martedì 28 luglio 2009

Abisso...

Abisso vagina eccitata di desiderio infinito.
Mai penetrazione raggiunge il tuo fondo.
Colpi furibondi non lambiscono il contatto.
Orgasmo d’impotenza avvilimento prebenda.

Mistero occhi assassini di vergine prodiga.
Meretrice di percorsi d’assaggio proibito.
Amante frugale d’attempati sussulti negati.
Prostituta di confine tra la vita e la morte.

Esistenza eiaculazione precoce di coito mancato.
Puttana di suburra pasteggiamento d’aborti negati.
Blennorragia d’uretrite purulenta e vulvovaginite.
Grumo terrificante sangue lacrime sperma rappreso.

Morte donna fulgente d’inquietudini consumate.
Dea polluzione notturna di promesse acquietanti.
Mantide aborrita per accoppiamento mai narrato.
Sposa fatale bella ultima femmina da consumare.

Michele (san severo 28/07/2009 20.47.22)

mercoledì 15 luglio 2009

Universo… tace

Universo… tace.
Tendetevi, o sensi, all’ascolto!

Visus, la pupilla stringi…
Scorgi, scova… stana.

Udito, affina tu l’orecchio…
Di morte interruzione afferri.

Gusto, le papille desta e lingua
Feromone a l’aeree apprenda…

Tatto, cieco per sofferente assenza…
Annaspa il vuoto… mani lunghe.

Odorato, dell’olfatto mostra il fiuto
E cattura l’odore d’antico traccia.

Epitelio, di recettori addrizza sensi
Altri… e… aggrappati allo spasimo.

Cosmo, tu che or di nessun gemito…
Ascolto, dì ché Lupa più non latra?

Venere in Dordogna, Terra e mare,
Or solida roccia tu infeconda, chi?

Lupa, pasto orfico di Notte ali nere…
Tu d’ululi priva, Eros monterà, chi?

Sguardo dell’umano or indossasti?
Occhi pastori di domestici greggi?

Torna, Venere Lupa, vieni a fecondar
Di lai, odor, amor: Sole Aria Terra Mare!

Michele (san severo, 15/07/2009 11.55.19)

