lunedì 27 dicembre 2010

Lettera aperta

Lettera aperta

Ai miei figli e a coloro che nella qualifica si riconoscono, questa.
Il Natale, per chi santo e per chi festa di tradizioni altre, ci vuole nello stereotipo, tutti più buoni, bravi, gentili e solidali.
Ci inventiamo le bontà mai praticate e nel ripeterlo e dircelo, ci crediamo davvero.
Somigliamo al Pezzente che dice bugie e falsità e ripetendosele, finisce per crederci egli stesso.
Salvo smentirsi seduta stante.
Così noi tutti.
Malvagi e delinquenti, buoni e cattivi, infami e leali, reprobi, retti… e via continuando, nel giorno di Natale trasformiamo le nostre nequizie, la sentina che ognuno si trascina in virtù e generosità e ci crediamo fino alla commozione.
Mi viene in mente Gaber in “Qualcuno era comunista”.
Ebbene, ho vissuto questa festa sempre con estremo disagio e estraneità.
Anno dopo anno, con l’aumento della consapevolezza, anche la miseria e l’ipocrisia della quale ci ammantiamo è con essa cresciuta, fino a provarne un fastidio a pelle.
Un atto di sincerità estremo per iniziare a volare, o tornarci in base ai punti di vista.
I figli - spero che qualcuno non si lasci ingannare essendo padre, e dimenticando d’essere stato figlio -, si recano a casa dei genitori per la ricorrenza e si sentono buoni, bravi e li amano.
Non fa niente se durante l’anno hanno lesinato su una telefonata, una visita, una giornata da stare con i vecchi.
In questa giornata recuperano il trascorso d’abbandono e si recano da questi sedotti e “buoni” genitori perché li amano.
Non si pongono il problema dei poverini che vorrebbero essere affrancati dal peso dell’irruzione e particolarmente della povera mamma, che diventa serva e schiava della festa, della fatica e del bene.
I genitori debbono essere per etichetta buoni e bravi, e non potendo non esserlo, dimenticano.
Hanno tutti figli che “va bene è il lavoro, il tempo, ma sono meravigliosi”.
Stupendi.
Sono tanto buoni che darebbero per loro la vita, poi i nipotini!
Ecco che questi disgraziati, stati sempre al loro servizio e considerati peso insopportabile, in nome del bene e della bontà del Santo Natale, ora felici e contenti si sobbarcano tutto il peso dello stare insieme e si nutrono dei figli che godono l’attesa vacanza stanti come in albergo, e seduti e serviti come al ristorante.
Dimenticano, l’amore fa scordare e perdonare.
Non hanno mai trascorso invitati una festività, una vacanza, una giornata di piacere disinteressato con loro da quando sono usciti di casa.
Tutte le ricorrenze alle quali hanno partecipato, quelle obbligate.
Pranzi e feste di laurea, fidanzamenti, sposalizi…
Ad essere maligni si potrebbe affacciare l’ipotesi: chissà se non dovevano pagare?!
Ora io l’ho finalmente detto.
Questo è ciò che penso e non ingoio il rospo.
Come ho riportato sono stato figlio anch’io.
Erano altri tempi, e ho la scusante di non avere mai festeggiato niente e fatto vacanze.
Buon Natale a tutti i figli, passati e presenti.

Michele Cologna

(Natale 2010)

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