lunedì 30 marzo 2009

IL Grande Pezzente

Provate a dare qualcosa ad un povero!
Si schermirà, vincerà la ritrosia e accetterà con grande imbarazzo, non finendo mai di ringraziare.
Provate a dare qualcosa ad un pezzente!
Ti guarderà avido, prenderà ciò che gli offri con odiosa insofferenza, ti guarderà come si osserva un miserabile accattone, facendoti capire: è questo tutto ciò che mi dai?
Noi siamo portati ad identificare, non distinguere il povero dal pezzente.
Nella nostra mente abituata a scivolare sulle cose del tempo e della vita, tutti i bisognosi, tutti coloro che, anche solo metaforicamente, allungano la mano in cerca di aiuto sono uguali.
E invece no!
La povertà è una condizione della persona; per cui il povero è uno che in circostanze particolari si è trovato, versa in uno stato di bisogno.
La pezzenteria è una disposizione dell’anima: modo di essere di una persona.
Il pezzente non è necessariamente un bisognoso nel senso materiale del termine.
È naturalmente un accattone.
Indipendentemente dalla sua condizione economica, al di là del bisogno.
Egli è posseduto dalla frenesia del cercare, chiedere per avere.
Lo trovi davanti alla chiesa che piange lacrime esagerate e bugiarde.
Inganna il prete ingenuo, inducendolo a raccontare una storia strappa lacrime alla fine dell’omelia, per una lauta colletta.
Gli occhi suoi sono sempre vigili e alla continua ricerca di ogni cosa di cui impadronirsi.
Nota ogni particolare a piedi o in macchina che stia.
Mettetevi nei pressi di un contenitore dell’immondizia e osservate: li riconoscerete sia che vadano a piedi o in macchina.
Rallentano, osservano. Se non hanno ben individuato, dopo un giro per distogliere, tornano. Se c’è una qualsiasi cosa da prendere si fermano, rovistano; e non resistendo, con un sorriso stampato da ebeti, finti sorpresi, gran maraviglia la fanno propria.
Indipendentemente ci sia qualcuno ad ascoltarli o meno: “Guarda cosa hanno buttato, certamente si sono sbagliati. È nuova!”; oppure, “Quella è la grascia, buttano ogni ben di dio!”.
Poi ci sono i pezzenti più evoluti, raffinati.
Il pezzente imprenditore che veste da straccione; gira con una macchina nella quale tu non entreresti per tutto l’oro del mondo; ha locali impresentabili, fatiscenti; mezzi da lavoro obsoleti perché quasi sempre riciclati, donati da altri che l’avevano dismessi; se gli commissioni un lavoro si lamenta così tanto che non contratti più sul costo per compassione.
Piange, tenta di commuovere il politico, il finanziere, il poliziotto che lo ferma, la banca.
A tutti mostra disperazione e al proprio dipendente elemosina maggior lavoro e comprensione: “Tu hai la giornata assicurata. Fosse il cielo, guadagnassi anch’io la tua giornata!”.
Cialtrone! Pezzente!
Perché non vai a lavorare alle dipendenze pure tu!?
Il pezzente intellettuale?
Peggio! Fa rabbrividire!
“Ma io non scrivo le stesse cose che scrive lui? Perché lui vende ed io non trovo un editore? Sono disperato! Solo il suicidio, mi resta.”
La messa in scena, “Sono un fallito! Non c’è speranza per me! Doveva abortirmi, mia madre! Non mettermi al mondo!”.
Una parola di conforto non si nega a nessuno, “Dai, vedrai che le cose cambieranno!”.
Ti sei messo nei guai, le richieste non finiscono più!
Inizia la caccia all’uomo.
Devi restare in casa. Farti negare. Renderti invisibile.
Potremmo continuare con gli esempi, ma non è il caso.
Ormai ci è chiaro che il pezzente è un “vuoto” che cerca con tutti gli strumenti: leciti, illeciti, subdoli etc. etc., per riempirsi.
Il suo vuoto, però, è incolmabile.
Nessuna cosa può saziarlo.
Nulla colmerà quella sua disposizione dell’anima all’accattonaggio.
Vorrà. Chiederà sempre di più.
È un buco nero che tutto ingoia. Assorbe.
In Italia abbiamo il più illustre dei pezzenti.
Il vuoto per eccellenza.
L’insaziabile per antonomasia.
L’uomo più potente che l’Italia abbia mai avuto per potere economico-finanziario-politico.
L’uomo che ha al servizio della sua volontà un impero mediatico senza limiti.
L’uomo che ha il potere politico che neanche il Duce è riuscito ad ottenere.
L’uomo che si è nominato ministri i servi, le amanti, i legulei…
Non mi dilungo più perché sto dicendo cose ovvie che sono sotto gli occhi di tutti.
Ebbene questo pezzente di uomo lamenta di non aver alcun potere: “Il Presidente del Consiglio italiano, l’unico al mondo, a non avere nessun potere decisionale…”.
Questo accattone d’uomo è vilipeso dalle televisioni, dai giornali, dai comici, da tutti e, poverino, non ha la minima possibilità di difendersi, far ascoltare la sua voce.
Questo miserabile pezzente che potrebbe stare bene a casa sua e si sacrifica per il bene del suo popolo.
Ebbene quest’uomo, come il più umile dei pezzenti, chiede ancora di più.
Egli, cari italiani tutti chi l’ha votato e chi no, non si fermerà mai di chiedere, di rovistare, di biasimare, d’invidiare…
Perché egli è un pezzente.