lunedì 13 luglio 2009

Signor Presidente della Repubblica

Signor Presidente della Repubblica,
ho provato più volte ad inviarle un qualche scritto, ma il sito della presidenza preposto al ricevimento della posta non me lo fa fare.
Se questo capita a tutti o solo a me, non so.
Non è importante.
Questo, cercherò ancora d’inviarglielo, lo scrivo però già con l’intendo di pubblicarlo su facebook e inviarlo a tutte le testate che mi sarà possibile.
Lavoro inutile anche questo, ma, come si dice: la speranza, ultima a morire.
A volte, il più delle volte fa fare cose prive di senso.
Se le capiterà di leggere questa, tragga lei il giudizio.
Nella primavera del lontano 1980 – se non vado errato – lei, esponente autorevole dell’allora PCI, venne nella mia città a tenere un comizio sull’aborto o sul divorzio (non ricordo bene e non vado a ricercare perché non è importante ai fini del discorso che voglio farle) a seguito di un tentativo d’attacco alla legge da parte delle forze politiche più conservatrici se non reazionarie.
Si diceva così una volta, signor Presidente.
Giovane esponente dirigente di quel partito, fui incaricato a riceverla presso il Comitato Cittadino per accompagnarla al comizio.
Chissà, fui scelto solo per la disponibilità e non per altro!
L’orario insolito per un comizio le ore 11, ma quella era la sua disponibilità, la portò a San Severo una mezz’ora prima e in sede ci trattenemmo a parlare un po’.
Davanti al dirigente della componente alla quale mi sentivo legato per affetto nei confronti di Giorgio Amendola e per la sua riconosciuta intelligenza e signorilità, nonché per la mia propensione all’idea riformista, ero in notevole soggezione.
Lei mi fece alcune domande su come stava procedendo la campagna referendaria, sulla percezione dei compagni e dei cittadini, sul partito.
Le risposi in maniera attenta e stavo aggiornandola, quando - sedutosi alla scrivania del segretario - posò gli occhi su una copia del giornale ciclostilato che il comitato cittadino redigeva “Il Progresso” e, ignorandomi quasi, si mise a scorrerlo.
Restai un po’ contrariato e al mio disagio s’aggiunse un po’ di vergogna per il miserevole, penoso ciclostilato, visto che ero direttamente coinvolto nella stesura e facitura dello stesso.
Si mise ad annuire e si complimentò con me. Poi mi chiese chi fosse l’autore di uno scritto.
A quel punto l’imbarazzo salì alle stelle, e l’avrei senz’altro mentito per la vergogna, se non fosse sopraggiunto un compagno che ben sapeva chi l’aveva scritto.
L’avevo scritto io, signor Presidente. E glielo riferii con tanto dolore perché sapevo della pochezza, della stupidità dello stesso.
Lei mi lodò ed io sarei sprofondato.
Lo sapeva pure lei che quello scritto e quel giornaletto erano lesivi dell’intelligenza.
Mi offesi molto, signor Presidente.
Ma in quel periodo nel partito o si parlava così o niente.
Il compagno arrivato precorreva un po’ i tempi. Anticipava quello che sarebbe diventato il partito di lì a poco.
Era molto intelligente, preparato ma assai poco serio: gigioneggiava. Sempre.
Così con la disinvoltura dell’improvvido le chiese: “Compagno Napolitano, abbiamo attraversato il Guado?”.
Lei, lo fulminò con lo sguardo e rispose: “Tu pensa a fare la campagna referendaria e a lavorare. Al Guado ci penso io”.
Fui orgoglioso di quella sua risposta.
Avevo dimenticato l’offesa del complimento.
Aveva con tono e garbo affermato la differenza dei ruoli.
E in tutte le civiltà il rispetto del ruolo è conditio sine qua non.
Non è possibile nessuna civiltà, nessuna struttura organizzata se i ruoli non son ben distinti e rispettati.
Per la memoria tenne il comizio in Piazza della Repubblica ed andò via.
Perché questo scritto, Presidente!?
Lei, signor Presidente, più volte sta prendendo la parola e, me ne dispiace dirglielo, fuori dal suo ruolo.
La Presidenza della Repubblica deve parlare solo con gli atti.
L’unico suo ruolo è quello di Vigile Garante della Carta Costituzionale.
Niente altro.
Lei non può e non deve suggerire, mentre una legge è in discussione in Parlamento, il suo pensiero.
Questo ruolo non gli è assegnato!
E non voglio starle a spiegare il perché.
Lo sa meglio di me!
Se la legge approvata dal Parlamento non passa il suo controllo, dev’essere respinta alle Camere e solo in quel momento lei può motivare.
La Presidenza della Repubblica non legifera e i suoi pareri personali delegittimano la funzione.
Sono solo dei pleonasmi politici di cui i cittadini italiani sia coloro che avversano questo governo, sia coloro che l’appoggiano non ne sentono la necessità.
Non può invitare quotidiani e persone a contenere la polemica o l’agone politico.
Non gli compete!
Mi fermo, signor Presidente, perché ho troppo rispetto per la carica.
Parlo alla persona.
Lei è una persona molto indecisa, Giorgio Napolitano!
Tutte le persone intelligenti lo sono.
Il dubbio che è ancella dell’intelligenza paralizza.
Ma la persona dubbiosa non deve ricoprire cariche decisive. Importanti.
Mi reputo discretamente intelligente e per rispettarla non ho mai voluto assumere ruoli o cariche dove bisogna eseguire con decisione.
Non ne sono capace.
Al ruolo di genitore non potevo abdicare ed è il solo che mi sono riservato.
Ora le dico, lei non decise nel ’56 sbagliando, non attraversò quel Guado che forse avrebbe cambiato la storia dell’Italia e certamente della sinistra...
Credo che per queste cose e altre sue, si porterà forte rimorso e rimpianti.
Con commozione ho vissuto il suo riconoscimento postumo al rimpianto Giolitti.
Tenga fede solo alla sua carica.
Lasci a noi senza alcuna responsabilità o carica istituzionale la libertà della valutazione.
Tutti avremo a guadagnarne.
Con deferenza alla Carica, con commozione all’uomo.

