martedì 29 maggio 2012

Limiti

E cammino limiti.


Terra di nessuno e l’estraneazione, pesante mio vessillo, duole.

È dolore d’assenza di me da me.

Emblema di nulla.

Insopportabile fardello di leggerezza.

Traduzione d’inconsistenza che mozza il fiato.

Aporia che non trova sintesi.

In rivoli d’asciugate lacrime mi perdo…

E fatiche di passi antichi mi percuotono.

Sudate carni mi trascinano e ne reggo ne l’innocenza la perversione.

Ammalato di vita che non sento e non è la mia.

Parole di silenzio.

M’investono ed è destino non mio.

Ci gioca e mi schernisce, dilania i giorni.





Michele Cologna



(San Severo, domenica 27 maggio 2012)



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venerdì 25 maggio 2012

il distacco

il distacco










ne l’attesa tormento

ha vissuto giorni

e d’ansia e desiderio

struggenti i palpiti

sorretto il governo



poi l’andata e

meraviglia e giubilo

gioia…

pascoli

- armenti di cielo -

paradisiaca essenza

e profumi…

in bivacco dio e

la vita

fausta di dei sorretta

e bellezza



il distacco e il vuoto

segue… mai colmo

soffoca e di sé

riempie senza meta

il tempo









michele cologna



(san severo mercoledì 22 maggio 2012)





Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza il consenso dell'Autore.



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sabato 12 maggio 2012

presso

presso










a la veranda presso

disperde di sé l’occhio

lo sguardo e muto

dentro l’assenza

naviga l’incompreso



tutto è lì come ogni

e non torna il noto

sfuma e dell’incerto

percorre i sentieri e

sfiorando limiti

senso d’alcun governo

mai penetra e assorbe

l’ignaro sospeso destino

in attesa… e

ne comprende il corso



fesso è del ritorno

il cammino e ferisce

ancor più il grave

inutile zavorra

di possibile lieve fato









michele cologna



(san severo, 12 maggio 2012)







Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza il consenso dell'Autore.





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domenica 6 maggio 2012

Tutte le “cose” finite...

Tutte le “cose” finite - ciò che ha storia - nel finito trovano il riscatto del senso.


Siano esse in immagini e peso e grandezze le più diverse, ma il tendere è destino, aspirazione, condizione…

Il Nulla.

Nulla preesisteva, era e nulla resterà.

Sarà.

Questo finito che è l’universo, partito da un’esplosione che è vita, nella fine della corsa che è morte, troverà con la fine il senso che sempre risiede nel non senso.

Nessun finito ha senso in sé, se non nella finitezza.

È il destino delle cose effimere, e il tempo in proporzione alla grandezza è attimo.

Sempre!

La luce è velocità infinitamente piccola e non è misura dell’attimo dell’universo.

Il tumore della materia, l’uomo, per il solo fatto d’essersi compreso, ha ridotto il tutto alle sue dimensioni.

Mosca cocchiera che ara il campo.





Michele Cologna



(San Severo, domenica 6 maggio 2012)





Copyright 2012 Michele Cologna

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venerdì 4 maggio 2012

Un episodio

Un episodio *








L’area che tira è quella della smobilitazione.

Non si sa cosa fare e si aspettano ordini.

La maggior parte se non tutti, pensano la medesima cosa: darsela a gambe.

Antonio sa che mentre lui sta lì in attesa, la mamma lotta per la sopravvivenza sua, del marito invalido, della sorella Maria e del fratello piccolino Diodato.

Non può perdere questa occasione e nella notte furtivo s’allontana senza che nessuno se ne accorga.

Dopo alcune ore di fuga incomincia ad albeggiare e deve trovare un posto dove nascondersi.

A quel punto s’accorge che lo segue il suo commilitone Gennarino.

La prima reazione è quella di sgozzarlo, ma potrebbe essere stato seguito da altri e si trattiene.

Egli è pratico di monti e boschi e trova riparo e rifugio senza molte difficoltà.

Gennaro cerca di spiegare e giustificarsi, ma Antonio non proferisce parola.

Camminano più notti, nutrendosi di ciò che la natura offre.

Né di giorno, né di notte gli aerei sono mai fermi e il rumore dei bombardamenti quando più vicini, a volte più lontani, sono incessanti.

Hanno attraversato boschi e monti.

Ora hanno davanti colline e piccole pianure e il rischio è più grande.

Gennarino riesce a raccogliere notizie: i fascisti della Repubblica Sociale Italiana e le truppe tedesche non perdonavano.

Passavano per le armi immediatamente disertori o tutti coloro che potevano sembrare tali, e tanto di più i partigiani, in quei posti particolarmente attivi.

Era più prudente fermarsi in montagna e stare attenti a non farsi scoprire, oppure cercare agganci partigiani.

Antonio, anarchico per formazione, seppure non proprio istruito, semianalfabeta, diffidava di tutti.

Poi la guerra non era sua!

La sua guerra era la mamma, il padre e i fratelli dei quali pur non sapendo più nulla, sapeva che senza di lui sarebbero morti di fame e stenti.

Non seguì Gennarino e si tenne nascosto nel bosco.

Dopo qualche giorno lo trovò che andava alla sua ricerca.