sabato 28 marzo 2009

La passeggiata che non abbiamo fatto

Il foglio vuoto di Excel aspetta con le sue infinite caselle i numeri che gli daranno identità.
“la Repubblica” da stamattina sul tavolo m’osserva pronta a fornirmi le notizie: sempre che le dia una scorsa.
La finestra immette nello studio una luce primaverile che invoglia a uscire, a passeggiare.
Esci, e chi incontri?
Nessuno!
Tutti hanno da fare. Corrono.
Forse non hanno da fare alcunché ma corrono ugualmente.
Corro, esisto. Una volta era cogito.
Chissà se le persone corrono per non pensare, o correndo non pensano!?
Arrivavi in piazza, c’era sempre il nucleo dei comunisti, con l’immancabile Unità in tasca, che commentava se non proprio gli articoli del quotidiano, almeno i titoli che erano spunti di discussioni accese e incazzature.
L’immancabile Ennio Nigelli che accendeva gli animi degli ortodossi sulle revisioni berlingueriane, lo Strappo, l’Ombrello Nato, la cessata Spinta Propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre, e, dulcis in fundo, la politica dei “Preti” sabotatori entrati nel PCI sanseverese. Fazioso intelligente. Manicheo convinto e inguaribile: guai a parlargli dell’allunaggio americano degli astronauti N. Armstrong e E. Aldrin, perdevi la sua stima. Diventavi cretino, ai suoi occhi. Ti bevevi la propaganda americana: “Quello è un fotomontaggio!”.
Il giovane e promettente dottore che, orgoglioso del suo vistoso anello al dito mignolo fornito di servizievole unghia, si lisciava la spaziosa fronte che meditava chissà quale “escabotage”.
(Era così convinto. Nessuno riuscì a fargli mai capire che ciò che la sua “fronte inutilmente spaziosa” - avrebbe detto Kant - elaborava non era un escabotage ma tutt’al più un escamotage.)
Agile, veloce, meditante, un fascio di giornali sotto il braccio, l’aria sofferente del pensatore egemone, organico; gramsciano, appariva l’ammiratissimo, amato, coccolato, e pure dagli avversari poco contrastato, segretario. Chiamato a gran voce dai piazzaiuoli, opponeva un garbato sorriso e correva in Municipio dal quale arrivavano non sussurrate, e non in sintonia con monsignor Giovanni Della Casa, le frasi del giovane assessore, insegnante mancato, che volendo delineare un bambino irrequieto e un po’, diciamolo pure, monello gli dava dell’irreprensibile. Al festival dell’Unità, nella villa comunale, quando scriveva lui il menù, la gente mangiava i “faggioli”.
Saranno più gustosi dei fagioli?
Chissà!
Avevi voglia di passeggiare ancora e incontrare altra “fauna”?