Michele Cologna (san severo, 13/07/2009 10.31.03)

giovedì 9 luglio 2009

All' amico Roberto: "perchè sono nato"

Roberto,
sono uomo antico.
A volte mi sorprendo di vivere e forse comprendere una realtà che non sento mia.
Sono della generazione e non mi riferisco all’anagrafe, che dava un nome, un’anima agli animali, alle piante, alle cose.
Il mio mondo è affollato di anime d’uomini, d’animali e oggetti.
Ancora oggi non so il perché dichiarato, quello intuito sì, mio padre una mattina mi svegliò: “Ragazzo, vestiti! Da oggi la tua scuola è la campagna. Tu, Maria, preparagli la roba. Tuo figlio non tornerà. Resta in campagna!”.
Avevo dieci anni e pochi mesi.
Essendo anticipatario, a scuola frequentavo la prima media.
Un fringuello impaurito.
Occhi spalancati sul nulla.
Destino?
Nessuno!
Figlio.
In campagna: “Pasquale, da oggi questo è il ragazzo della stalla delle vacche. Il ragazzo dov’è?”.
“Padrone Leonardo, sta con le vacche al pascolo”.
“Quando torna, preparasse la roba. Se ne va al paese, a Volturino. La mesata gli verrà pagata e che stia a casa a disposizione mia. Quando avrò di bisogno, andrò a prenderlo!”
Pochi passi, “Vedi dove sistemarlo! Nessun riguardo. Ne rispondi tu!”.
Brillavano gli occhi di Pasquale, detto “u piccialum”.
Compresi durante: di cattiveria.
Gli era capitata la fortuna della sua vita: poteva lavare tutte le umiliazioni, umiliando il figlio del padrone.
Trovò un angolo dello stallone più sgombro, “Ecco, riempiti questo sacco di paglia. Questo è il tuo giaciglio”.
Sapete cos’è una stalla?
Mattina sveglia alle tre.
Gli occhi che ancor non si schiudono e tirare il letame da sotto le vacche, ammucchiarlo, portarlo fuori con la carriola e rifare la lettiera di paglia agli animali.
Strigliatura… mungitura.
La mungitura è uno sforzo sovrumano per un bambino. Esci stremato come se per due ore ti fossi arrampicato su una pertica senza fine e… la paura di precipitare da un momento all’altro.
Esausto.
Si slegano gli animali, li si accompagnano nel recinto e lì, a braccia, si tira l’acqua dal pozzo per abbeverarli. Bevono, bevono e non si staccano mai dalla pila. La catena che trascina su e giù i secchi ti fa sanguinare le mani.
Quando hanno saziato la sete, corri a riordinare la stalla: nuova ripulitura degli escrementi freschi e rifacimento della lettiera.
Prepari un tozzo di pane, ti armi del bastone a uncino, ritorni nel recinto, ti raccogli le bestie e…, finalmente, vai al pascolo.
E… la libertà: rosa/rosae/rosae/rosam/ rosa/rosa - rosae/rosarum/rosis/rosas/rosae/rosis; 6x6 36; 12x12 144; 24x24… 576, troppo; 25x25 625, troppo facile 250+250+125; il, lo, la, i, gli, le…;
is/ea/id/eius/eius/eius/ei/ei/ei…
Ci sono, ancora.
“Diana, dai… raccoglile!”, un genio quella cagna, un boxer.
Ora potevo sedermi e mangiare quel tozzo di pane sporco e amaro.
Osservavo Rignano lì sulla pianura affacciato e vi abitavo con la mamma e organizzavo difese perché nessuno da lei via mi portasse.
Il castello di Lucera, pure chiaro e nitido, e Federico ero e a caccia mi portavo e… le lacrime scendevano.
Vis/roboris/robori/vim/vis/vi/vires/virium/viribus/vires/vires/viribus.
Di, a, da, in, con, per, su, tra, fra…
