martedì 10 febbraio 2009

Ho il cuore che sanguina stamattina

Ho il cuore che sanguina stamattina.

E quando il cuore sanguina, le ferite che una vita già lunga di sessant’anni ti ha inferto tornano a ruttare sangue.
Dolore.
E la vita ti fa male.
Ti duole come un lutto al presente.
Pure le ferite che credevi cicatrizzate si riaprono e…
Ho amato mia suocera come ho amato mia madre.
Una grande donna. Una dignità infinita. Parsimonia e generosità. Rigore.
Compostezza e misura.
Una persona speciale che solo quando hai avuto la fortuna di conoscere ne comprendi il valore: la portata.
Era il 1982, mia moglie mi disse che la mamma non si sentiva molto bene e, contro il parere delle figlie, non voleva chiamare il medico per farsi visitare.
Sapendo che mia suocera mi teneva in considerazione, mi recai a casa a farle visita, e fingendo di non sapere nulla, poiché stava a letto le chiesi: “Mammà cosa è successo? Non ti senti bene?”.
“No, Michele, sto bene! Non preoccuparti.”
“Come stai bene e ti trovo nel letto!? Che ti senti?”
“Niente, figlio mio! Niente!”
Mi avvicinai al letto, le presi la mano: “Mammà, dimmi, perché fai così!”.
“Quelle – riferito alle figlie – non si fanno mai i fatti loro.”
“Mammà, se non ti senti bene, questi sono anche fatti nostri!”
Era il suo viso tutto chiazzato di rosso. Mi resi conto che non era un malanno da poco e visibilmente commosso, le dissi: “Mammà, ti prego, dimmi cos’hai!”.
Apro una parentesi per dire che l’appellativo di mammà con il quale a lei mi rivolgevo mi riempiva di gioia.
Mi faceva sentire parte di lei.
Dava al bene che per lei veramente sentivo quella valenza di amore filiale.
Le parole sono realtà, fatti, cose. E la parola mammà mi donava quell’appartenenza che non avrei mai raggiunto se non l’avessi usata.
Ho faticato tanto all’inizio perché non riuscivo a pronunziarla, ma poi, quando finalmente ci sono riuscito, mi ha ripagato con un sentimento di soddisfazione e di comunione infinita.
Quanto ha significato quella parola nelle crisi che ogni matrimonio - anche il più riuscito – affronta, deve fronteggiare!
Ti lega indissolubilmente!
Chiusa parentesi.
“Sono un po’ di giorni che non riesco ad urinare. Ti prego, Michele, voglio morire nel mio letto. Non portatemi all’ospedale.”
“Ma, mammà, sei giovane ancora – aveva 69 anni - perché pensi che devi morire? Ti supplico, fatti portare in ospedale!”
“No, se entro in ospedale non uscirò viva!”
Con le lacrime agli occhi, come ora che ne scrivo, “Mammà, vedrai che non sarà come pensi tu. Se le cose si complicheranno, però, ti giuro che ti porterò a casa. Mai ti farò morire in ospedale”.
“Michele, tu non sei come gli altri generi, di te mi fido: se me lo prometti…”.
“Te lo giuro, mammà!”
Entrata nell’ospedale della mia città – in quel periodo a me del tutto sconosciuto: una struttura funzionale solo agli operatori che ivi stazionano; un nosocomio che si giustifica solo per elargire stipendi e far crescere la spesa pubblica – viene messa in isolamento.
Una massa d’incompetenti che brancolava nel buoi più nero. Nonostante tu facessi notare loro che, essendo inibita la minzione, poteva semplicemente trattarsi di un blocco renale: non era possibile! Certamente era un’infezione.
Per un po’ di giorni le munsero sangue come latte ad una vaccina fino alla minaccia di rivolgermi ai carabinieri se non mi avessero detto la diagnosi.
Non lo sapevano e all’indomani l’avrebbero trasferita a Foggia.
Le cose precipitarono e venne portata la notte stessa all’ospedale “Davanzo” di Foggia. La mattina seguente qui la trovammo intubata e in rianimazione.
Nessun permesso d’entrare.
Attesa per sapere: “Complicanze polmonari a seguito di blocco renale.”.
Dopo alcuni giorni mi diedero il permesso d’entrare.
Coperta da un lenzuolo bianco, le spalle e le braccia scoperte, gli occhi chiusi, un respiro faticoso, era bellissima.
“Mammà!”
Le carezzai il volto, le toccai il braccio, “Mamma, sono Michele, mi senti!”.
Si aprirono gli occhi e uno sguardo mi fulminò.
Lo sento addosso ancora oggi come una frustata.
“Mammà, non è colpa mia! Credimi.”
Non aprì più gli occhi, annuì con la testa.
Avevo tradito la sua fiducia.
Appena fuori mi recai dal primario per chiedergli di potermi portare a casa mia suocera.
Farla morire nel suo letto.
Era una promessa.
Fino a quando le condizioni erano quelle, egli non aveva nessuna possibilità di farmela portare. Se fossero peggiorate, si impegnava ad avvertirmi in tempo per farla morire a casa.
Passò qualche settimana, giunse l’inutile telefonata.
Ci precipitammo con l’autoambulanza e come ladri frettolosi ce la portammo via.
Non ce la fece a raggiungere casa sua.
Spirò per strada.
Non le venne concesso di morire nel suo letto.
Non mi fu dato di rispettare l’impegno assunto.

Michele Cologna
San Severo, 10 febbraio 2009

https://www.facebook.com/notes/michele-cologna/ho-il-cuore-che-sanguina-stamattina/50406912479/?comment_id=10157997713517480

https://www.facebook.com/michele.cologna


Nessun commento:

Posta un commento