Potevi raggiungere Piazza Allegato.
Qui davanti alla Camera del Lavoro c’era un universo.
I giovani “figgicciotti” con un solo timbro di voce e lo stesso vocabolario.
Sentivi uno e li avevi ascoltati tutti.
Studiavano, però. Mandavano a memoria interi pezzi di Rinascita, dell’Unità o dei vari leaders secondo le proprie simpatie che recitavano durante i riti esoterici: i congressi, le conferenze cittadine, le manifestazioni. Quasi tutti ingraiani.
Se amendoliano, era un pezzo di … destròs.
Migliorista!?
Non proprio fascista ma quasi.
I sindacalisti?
Il massimo!
Tutti ripetevano non solo gli stessi discorsi del capo, ma cercavano di declamarli con la stessa dizione.
Ne assimilavano le caratteristiche.
Esempio, era segretario Galasso?
Tutti i sindacalisti sanseveresi avevano dizione sannicandrese con tendenza al logorroico.
Segretario Marcucci?
Tutti, oltre ad assaporare a occhi chiusi il suono delle proprie parole, gustavano con lo schioccare della lingua il dolce fondo del proprio bicchiere.
Qui, il clima era sempre da ultimo giorno.
“La situazione è drammatica, compagni.”
L’altoparlante perennemente gracchiante diffondeva il verbo del “grande bugiardo”.
L’inamovibile, imperturbabile e instancabile “compagno” dalla bugia gratuita, scontata, esagerata.
C’era dell’altro ancora. E che altro … incontravi!
Uomini che con la loro virtù, i loro pregi e anche i loro difetti hanno fatto la storia di questa città che non è stata seconda a nessun’altra.
Anzi.
Gli aspetti tratteggiati sono particolari che raccontano dei “tic”, e non esauriscono figure.
Ci siamo fatti una passeggiata nel recente passato in una mattina di sole non avendo voglia di lavorare.
Nient’altro.
Se l’avessimo fatta oggi avremmo incontrato La gente nuova che corre e non ha tempo, né ha la cultura della piazza (ὰγορά).
La gente in grisaglia che non può fermarsi e parlare perché deve mostrare prima a se stessa e poi agli altri efficienza e piglio imprenditoriale.
La gente in doppiopetto blu che non studia e manda a memoria articoli di leaders da ripetere nei riti esoterici collettivi.
Per sustanziarsi non ha bisogno che di rimirarsi nello specchio.
La gente tout-court che in questo paese non è abitata più dalle idee.
E quei pochi, alcuni in verità, che ancora le praticano se le portano addosso come una gerla fastidiosa, ingombrante, antiestetica di cui liberarsi.
E francamente non ci piace.
Questa è la ragione per la quale siamo rimasti in casa approfittando del passato.
Michele Cologna