Dic, duc, fac, fer, fio, fis…
Intorno alle dieci si dovevano riportare le bestie alla stalla.
Senza orologio, avevo imparato a controllare l’ora dalla mia ombra segnandola con i passi.
Ritorno al recinto, nuovo abbeveraggio e molta più acqua del mattino.
Si preparavano le mangiatoie con razione di fieno e si ricoveravano le bestie.
Pausa pranzo.
Un lercio pancotto, preparato dal fattore con mosche… e una volta un topo.
Se la rideva, Pasquale.
Qualche ora sul letto: sacco di niente su sacco di iuta riempito di paglia…
Poi di nuovo, le stesse operazioni… senza fine.
Non si parlava.
Mai.
Le parole non servono.
Suoni gutturali che impari dagli animali e che imiti e comprendono.
Niente è umano solo lo sguardo il tuo come quello delle bestie e il silenzio.
Avevo imparato a comunicare con le mie vacche e loro m’ascoltavano.
M’amavano!
Sì, stellina, biondina, nerina, la pezzata, catarina…
Biondina, la più bella, la mia interlocutrice: giovenca bruna alpina enorme che dava il latte solo a me e al suo vitello.
Chiunque si poneva alla sua mungitura sfigurava: se non riusciva a fargli saltare il secchio dalle ginocchia, “ritirava” il latte, gliene dava poco.
Fu la mia prova d’esame.
Avevo appena iniziato la mungitura, pochi litri nel secchio, una zampata, un’onda di latte in faccia, una scudisciata nelle spalle.
Un tutt’uno.
Non si piange al dolore, quando non hai destino.
Ho ripreso la mungitura e ora lei con la testa girata mi guardava: anche quello versato mi ha ridato e il mio pianto ha lacrimato.
Da quel momento in libertà, al pascolo, nella recinzione mi seguiva come si segue un bambino e mi proteggeva.
M’aveva adottato, leccava me come il suo vitello.
Lo sguardo dolce dell’amore lei m’ha insegnato e lei e le altre…, ancora oggi sono anime che in qualche posto del mondo, lì dove si aggruma ogni dolore, aspettano.
Roberto, scusami la lunga digressione.
Alla domanda “perché sono nato” tu mi hai chiesto di rispondere.
Poiché io credo di conoscerti bene: l’intelligenza e l’ironia; la furba ingenuità; l’utile onestà; la beffarda umiltà; la grande sincerità…
Ti ho risposto seriamente: “perché dovevo incontrare il tuo sorriso, poi ti invierò le motivazioni ridicole”.
Ecco le motivazioni ridicole.
Se io appartengo a quel mondo dell’anima delle cose, Roberto, potevo far inserire la motivazione della mia nascita in una statistica?
Roberto, tutti, tutti noi siamo nati da un grugnito emesso.
Cos’è che in seguito fa la differenza?
La differenza sta nella risposta che ognuno di noi si da alla tua domanda.
Io non so se sono nato per desiderio, per caso, per violenza, per amore…
Non lo so!
So perché vivo, però!
Vivo e sono nato per piacere agli altri così come sono.
Non per piacere agli altri come altri mi vogliono.
E per piacere agli altri così come sono, non ricorro all’imposizione, alla forza e sistemi simili, ma all’amore.
Solo all’amore.
Lo pratico e lo elargisco a piene mani.
Non mi risparmio mai.
Voglio bene alla vita e soffro tutte le sofferenze per amore.
Le vivo con amore e allevio le pene mie e di coloro che posso con amore.
Sono nato per amare e piacere amando.
Con tanto affetto.