Sorprendendolo, seppe che poteva seguirlo: una fattoria lì vicino, li dava da mangiare, bere e rifugio in cambio di lavoro.

Antonio era un uomo molto forte e astuto, oltre ad essere eccellente pastore e bovaro di grande qualità.

La notte raggiunsero il posto e dopo le parole e il cibo, i due vennero sistemati nel forno che restava staccato dal fabbricato e eventualmente scoperti, si poteva sempre affermare che i proprietari non ne sapevano niente.

La sistemazione sembrava funzionare e Antonio e Gennarino ebbero modo addirittura d’inviare loro notizie ai familiari.

Stavano nel forno la notte, quando sentirono spari e urla.

Gennarino si tirò fuori dal nascondiglio e immediatamente si trovò l’arma tedesca puntata al viso.

Grande risata e anche Antonio venne tirato fuori.

Legati compresero che i tedeschi li avrebbero rimessi lì dove stavano e per farli stare al caldo, avrebbero dato il fuoco necessario a cuocerli.

Alticci se non ubriachi, tra il fragore delle risate incominciarono a caricare di paglia e legna il forno.

Il terrore di Gennarino che piangeva e invocava San Gennaro e la fredda impassibilità di Antonio facevano da sfondo alla scena.

Perché dovevano caricare loro il forno quando potevano i morituri?

Vennero slegati e sotto la minaccia delle armi costretti a preparare il rogo del loro sacrificio.

Il divertimento del tedesco che aveva in custodia Antonio era alle stelle e la sua imperturbabilità lo eccitava.

All’improvviso spari e comandi secchi fecero correre i tedeschi verso la fattoria.

Resto lì con Gennarino e Antonio il solo vigilante di quest’ultimo, e facendoli stendere a terra a pancia in giù, e con le mani dietro la nuca, si mise alle loro spalle.

Durò un bel poco la sparatoria e poi le voci italiane.

I partigiani avevano vinto lo scontro, ma i tedeschi avevano massacrato i proprietari della fattoria e alcuni lavoranti.

Si sentirono le voci dei partigiani che si dicevano d’andare via prima che gli spari attirassero altri soldati tedeschi.

Gennarino stava per muoversi e forse chiedere aiuto, quando con mossa fulminea, venne bloccato da Antonio che in contemporanea aveva già sotto di sé il tedesco.

Allorquando tutto tacque, Antonio disse a Gennarino di uscire fuori.

Il comando non ammetteva repliche e Gennarino ubbidì.

Antonio, uomo molto pratico nello scannare i maiali, con un colpo solo tagliò la gola al tedesco e ne bevve il sangue.

Quando alzò gli occhi, Gennarino era impietrito e preso dal panico si mise a correre.

Con un salto di felino eccitato dal sangue, Antonio l’agguantò e per un pelo dominò il pensiero.

Si fece promettere che mai ne avrebbe fatto menzione con qualcuno e si avviarono.

La loro discesa verso casa fu lunga, ma solo Antonio vi tornò.

Gennarino, che era solito gridare all’affaccio del pericolo “Oh San Gennaro mio!” e subito dopo lo scampato pericolo “E cagami il fischietto!”, quella volta fece in tempo solo a pronunciare la prima parte, la seconda restò soffocata nel vento.







Michele Cologna



(San Severo, giovedì 3 maggio 2012)





Copyright 2012 Michele Cologna

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*Piccola nota.

Stamattina parlando a telefono con una persona, mi trovai a dire “L’avrei scannato e bevuto il sangue”.

Un pensiero che non m’ha mai attraversato la mente, eppure mi sembravano conosciute le parole.

Andai con il pensiero lontano, negli anni bambino e ho ricordato.

Ho messo insieme spezzoni di cose ascoltate e maggiormente origliate, nella convinzione che il bambino non comprende.

Questo è l’episodio ed è storia vera.



https://www.facebook.com/notes/michele-cologna/un-episodio/10150816973492480

giovedì 3 maggio 2012

Si può...

Si può essere stanchi di fatica, come di giochi o altro.


Di vita molte volte!

Ogni stanchezza ha una motivazione che la rende agli occhi del sofferente e di coloro che su di lui posano l’interesse, accettabile, comprensibile, addirittura condivisibile.

La mia stanchezza quasi mai ha queste caratteristiche e origine umana.

Non sono stanco di fatica, di vita, di anni.

No!

La mia stanchezza non è individuabile nel vivere.

A volte l’ho definita metafisica.

Ma questa affermazione nel tutto manca di qualcosa.

In quel qualcosa sta la mia.

Sono servo d’un tiranno che non mi lascia per un solo istante.

Mi sconvolge, opprimendomi.

Non mi lascia neanche durante il sonno.

Nessuna tregua.

Giorni, mesi e anni.

Anni dopo anni e mai, mai ha smesso di tormentarmi.

Usa il mio pensiero come scettro e condanna.

Alieno che mi divora le carni e il vivere.

Non cerca, non vuole, non ordina.

Avvolge, avviluppa.

Inquieta.

Inquietudine come paradigma.

Modo di declinare la vita.

Vita che non senti.

Stanchezza di non sentire la vita, la mia.







San severo, martedì 1 maggio 2012



Copyright 2012 Michele Cologna

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