giovedì 12 marzo 2009

Il povero è pezzente perché perde la messa e bestemmia i santi

On. D’alema,
lasci dire a me che il cavaliere Berlusconi porta sfiga.
Lasci a me pensare che è uno iettatore e come tale portatore sano di sfiga sia per gli italiani che per le politiche che attua, e - visto che mi trovo - anche per quelle delle quali egli non reca colpa.
Lasci a me l’insulto o la maledizione.
Lasci solo a me che non ho possibilità alcuna d’incidere sui fatti, le azioni, le cose l’eventualità di coniare battute del tipo “l’energumeno tascabile”.
Questi si sa sono strumenti degli impotenti, di coloro che non possedendo alcun potere o altra capacità di intervento sulla realtà ricorrono all’invettiva e alla divinazione.
Ma lei, signor D’Alema, non entra nella categoria degli ultimi, dei paria, lei sta in Parlamento, e per stazionare lì è anche ben pagato.
Là, in quel posto, dovrebbe ben studiare gli interventi, le soluzioni di Brunetta e sceverare il vero dal falso e demolire nei contenuti l’impeto funesto del piccolo.
E se Brunetta individua un problema che esiste e cerca di risolverlo alla maniera sua, modo che né a lei, né agli elettori che l’hanno eletta piace, lei ha l’obbligo di contrastarla nel merito e fare proposte alternative, e non passare all’insulto.
Se l’Innominato propone di cementificare il Paese, lei ha l’obbligo, di contrastarlo, lottare, opporsi con tutti i mezzi che il Parlamento, le Istituzioni, le Leggi, la Democrazia le mette a disposizione, e, nel contempo, formulare le sue proposte.
Fatto ciò deve impegnare tutto se stesso e i suoi fedeli a spiegare, informare, convincere coloro che l’hanno eletto e anche altri se ci riesce, della bontà delle stesse da lei formulate.
Non si serva dei suoi scherpa solo per occupare spazi politici e potere. Altrimenti quello che lei considera iettatore potrà giustamente affermare che nessuna supremazia né politica, né morale può essere accampata dalla sinistra. E lei sa bene, on. D’Alema, che il suo elettorato fatto di cittadini e non dalla comunissima gente, della questione morale ne fa bandiera.
Rifletta, D’Alema, prima d’affermare che lo iettatore di oggi fosse quella “una risorsa” di ieri.
Se lei avesse allora riflettuto, forse oggi, approvato il conflitto d’interesse, non avremmo lo iettatore sfigato a demolire il Paese.
On. D’Alema, lasci solo a me lo sfogo dell’insulto, dell’invettiva, della scaramanzia e se per caso – magari consumando un caffé a San Severo come ci è capitato qualche volta – lei mi ascolta, eserciti il suo ruolo e mi redarguisca.
Non è una facoltà, è un suo dovere!
Seppure solo deontologico, ma è un suo obbligo.
***
Signori Onorevoli e Senatori,
sapete voi che il 70/80 per cento della popolazione italiana può aspirare massimo – eccellendo nella vita lavorativa di questo paese – a una retribuzione di circa trentamila, quarantamila euro all’anno?
Quante volte credete voi di valere più degli altri, seppure eccellenti?
Ditecelo!
Noi saremo ben lieti di conoscere questo vostro presunto valore, nel frattempo però, in attesa che decidiate, riducetevi lo stipendio al doppio dell’aspirazione dell’eccellenza di questo paese.
Non fingete di non capire!
Sì, non siamo disponibili ad erogarvi più di ottantamila euro lordi all’anno!
Se non vi sta bene, se ritenete di guadagnare di più cambiando lavoro, vi diciamo: andate a lavorare, signori!
Una retribuzione di tale entità farebbe immediatamente pulizia!
Pensate che un Mastella, un Dell’Utri – non perché siano i peggiori - e tanti simili resterebbero in politica se questa offrisse tanto!?
Andrebbero subito a fare il mestiere a loro più congeniale.
Quanti problemi risolveremmo in un sol colpo.
Basti pensare che la magistratura non dovrebbe più perder tempo a chiedere autorizzazioni di alcun genere.
***
Signori giornalisti,
non comprerò più quotidiani fino a quando l’informazione non la farà da padrona nei vostri giornali. Della Casta, del Palazzo e delle indecenze di costoro che hanno abbrutito, annichilito questo paese non me ne può fregare di meno.
Voglio le notizie, le inchieste e non le chiacchiere dei buffoni che ci governano e siedono in parlamento.
Le notizie le attingerò dai siti non italiani che parlano dell’Italia. Fanno il loro mestiere meglio, molto meglio di voi.
***
“Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave senza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!”
Italiani, popolo senza dignità,
voglio ricordare a me per primo e a voi dopo, un vecchio adagio delle parti del beneventano che recitava: “Il povero è pezzente perché perde la messa e bestemmia i santi”.
Chiaro!?
Oh!!!
Che dio vi maledica signori della Casta!
Che possiate ricevere lo stesso trattamento che riservate alla “gente”!
Che la maledizione vi insegua ovunque voi andiate!
Che possiate precipitare anche voi nell’indigenza dei pensionati, degli stranieri, dei clandestini, degli ultimi!
Che non possiate vedervene di bene del maltolto e anche di quello che è vostro!
Che…