giovedì 28 ottobre 2010

Quaratotto anni fa...

Sono vecchio come tu non lo sei mai stato, padre mio.
L’ultimo saluto quarantotto anni fa, e le nostre strade si son divise.
Certo hai riservato a me l’onore e l’onere dell’ultimo.
A me del quale non avevi nessuna considerazione e stima.
Te l’ho chiesto senza ottenere mai da te risposta, l’ho domandato a me e tante se ne sono affacciate alla mente.
Vere e false, o entrambe.
Chissà!
Abbiamo monologato - certo non possiamo definirlo dialogo -, il ricordo delle tue affermazioni, le mie azioni, rimorsi, paure e pentimenti.
Inevase richieste di perdono.
Quante macerie alle nostre spalle!
Dell’ultima assurda tua, il figlio che doveva salvarti dalle tasse, è oggi tra le altre, la mia maggiore pena.
È facile mollare tutto e andarsene.
Non ti sto addossando la colpa della tua morte, ma quel tuo cardiologo, fino alla sua dipartita, ogni volta che m’incontrava me lo ricordava.
Eri padrone nato e volevi comandare anche la morte, ma lei non t’ha ubbidito come tutte le tue donne.
Prendevi ciò che volevi e con la forza della tua posizione, se l’avessi accarezzata blandendola - ascoltando il tuo ippocrate che in prepotenza ti somigliava -, non t’avrebbe lasciato ancora un poco in vita?
Quante cose avrebbero preso differente corso?
È vero, la storia non si fa sui se e io sto imbastendo il nulla, ma quanta amarezza!
Cosa diresti in questa ricorrenza al figlio in età a te maggiore?
Useresti ancora il nerbo, la forza, la persuasione?
Sai, mi piacerebbe ricordarti il dolore che hai distribuito con gratuità e senza accorgertene.
Sì!, perché ora so con certezza che tu non consideravi le conseguenze delle tue volontà e azioni nei confronti dei tuoi sottoposti.
Hai annullato esistenze, papà, senza gratificarle del minimo risarcimento, il rimorso.
Una donna e il dolore di una vita e l’inesistenza.
Giorni atroci e la paura.
Nessuna considerazione e neanche il nome.
Cosa funzionale a un sistema.
Ingranaggio necessario, ma intercambiabile.
Sostituibile.
L’hai mai osservata persona, la tua donna, la mamma dei tuoi figli?
Quanto li hai amati, m’hai amato?
La generosità!?
Un figlio e la percezione del fallimento come vessillo.
Sarei curioso conoscere il tuo pensiero su quell’atleta caduto sempre un momento prima del tocco del filo di lana.
E il metro di misura?
Con l’appartenenza, ancora la roba?
Oppure l’intelligenza censuaria?
Forse son ora domande senza senso perché il tuo mondo è stato una civiltà ormai scomparsa.
Una civiltà grande e tanto violenta.
Ma nella giornata in cui la ricorrenza afferra ancora la gola, e il dolore mai sopito riaffiora vivo, del tutto peregrine non sembra siano.
Ti saresti mai adeguato?
Avresti compreso quest’uomo travagliato, figlio d’un tempo senza età, schiacciato da un opprimente passato che non passa, un presente senza senso che detesta e un futuro di nessuna cognizione?
Che domande!?
È vero, nessun senso, però m’ha alleggerito questa chiacchierata con te.
Ho vissuto nella certezza che non avrei mai superato la tua età.
Invece ecco che mi ritrovo di te maggiore di sei anni e a fare questi discorsi bambini.
Vale, padre mio.


Michele (San Severo 28/10/2010 16.06.36)

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