sabato 28 marzo 2009

La passeggiata che non abbiamo fatto

Il foglio vuoto di Excel aspetta con le sue infinite caselle i numeri che gli daranno identità.
“la Repubblica” da stamattina sul tavolo m’osserva pronta a fornirmi le notizie: sempre che le dia una scorsa.
La finestra immette nello studio una luce primaverile che invoglia a uscire, a passeggiare.
Esci, e chi incontri?
Nessuno!
Tutti hanno da fare. Corrono.
Forse non hanno da fare alcunché ma corrono ugualmente.
Corro, esisto. Una volta era cogito.
Chissà se le persone corrono per non pensare, o correndo non pensano!?
Arrivavi in piazza, c’era sempre il nucleo dei comunisti, con l’immancabile Unità in tasca, che commentava se non proprio gli articoli del quotidiano, almeno i titoli che erano spunti di discussioni accese e incazzature.
L’immancabile Ennio Nigelli che accendeva gli animi degli ortodossi sulle revisioni berlingueriane, lo Strappo, l’Ombrello Nato, la cessata Spinta Propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre, e, dulcis in fundo, la politica dei “Preti” sabotatori entrati nel PCI sanseverese. Fazioso intelligente. Manicheo convinto e inguaribile: guai a parlargli dell’allunaggio americano degli astronauti N. Armstrong e E. Aldrin, perdevi la sua stima. Diventavi cretino, ai suoi occhi. Ti bevevi la propaganda americana: “Quello è un fotomontaggio!”.
Il giovane e promettente dottore che, orgoglioso del suo vistoso anello al dito mignolo fornito di servizievole unghia, si lisciava la spaziosa fronte che meditava chissà quale “escabotage”.
(Era così convinto. Nessuno riuscì a fargli mai capire che ciò che la sua “fronte inutilmente spaziosa” - avrebbe detto Kant - elaborava non era un escabotage ma tutt’al più un escamotage.)
Agile, veloce, meditante, un fascio di giornali sotto il braccio, l’aria sofferente del pensatore egemone, organico; gramsciano, appariva l’ammiratissimo, amato, coccolato, e pure dagli avversari poco contrastato, segretario. Chiamato a gran voce dai piazzaiuoli, opponeva un garbato sorriso e correva in Municipio dal quale arrivavano non sussurrate, e non in sintonia con monsignor Giovanni Della Casa, le frasi del giovane assessore, insegnante mancato, che volendo delineare un bambino irrequieto e un po’, diciamolo pure, monello gli dava dell’irreprensibile. Al festival dell’Unità, nella villa comunale, quando scriveva lui il menù, la gente mangiava i “faggioli”.
Saranno più gustosi dei fagioli?
Chissà!
Avevi voglia di passeggiare ancora e incontrare altra “fauna”?
Potevi raggiungere Piazza Allegato.
Qui davanti alla Camera del Lavoro c’era un universo.
I giovani “figgicciotti” con un solo timbro di voce e lo stesso vocabolario.
Sentivi uno e li avevi ascoltati tutti.
Studiavano, però. Mandavano a memoria interi pezzi di Rinascita, dell’Unità o dei vari leaders secondo le proprie simpatie che recitavano durante i riti esoterici: i congressi, le conferenze cittadine, le manifestazioni. Quasi tutti ingraiani.
Se amendoliano, era un pezzo di … destròs.
Migliorista!?
Non proprio fascista ma quasi.
I sindacalisti?
Il massimo!
Tutti ripetevano non solo gli stessi discorsi del capo, ma cercavano di declamarli con la stessa dizione.
Ne assimilavano le caratteristiche.
Esempio, era segretario Galasso?
Tutti i sindacalisti sanseveresi avevano dizione sannicandrese con tendenza al logorroico.
Segretario Marcucci?
Tutti, oltre ad assaporare a occhi chiusi il suono delle proprie parole, gustavano con lo schioccare della lingua il dolce fondo del proprio bicchiere.
Qui, il clima era sempre da ultimo giorno.
“La situazione è drammatica, compagni.”
L’altoparlante perennemente gracchiante diffondeva il verbo del “grande bugiardo”.
L’inamovibile, imperturbabile e instancabile “compagno” dalla bugia gratuita, scontata, esagerata.
C’era dell’altro ancora. E che altro … incontravi!
Uomini che con la loro virtù, i loro pregi e anche i loro difetti hanno fatto la storia di questa città che non è stata seconda a nessun’altra.
Anzi.
Gli aspetti tratteggiati sono particolari che raccontano dei “tic”, e non esauriscono figure.
Ci siamo fatti una passeggiata nel recente passato in una mattina di sole non avendo voglia di lavorare.
Nient’altro.
Se l’avessimo fatta oggi avremmo incontrato La gente nuova che corre e non ha tempo, né ha la cultura della piazza (ὰγορά).
La gente in grisaglia che non può fermarsi e parlare perché deve mostrare prima a se stessa e poi agli altri efficienza e piglio imprenditoriale.
La gente in doppiopetto blu che non studia e manda a memoria articoli di leaders da ripetere nei riti esoterici collettivi.
Per sustanziarsi non ha bisogno che di rimirarsi nello specchio.
La gente tout-court che in questo paese non è abitata più dalle idee.
E quei pochi, alcuni in verità, che ancora le praticano se le portano addosso come una gerla fastidiosa, ingombrante, antiestetica di cui liberarsi.
E francamente non ci piace.
Questa è la ragione per la quale siamo rimasti in casa approfittando del passato.
Michele Cologna

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