lunedì 27 ottobre 2014

Cinquantadue anni una vita (domenica 28 ottobre 1962)


Cinquantadue anni una vita (domenica 28 ottobre 1962)

 

 

 

Arrivò con il carretto Giuseppe e magro, scuro come un Cristo di legno, scaricò le percoche.
Una diecina di tinelli e ti chiedevi cosa farne, a chi regalarle.
Giuseppe sistemò gli animali, prese il tascapane e stava andando via.
Lo fermasti e con il tuo tono padronale, l’invitasti a portarsi della frutta a casa.
Lieto Giuseppe aprì il tascapane e incominciò a scegliersi della frutta.
Tu lo seguivi con lo sguardo.
Scuro come il carbone e arso, Giuseppe, scelse il meglio dai tinelli più a portata di mano.
Quando ebbe finito, tu: “Giuseppe, ma credi che gli altri siano i tuoi stronzi? Tu scegli e gli altri mangeranno il tuo scarto? Lascia quelle percoche, vai in un tinello, prendi quello che vuoi e senza scegliere!”.
Il legno bruciato dal sole, a testa bassa eseguì e salutando e ringraziando andò via.
Fecero più male a me quelle parole che a Giuseppe.
Io ti portai rancore per alcuni giorni, Giuseppe invece, la mattina successiva ti sorrideva e ti adorava come sempre.
Eri buono!
Tutti dicevano che avevi un cuore d’oro, però eri inflessibile nelle tue decisioni.
Non sono in grado di dire se lo fossi anche nei confronti di te stesso, padre mio.
Mi mancano i riscontri, ero troppo giovane.
Questo ricordo stamattina, e dirti che ti vedevo sicuro in ogni tuo gesto.
Azione.
Comando.
Pensavo che un giorno anch’io avrei acquisito quella sicurezza che tu esprimevi.
Sarei stato come te.
Ma sono trascorsi gli anni, sono diventato vecchio, di undici anni più di te padre, e la tua sicurezza, certezza sono per me ancora un sogno da realizzare.
Una sola volta avere quella spigliatezza di comando, quella certezza di pensiero per l’azione risoluta.
Il gesto, in me tanto timido, quanto in te risoluto.
Non mi hai mai risposto e continuerai, ma quella tua padronanza di te e d’ogni cosa, era frutto di sofferta decisione, di fiuto d’uomo vero, di cosa?
Quanto vorrei saperlo, papà!
La mia incertezza in ogni decisione, è una minorità strutturale mia?
Dei tempi?
Un’acquisizione culturale deleteria dell’uomo destrutturato?
Si dice e penso ci sia del vero, che ogni emancipazione sia una perdita.
Ma io non mi sento emancipato dalla tua, padre!
La vivo e l’adoro, è la mia forza in questa civiltà che non mi appartiene e che vivo come estranea.
Sai, ti ho molto contestato mentalmente in alcune tue performances, e oggi le sento mie in modo struggente e definitive.
Volevo dirtelo nel giorno del cinquantaduesimo anniversario della tua esistenza in morte, padre mio.
Sono sempre dalla parte sbagliata, vero?
Avevi visto già l’uomo nel bambino?
Non ci saranno risposte mai.
Tu stai con mamma e Carolina lì dove nessuno sa se non per fede, ma un po’ con me anche.
Siamo in contatto continuo e state nelle mie azioni e pensieri sempre.
Forse non ci siamo mai lasciati e io sono ancora quel ragazzo che voleva piacerti senza riuscirci.
Vale Padre mio, Mamma, Carolina.

 

Vostro

 

San Severo, lunedì 27 ottobre 2014

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