Michele (san severo giovedì 9 luglio 2009 ore 21.40.29)

mercoledì 8 luglio 2009

Parole brevi le consegnai

Parole brevi le consegnai
Luna rossa raccogli e vai
Nessun per strada lascerai
Tutte a lei preziose assai

Amore amore amore
Delizia del mio cuore
Occhi di tanto ardore
Fuoco del mio dolore

M’ammalo del distacco
Mai tregua nel bivacco
Digiuno senza smacco
Sfrondo l’inult'almanacco

Sollievo non rintraccio
Pur sapendo de l’intralcio
Ragione solo impaccio
Rabbia morde il braccio

Sussurrale con accortezza
La soma d’amor scavezza
Anelante di martir certezza
Soffocar sol a la tua trezza

Michele (san severo 08/07/2009 12.00.38)

lunedì 6 luglio 2009

Chi è il poeta?

Chi è il poeta?
Cos’è un poeta!
Il poeta è un uomo alterato.
Le sue percezioni annegano nella realtà e se ne tirano fuori nell’idea. Nella fantasia.
Nella parola.
Nella parola consuma il sentire. Nella parola realizza l’idea.
Nella parola soffoca la fantasia.
Nella parola consuma il desiderio?
No, il desiderio lo strugge!
Lo distrugge. L’annienta.
L’ammala e soffre, soffre… soffre.
Le sofferenze gli tolgono il sorriso, gli levano il gusto della vita.
Gli restituiscono momenti di esaltato sentire vero di ciò che è frutto di follia e ne godono, ne godono per cadere in un attimo nella disperazione suicida.
Lo sconforto metafisico gli stanca l’esistenza che perde senso del reale e della realtà ne sente la nullità.
La falsità.
L’allucinante finzione.
Scopre che è più vera la sua sofferenza della più infima abbietta realtà che ora disprezza e ne soffre.
Aporia del mondo sensibile.
Anacoluto dell’esistenza.
Appendice di gusto guastato.
Aborto di sentire alterato: partorito da mente malata.
Ma scopre che è vero ciò che sente: ne ha riscontro.
Perde la dimensione.
Un abisso che scende e un abisso che sale.
Si incontreranno all’infinito?
È lui il punto d’incontro!
Sì!
Sente che egli sta tra i due abissi ed è lì.
Li percorre in su e in giù e non sa più dov’è: sogno, realtà, finzione?
Simulazione?
Non lo sa più!
Comprende che ha un solo strumento a cui comunicare se stesso: la Parola.
Nella parola trova la quiete.
L’inquietudine si riversa nella parola e la parola vive osservandolo.
Si stacca da sé e lo guida, gli suggerisce, si fa pronunciare e misurare il tono, il volume.
Il suono.
Ora mentre si stende sulla carta è vita…
Vita vissuta.
Vita amata.
Vita desiderata.
Cercata. Detestata. Sfregiata.
Pianto e rimpianti.
Melanconia di vissuto non vissuto.
Abissi amati.
Amori odiati.
Assenze struggenti di nulla.
Niente insopportabili.
Divini sconosciuti che prendono corpo in immagini conosciute.
Anime dissepolte che vivono e sono vere e ti toccano, sorridono.
Sbeffeggiano.
E conosci e ti riconosci nei luoghi mai visti, tra le persone mai conosciute e amate.
Amate d’amore vero. Fisico. Concreto.
Occhi che scrutano l’impenetrabile. Il divino. Il desiderio sfrenato, desiderato.
Desiderata di passione febbrile.
Follie vissute per assenza.
E poi qualche voce ti richiama al presente e sai che hai perso e per sempre quello che non hai avuto, che mai avrai, che mai ti apparterrà.
E piangi e ti culli…
Culli la mamma pazza che ha tra le braccia il figlio morto mai nato.
È il dolore è vero. Autentico.
Irresistibile.
Struggente.
Impossibile.

