhi sani che penetrano per se stessi l’osservato.
L’ametropia dei miei occhi fa sì che il secondo fuoco non cada sulla retina e per miopia debba correggere la mia acuità visiva con lenti.
Ancor non satollo c’ha aggiunto la cornea dalla curvatura imperfetta, e così l’io astigmatico e l’io miope per osservare hanno bisogno della correzione della scienza applicata.
La tecnica.
Bambino mi rimproveravano per il “vizio di stringere gli occhi” che avevo nell’osservare.
Nei primi anni di scuola, essendo alto di statura, non volevano darmi il posto davanti che reclamavo e io, non leggendo alla lavagna, mi perdevo nelle fantasticherie.
Negli anni a seguire, praticando la vita e gli studi, mi resi ben conto di non avere sufficiente visus per l’osservazione puntuale, scientifica, strutturale e per scelta obbligata nell’osservazione brumosa, sfumata, magica m’inoltrai.
Stanco d’immagini sfocate e di sforzi vani per distinguere ciò che l’occhio viziato inviava alla mente sempre più avida, mi recai dall’oculista con la segreta speranza che anch’io potessi godere della chiarezza.
Niente di anormale aveva il giovanotto, una leggera miopia e un più accentuato astigmatismo. Le due cose combinate però procuravano un disturbo evidente del campo visivo.
Aspettai con ansia dall’ottico gli occhiali, e quando l’inforcai il mondo cambiò.
I colori...
Mamma mia, che belli!
Era la prima volta che li vedevo così brillanti, chiari, nitidi…
Mi davano felicità.
Gli occhi di coloro che osservavo prendevano forma chiara e ne analizzavo i guizzi. Lampi.
Ubriaco di felicità andai in giro per la città senza meta.
Vedevo i particolari. Per la prima volta i particolari.
Tutto aveva un senso diverso.
La mia città era cambiata. Tutto era più bello.
Gioioso presi la bicicletta e me ne andai in campagna.
Vedevo le cime degli alberi. Gli uccelli.
I colori smaglianti che io non differenziavo e mi stupivo degli altri come facessero a distinguerli.
Ero felice e parafrasando il Leopardi, mi chiesi: cos’è la felicità?
La felicità è vedere i colori.
Dove risiede la felicità?
Nei colori!
Iniziai a cambiare il mio approccio con l’osservato.
Ora vedevo nitido, e se vedevo chiaro, anche tutto quello che credevo di vedere doveva per forza mutare aspetto.
Non si sfuggiva, non si poteva. Era una necessaria, evidente constatazione.
Il modus operandi, però, condizionava il mudus pensandi.
Un bel rompicapo.
Dovetti iniziare a modificare l’approccio al problema. Anche se questi restavano gli stessi, l’angolo di accesso non era più il contorno sfumato che ora chiaramente si mostrava compatto nella forma data.
Ho dovuto destrutturarmi per ricompormi alla luce della chiarezza che le lenti mi offrivano. Mi davano.
E così pian piano, giorno dopo giorno, argomento dopo argomento, tutto ho iniziato a vagliare alla luce della chiarezza e non più all’impronta dell’occhio offuscato.
È cambiato qualcosa nel disvelamento degli argomenti?
Pochissimo, senz’altro troppo poco!
Insignificante ai fini del Mistero.
Ma il mio approccio con l’osservato ora non è più sfocato dal vizio dell’occhio.
È coadiuvato dalla tecnica che mi ha regalato le lenti e con esse la chiarezza.
La mia Mano continua a tendersi nelle tenebre per afferrare…
Sempre estrae niente, gli occhiali però mi permettono di vedere chiaramente che il vuoto della mia mano è niente.
Il Mistero è lì tutto intatto, come e durante la mia miopia di gioventù.
Ma, la mano!
La mano…
Non è che sia nella mano che estraiamo vuota, il Mistero?
Ne scriverò e ne parlerò.
Ne scriveremo e ne parleremo, perché siamo parola e la parola delimita e designa la realtà che l’occhio corretto dalle scienze applicate dalla mano vede.
***
Al Maestro con deferenza.
Non sono un esperto, anzi neanche un cultore della comunicazione che non sia la parola scritta.
La recitazione mi è molto piaciuta.
La teatralità anche.
I suoni della parola, magnifici. Gli altri non sapendoli valutare, li ho graditi.

Michele (07/06/2009 18.14.43)

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