mercoledì 27 ottobre 2021

Per i cinquantacinque anni della tua dipartita, Padre

Per i cinquantacinque anni della tua dipartita, Padre
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Siamo a cinquantacinque papà!
E la mattina del nostro incontro, mancato addio, è vivo e indelebile nella mia mente.
Il bacio che fremeva e non ho avuto l’ardire.
Il viso amato pallido, lo struggimento mio.
Ti temevo, ma ti amavo papà.
Ho appena finito dei lavori insieme all’idraulico da Giovanni, il figlio che hai lasciato di soli sei mesi e mi metto al computer a scrivere.
A ricordare.
Parlarti.
Non so se domani mattina avrò tempo.
Settant’anni e ancora non riesco a recuperare quel riposo dei vecchi.
Forse non avrò fatto abbastanza per meritarlo.
Qualche giorno fa sono stato ringraziato da mio fratello Matteo, tuo figlio, e sento dolore.
“Per me Giovanni è come se fosse in una struttura, non ti debbo nulla!”
Non gli avevo chiesto niente, solo un poco di vicinanza in più.
È orgoglioso Giovanni e dice di non avere fratelli e sorelle, ma l’affermazione tradisce la sofferenza.
Hanno dimenticato di avere un fratello e malato e chissà pensano che il mio sacrificio venga compensato da quei quattro soldi di pensione.
Che miseria, padre mio!
Non credo che tu possa sapere, sarebbe sofferenza senza fine …
E Dio non poteva essere così crudele, dare ai morti la sofferenza dei vivi.
Tu riposi in pace e io mantengo la promessa a mammina che non l’avrei mai lasciato solo.
I miei fratelli, tuoi figli, non possono deviarmi.
È dura ma vado avanti, e Giovanni che mi sopravvivrà come è la regola del tempo, sarà accudito dai miei figlioli.
Potrei pensare errato e tu conoscendo la miseria della vita, ti aspetti la conferma.
È parola data, quella che tu mi hai insegnato a rispettare.
Nella parola c’è onore, e al tuo passaggio i cappelli si elevavano.
Immagini che non mi hanno mai abbandonato e mi hanno fatto soffrire per insufficienza.
La mia, padre.
Ho tanti dubbi e tentennamenti e invece tu eri sempre sicuro di te.
Quanto darei per saperlo.
Se le decisione erano figlie di quella sofferenza che tormenta anche per te.
Il ventotto ottobre 1962 di domenica mattina e aravo con il trattore.
Temevo la tua visita e cercavo d’essere attento e diligente, oggi nessuna ispezione mi aspetto, ma il vizio della cura è insito nel mio essere.
Domani mattina sarò ancora sul trattore come ad onorarti, padre mio.
Non lo so per quanti anni ancora celebrerò questa.
Già lì con te e la mamma è Carolina.
Stante all’anagrafe il prossimo sarò io e finalmente risponderai al mio perché che hai sempre fuggito con il silenzio.
Perché padre mio, mi hai lasciato così presto.
Cosa, come sarebbe stata la mia vita con te vicino?
Avrei voluto carezzare la tua vecchiaia, cerco la mano sul mio canuto capo.
A Te, alla Mamma, a Carolina …
Vale.
E io so aliquid sunt Manes.
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Michele Cologna
San Severo, venerdì 27 ottobre 2017
20:57:28
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