Michele ( san severo, 06/07/2009 11.59.59)

sabato 4 luglio 2009

Dimmi in cosa t’ho deluso e rimedierò

Dimmi in cosa t’ho deluso e rimedierò.
La motivazione io non so e di colpa non ne ho.
Se poss’accontentarti pur all’inferno mi porterò.
Ma pregoti, Cara Mia, dimmi in cosa peccat ho.

Qual scritto t’ha svelato ciò che sempre ho celato.
Di sinistra sì ho il cor, ma ad alcun racconterò.
Calcio? No, no, no! Nessuna palla ho mai toccato.
Politica? Sì, sì, sì! Ma colpa mi colpì, e rimedierò.

Il Nanetto, attrezzato, da trent’anni ha tormentato
Sto Paese sfortunato. D’Alema, baffin l’intelligente,
Mediaset risorsa ha riscontrato, il Nano ha salvato.
Or si pente amaramente? Ma il Tappo è invadente!

Ficca qui, infilza là, a tutti l’ha messo là: il sigillo.
Le teste ha svuotato e di paillette l’ha stracolmate.
Teorie? Or solo una! Liberiamoci dal mandrillo.
Craxi, il Maestro, via andò con monetine raccattate.

Io or già le ho preparate e le tasche ho sovraccaricato.
Chi sarà il liberatore? Bersani? Marino? Franceschini?
Serracchiani? Rutelli? Binetti? Vendola? Francescato?
Diliberto? Giordano? Bindi? Letta? Di Pietro? Casini?

Tutti nani, amica mia! I Moro, i Berlinguer… ci sono!
La politica non li vuole. Essa delinquenza è diventata.
Mestiere. Comparsata. Homo homini lupus è ritornata.
Libertè? Egalitè? Fraternité? Gli illuministi chi sono?

La cultura non è pane quotidiano. Neanche domenicale.
La Chiesa solo nel letto sa entrare. Oltre non sa andare.
Francescanesimo? Chi lo ricorda? È un peccato veniale?
Relativismo del comportamento. Assolutismo del parlare.

Michele (04/07/2009 19.32.08)

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giovedì 2 luglio 2009

Oh, Pensier già d’amor!

Oh, Pensier già d’amor!
Vero.
Lì… nell’Ade c’incontrammo.
E là, i corpi nostri… e per sempre.
A Dite voce manca, ma noi
Ci narrammo del canto e…
Del tempo… gli affanni.
Della gioia e del dolore…
La Parola… e Nous il cranio
Scoperchiò e Logos si narrò.
A noi che a Lui lai, doli, voci
Alzammo…
Gioie e vite mancate…
Additammo e di Luna…
Menzognera d’Amore,
Sospirammo…
Ade - per trasgressione - ci
Cacciò…
Da allora ciechi d’occhi…
No del core… l’aree
Vaghiam per Amore.

Michele (san severo 02/07/2009 10.15.24)

mercoledì 1 luglio 2009

Tesa di fatica stanca t’ho trovata

Tesa di fatica stanca t’ho trovata
E la mia alla tua s’è accostata
Subito nervosa mano s’è rilassata
Gli occhi ha schiuso rinfrancata

L’abito da sera della profondità
Del mare e del cielo d’intensità
Il colore hai vestito e di nudità
D’antica pudicizia… un’infinità

In riva all’acqua di deliri ci siam portati
E dallo sciacquio dell’onde ammutinati
I versi dell’amore degli occhi sussurrati
La voce delle parole sassi di mar danzati

Leggiadri lidi abbiam toccato
Isole deserte di passi popolato
Letti di selvaggi scogli camminato
Spiagge e sogni bramati sorseggiato

All’alcova promesse mai elaborate
Di delicati incensi tende profumate
Le palpebre al soffitto distese assonnate
Le membra a Ipno alato consegnate

Michele (san severo 01/07/2009 11.50.15)